Più delle scope, i libri. Serviranno soprattutto «lezioni di politica e studio» alla Lega Nord di Roberto Maroni, per creare quella nuova classe dirigente che vuole diventare il «partito egemone» nel nord d’Italia. Un partito «inclusivo», «di raccolta», simile alla Volkspartei, capace di pescare voti in tutti i ceti sociali, da destra a sinistra al centro, laureati e non. «Il Carroccio non può più pensare che la questione settentrionale riguarda solo i piccoli artigiani delle alpi», spiega il professore di Scienze Politiche Stefano Bruno Galli, editorialista della Padania. «Dalle piccole imprese si è passati alle medie e alle più grandi, lì la Lega deve sfondare, tra i neolaureati». È la sfida più difficile per il neo segretario federale appena nominato al congresso federale di Assago, dopo gli anni (in particolare gli ultimi) di «demagogia» dell’ex leader Umberto Bossi, infarciti da insulti di ogni tipo, dito medio e pernacchie.
Ma ci si prova, cercando di scrollarsi di dosso il passato, con l’obiettivo di conquistare «i ceti in cerca di rappresentanza» e riprendersi chi è rimasto sconvolto dopo gli scandali tra Tanzianiagate e ‘ndrangheta. Del resto, gli effetti «comunicativi» – quelli a cui ha contribuito pure il Senatùr dopo le intuizioni politiche degli anni ’80 e ’90 – si fanno sentire persino in questi giorni di rinnovamento. Venerdì scorso, Michele Cavazzana, consigliere padano a Vigevano, è riuscito a far sospendere un consiglio comunale con un rutto «baritonale» che si è sentito in tutta l’aula. Lunedì, alla Zanzara di Radio 24, Santino Bozza, veneto, ha sparato contro gli omosessuali. «I gay? Purtroppo esistono, sono malati, diversi. Stiamo dando troppa libertà a queste cose sapendo che ci sono i nostri bambini che girano per le strade». Gianni Fava, maroniano di ferro, mantovano, ha commentato con un tweet. «La stupidità politica non è più tollerabile».
Non è un caso che Bobo, dal palco dell’assise leghista, lo abbia ripetuto diverse volte. «Tornano le scuole di formazione politica. Dobbiamo cambiare la comunicazione interna». È un passaggio cruciale del suo discorso, che fa da preambolo ai due punti cardinali della Lega di Maroni: Prima il Nord e l’Europa dei Popoli. Tematiche complesse, che riguardano la questione settentrionale, la pressione fiscale ma pure il confronto con i cittadini europei, della Baviera o della Spagna. Serve una classe dirigente all’altezza, insomma. Che riparta dai «sindaci guerrieri e dai governatori», continua a ripetere come un mantra Maroni.
Come dargli torto. Nella due giorni di congresso di Assago si sono viste un po’ tutte le anime della Lega Nord. C’era chi con il corno si faceva sentire dagli spalti. Chi ne ha sparate di tutti i colori dal palco. Chi aveva portato da casa «uno striscione Italia di merda». Chi, come lo stesso Bossi, non ha perso occasione per dire al governatore Luca Zaia che gli stava dietro sul palco, «mi fai preoccupare», con le solite allusioni agli omosessuali tipiche di un bar. Di tutto questo, Maroni, vuole iniziare a fare decisamente a meno. La strada è irta di ostacoli. Passa pure per l’addio all’ampolla leghista sul Moviso o dalle corna che molti padani si portano dietro sul pratone di Pontida.
«Stanno facendo un difficile lavoro di disincrostazione interna», spiega Giuseppe Baiocchi, ex direttore della Padania e storico. «E tentano anche di aggiornare i contenuti rispetto al passato. Ma la fortuna di Bossi fu quella di puntare su un partito del ‘contado’ che sapesse spiegare con semplicità delle tematiche molto complesse. Maroni non sta facendo nulla di nuovo, il serbatoio culturale è ancora vuoto. Rischiano di adeguarsi agli altri partiti. Offrire qualcosa che esiste già». Qui sta tutta la difficoltà della nuova Lega. Ancorata ai miti del passato, rituali che comunque hanno portato i leghisti a Roma e nelle grandi amministrazioni pubbliche, ma con la voglia di sopravvivere nel futuro. Ma come farlo? «Quale strada per la Padania», si domandava appunto Matteo Salvini.
«Ora dobbiamo dire basta a chi spara la cazzata più grande», spieg a un fedelissimo della nuova era di Maroni. «La gente parla di quello che sa e basta. Non vogliamo le purghe, ma dobbiamo dare più sostanza e contenuti». Per questo motivo, gli esempi da portare avanti sono appunto Zaia o lo stesso sindaco di Verona Flavio Tosi. Pure Salvini, dopo la nomina a segretario nazionale lombardo, pare avere un profilo più istituzionale. E persino lui, nonostante il passato di «cori contro i napoletani» o «le carrozze per i milanesi in metropolitana», ha iniziato a chiedere libertà di coscienza sulle tematiche che riguardano i diritti dei cittadini.
È Zaia, uno che nel 2009, chiedeva alla Rai «di mettere fuori i gay per privilegiare la famiglia», ha fatto un appello alla gente del Nord, a non fare più distinzione di razza, religione o orientamento sessuale. Frasi impensabili magari pochi anni fa, ma che rendono bene l’idea di cambiamento dentro il Carroccio. Del resto, se persino uno come Mario Borghezio, che un tempo andava a pulire le carrozze dei treni frequentate dagli extracomunitari con il disinfettante, adotta «il padano Balotelli di colore» vuol dire che davvero dentro via Bellerio qualcosa sta cambiando. Sarà vero?
Al momento, Maroni prende nota, studia e cerca di trovare nuove soluzioni comunicative. L’ormai nota Fondazione, che sarebbe dovuta diventare il fiore all’occhiello della nuova Lega 2.0 per dialogare nelle regioni settentrionali è al momento in stand by. Sono troppi ancora gli attriti interni, tra le varie anime del cerchio magico e quella dei barbari sognanti. Più avanti potrebbe nascere. Basterà per terminare la lunga traversata nel deserto?