Fmi promuove a metà l’Italia: senza crescita sono guai

Fmi promuove a metà l’Italia: senza crescita sono guai

«Un’agenda ambiziosa». Il Fondo monetario internazionale (Fmi) ha rilasciato il suo ultimo report sull’Italia, rimarcando come alcuni passi siano stati fatti, ma il grande del lavoro rimane ancora da compiere. In particolare, è ora di spingere sulla crescita economica. Intanto il presidente del Consiglio Mario Monti non ha escluso che l’Italia possa chiedere un sostegno al fondo salva-Stati permanente European stability mechanism (Esm). Parole che suonano come un monito, guardando al rendimento dei titoli di Stato decennali italiani, ancora a ridosso del 6 per cento.

Bene la riforma delle pensioni, come anche quella del lavoro. Meno le liberalizzazioni e il consolidamento fiscale. Male se si guarda a crescita e competitività. L’analisi dell’istituzione guidata da Christine Lagarde traccia la mappa dell’operato del governo Monti, insediatosi dopo il G20 di Cannes che vide la richiesta di monitoraggio da parte del Fmi. La crescita resta un elemento avulso all’Italia. Il Fmi conferma le sue stime di primavera: il Pil si contrarrà dell’1,9% nel 2012 e dello 0,3% nel 2013. Se da un lato è positivo che l’esecutivo italiano riesca a ottenere un surplus di bilancio strutturale per l’anno in corso, circa l’1 per cento. Dall’altro la debolezza delle misure volte all’espansione economica rendono vulnerabile il Paese agli shock esterni. E per mettere in sicurezza i conti occorrerebbe un surplus del 4% ogni anno da qui al 2017. In compenso, il rapporto deficit/Pil previsto per il 2012 è stato rivisto al rialzo rispetto alle previsioni di aprile, dal 2,4% al 2,6 per cento. 

Nella conference call del Fmi con la presenza di Kenneth Kang, capo missione in Italia, è stato rimarcato che alcuni rischi rimangono. In particolare, nel caso ci fosse un innalzamento dei tassi d’interesse sui bond governativi italiani, è chiaro che il quadro di riferimento su cui agire sarebbe da rivedere. E parlando proprio di questo, dall’Ecofin il presidente del Consiglio Monti ha rimarcato di essere fiducioso che l’Italia non chiedere un piano di salvataggio completo. In compenso non ha potuto escludere che nel futuro l’Italia non chieda l’accesso al fondo Esm.

Intanto, nell’Eurogruppo di Bruxelles che si è appena concluso, i passi avanti fatti dal governo italiano sono stati molti. Dopo aver spinto su una veloce messa a punto del piano per la crescita da 120 miliardi di euro approvato nell’ultimo Consiglio europeo di fine giugno, Monti ha chiesto ancora una volta una rapida adozione dei meccanismi per calmierare l’innalzamento dei tassi d’interesse sui bond dei Paesi periferici, il cosiddetto “scudo anti-spread”. E proprio su questo punto ha parlato anche il commissario Ue agli Affari economici e monetari Olli Rehn, sottolineando che si sono fatti passi avanti e che lo schema di aiuto sarà organizzato in breve tempo. 

La crescita rimane il capitolo più difficile da attuare. Aumentando la competitività nei vari settori produttivi italiani, spiega il Fmi, è possibile che il sistema possa resistere anche agli eventuali esogeni, come quello di un deterioramento delle condizioni generali della zona euro. Per fare questo, tuttavia, occorrono ancora modifiche al mercato del lavoro, rendendolo più flessibile e meno ingessato. In particolare, servono riforme nei mercati dell’energia, dei servizi pubblici locali e negli ordini professionali. Tutte voci, queste ultime, che erano già state al centro delle due missive inviate dall’Europa dal governo di Silvio Berlusconi. La prima, per mano della Banca centrale europea, arrivò a inizio agosto. La seconda, più strutturata, fu mandata dal commissario Rehn nello scorso autunno. A oltre sette mesi di distanza, «i progressi fatti sono ancora troppo pochi», afferma il Fmi.

Meglio non fa sul fronte bancario. «Le banche italiane continuano a dipendere dal supporto finanziario dell’Eurosistema», spiega il Fmi. In altre parole, se non ci fossero state le due operazioni di rifinanziamento a lungo termine (Long-Term refinancing operation, o Ltro) della Bce fra dicembre e febbraio, il sistema bancario italiano sarebbe stato sottoposto a pressioni «difficilmente gestibili». Sebbene i vertici dell’Associazione bancaria italiana (Abi) abbiano ricordato che gli istituti di credito italiani non sono paragonabili a quelli spagnoli, il Fmi ha spiegato che le condizioni del rifinanziamento interbancario sono «particolarmente limitate».

Il capitolo più interessante del rapporto è per la Debt sustainability analysis, ovvero l’analisi della sostenibilità del debito pubblico italiano. Secondo lo scenario di base del Fmi il tasso effettivo del rendimento dei titoli di Stato decennali italiani è destinato a salire. Dal 4,2% fatto segnare nel 2011 si arriverà al 5,3% nel 2017. In pratica, l’Italia dovrà convivere con lo spread. Le proiezioni del rapporto fra debito pubblico e Pil non sono positive. Fino al 2017 il livello rimarrà oltre quota 120%, con un picco nel 2013, quando sarà toccato il 126,4 per cento. Ma sarà proprio quest’anno che arriverà l’impennata maggiore, quando si passerà al 125,8% dal 120,1% fatto segnare dallo scorso anno. Nel caso, tuttavia, la recessione lasciasse il posto alla stagnazione (0,25% di crescita media fra 2013 e 2017), il rapporto debito/Pil potrebbe salire restare intorno a quota 128% anche nel 2017. Ancora più elevato, circa 130% del Pil nel 2017, sarebbe il debito pubblico se lo spread fra Btp e Bund arrivasse a 580 punti base nel 2013. Allo stesso modo, il rapporto fra spesa pubblica e Pil sarà oltre il 50% fin oltre il 2017, ultimo anno preso in esame dai tecnici del Fmi. Sebbene la spending review abbia tagliato, nei piani del governo, circa 26 miliardi di euro, per la prima volta saranno superati gli 800 miliardi di euro di spesa nel 2013. Tanto, troppo, specie considerando una recessione che non sembra essere clemente con Roma e un’eurozona che naviga a vista. La strada dell’Italia, in altre parole, è ancora in salita.  

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Twitter: @FGoria 

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