Ore drammatiche per il regime di Assad: un attacco frontale è stato sferrato dagli insorti contro il quartier generale della sicurezza a Damasco, mentre era in corso un incontro tra gli alti funzionari governativi del regime. Sono rimasti uccisi il Ministro della Difesa, Daoud Rajiha e il cognato di Assad, Assef Shawkat. Numerosi i feriti tra personaggi di punta del governo, ma fuori pericolo: si tratta del ministro dell’interno e del capo dell’intelligence. Subito dopo l’esplosione, sono stati portati in ospedale e operati di urgenza. Un attacco kamikaze, sostiene la tv si Stato. Altre fonti accreditate vicine ai ribelli parlano, invece, di una bomba fatta esplodere da un infiltrato. «Questo è il vulcano di cui abbiamo parlato, abbiamo appena iniziato», fa sapere il portavoce del libero esercito siriano, Qassim Saadedine. Il palazzo dove è avvenuta l’esplosione si trova in una zona vicino alle ambasciate e solitamente controllata dall’esercito di Assad. I ribelli, che da domenica hanno portato la battaglia nella Capitale siriana, non hanno nessuna intenzione di abbandonare la città: «Continueremo gli scontri fino alla vittoria», annunciano in un comunicato.
Non si fa attendere la risposta del regime, e subito fa sapere che si tratta di un attacco terroristico. Un comunicato diramato dalla Tv di Stato recita così: «Taglieremo le mani ai ribelli». E continua: «Siamo più determinati che mai ad affrontare tutte le forme di terrorismo, e a tagliare le mani di chi mette in pericolo la Siria». Il comunicato accusa la regia invisibile straniera dell’attentato. Poi incalza: «Le forze armate sono determinate a finire di uccidere le bande terroristiche e i criminali e a ricercarli ovunque si trovino», e la rivoluzione andrà avanti. «Chiunque pensi che colpendo i comandanti possa piegare la Siria, si illude», conclude la circolare ufficiale. Intanto il governo siriano ha annunciato la nomina nel nuovo ministro della difesa, Fahad Jassim Alfreikh.
La situazione internazionale, intanto, resta in stallo. La Russia, principale alleato di Assad, annuncia che non supporterà l’azione diplomatica delle Nazioni Unite contro la Siria, in favore degli insorti. Il ministro degli esteri russo, Sergei Lavrov, ha pubblicamente affermato che la sua posizione di sostegno al regime non cambierà nonostante gli ultimi accadimenti: «La risoluzione delle Nazioni Unite è una politica a vicolo cieco di supporto dell’opposizione» e ha aggiunto che «Assad non andrà avanti da solo, è evidente che i nostri partner occidentali non sanno come comportarsi».
Non mancano nuove defezioni nell’esercito di Assad, avvenute negli ultimi giorni. Secondo un funzionario del ministro degli esteri turco, sono in tutto 20 gli ufficiali siriani rifugiati in Turchia. Mentre al-Jazeera ha reso noto il passaggio con i ribelli del generale maggiore, Adnan Sillu. La sua defezione è stata accompagnata da un video in cui ha sostenuto che il 60 per cento della Siria è in mano gli insorti. Ma soprattutto segue quella di Manaf Mustafa Tlas, comandante della Guardia Repubblicana e dell’ambasciatore siriano a Baghdad, Nawaf Fares.
La guerriglia continua, incessante, in tutto il Paese. Qualche giorno fa sono morti 220 persone, secondo quanto riportato dalla tv Al Arabya, in un attacco portato a termini da forze governative contro il villaggio di Tremseh nella provincia di Hama. Il capo degli osservatori delle nazioni Unite in Siria ha etichettato l’attacco «una violenza continua». Nei giorni passati altri bombardamenti sono avvenuti ad Homs, la città martire epicentro degli conflitti a fuoco. Secondo l’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani, organizzazione dell’opposizione in esilio con sede in Gran Bretagna, artiglierie governative hanno continuato a martellare anche la città di Aleppo nel nord del Paese. L’Osservatorio nazionale siriano per i diritti umani (Ondus), invece calcola a quasi 14.500 il numero dei morti nei 15 mesi di violenze.