Era nell’aria da qualche settimana, in un crescendo di diffidenza da una parte, e delusione dall’altra. Alla fine, però, la tregua fra i grandi soci della Banca popolare dell’Emilia Romagna non è durata. Il “patto della bistecca”, come era stato subito battezzato l’accordo fra il vecchio establishment e l’«opposizione» dell’avvocato Gianpiero Samorì, si infrange sulle dimissioni arrivate oggi di Romano Minozzi, l’industriale della ceramica, il cui ingresso nel cda della Bper aveva suggellato il compromesso.
Fonti finanziarie riferiscono che Minozzi sarebbe rimasto piuttosto deluso dall’assenza di passi in avanti nella pacificazione fra vecchia e nuova anima della banca. In più di un’occasione, comunque, Samorì ha fatto pressioni perché a Minozzi fosse affidata la vicepresidenza, accanto a quella di Piero Ferrari e di Alberto Marri. Ma il presidente Ettore Caselli, che da tempo subisce le pressioni del management ostile all’avanzata di Samorì, avrebbe scelto di assecondare la linea di Marri, scettico da sempre sul “patto della bistecca”. Marri e Caselli appoggerrebbero la nomina a vicepresidente di un altro consigliere, Giuseppe Lusignani, docente universiatario di economia a Bologna.
In una lettera consegnata a mano al presidente Caselli, Minozzi afferma di «prendere atto che l’obiettivo [di superamento dei contrasti passati, ndr] non è perseguibile perché il contrasto ha una tendenza a reiterarsi e a perdurare». «Senza voler minimamente prendere posiizione sulle ragioni di tale situazione – aggiunge il patron di Graniti Fiandre e del gruppo Iris – non posso che manifestare la mia indisponibilità a proseguire nel ruolo e nella funzione di amministratore».
Fino a poco tempo fa, nei piani a medio termine di Samorì c’era un avvicendamento alla presidenza, attraverso la sostituzione di Caselli con lo stesso Minozzi o più probabilmente con Ferrari. Nell’ultima assemblea, poi, Samorì si era anche proposto come futuro amministratore delegato. Ma ora tutto sembra tornare in alto mare. La bistecca è stata indigesta.