La prospettiva di un ritorno da protagonista di Silvio Berlusconi sulla scena pubblica è stata accompagnata da un coro unanime di condanna e indignazione da parte dei suoi avversari. Tuttavia, a dispetto delle dichiarazioni ufficiali, come “lo scenario agghiacciante” evocato da Pier Luigi Bersani, la nuova discesa in campo del Cavaliere potrebbe costituire una formidabile garanzia politica per progressisti e centristi. Prima di tutto perché il fondatore di Forza Italia sarebbe in grado di drenare molti consensi alle Cinque Stelle di Beppe Grillo, che subirebbero la fuoriuscita dei voti di elettori del Pdl nauseati dalle degenerazioni della partitocrazia, e l’emorragia di adesioni provenienti dal Partito democratico. Altra vittima illustre del ritorno del Cav. sarebbe la lista di Luca di Montezemolo, fino a poco tempo fa ritenuta l’unica novità in grado di incarnare un progetto liberale e riformatore. Berlusconi, poi, renderebbe impraticabile la riedizione di una Grande coalizione nel 2013, visto che lo stato maggiore del Nazareno avrebbe enorme difficoltà e imbarazzo nel dare vita a un’esperienza di governo con il personaggio più indigeribile per la base.
Ma è sicuro che l’ex presidente del Consiglio voglia rientrare nel palcoscenico per rilanciare con lo slancio del 1994 un genuino programma di governo imperniato sulla rivoluzione liberale e liberista? La sua posizione sulla riforma elettorale, favorevole a un proporzionale fondato sulle preferenze e alternativa al disegno maggioritario di stampo nordamericano che aveva ispirato la creazione di Forza Italia, farebbe pensare alla volontà di partecipare in prima persona alle trattative con le altre forze politiche per conservare un ruolo centrale negli assetti di potere. E per mantenere un controllo assoluto sulle questioni che più gli stanno a cuore: giustizia, informazione, conflitto di interessi e destino di Mediaset. A ragionare con il nostro quotidiano su tali problemi e scenari sono politologi di diverso orientamento, che allargano la propria riflessione all’identità sociale, professionale e geografica del bacino elettorale del Cavaliere. Il quale, come osserva il sociologo della politica e studioso del socialismo liberale Luciano Pellicani, «gode tuttora di una stima e di un seguito misteriosi e indecifrabili».
A manifestare la convinzione che nel Partito democratico e nel Terzo Polo più di una persona preferisca «il ben conosciuto Cavaliere allo sconosciuto e imprevedibile Grillo» è Giorgio Galli, professore di Storia delle dottrine politiche alla Statale di Milano. Il quale disegna uno scenario ormai noto: «Berlusconi scende in campo per difendere le sue aziende attraverso una formazione partitica modellata a sua immagine. Nella prospettiva meno rosea potrebbe raggiungere il 20 per cento, che, grazie alla legge elettorale integralmente proporzionale a cui sta lavorando, gli garantirebbe una rendita e una capacità di manovra significativa». Soprattutto nell’orizzonte probabile della Grande coalizione: «Bersani condurrà una campagna fortemente antiberlusconiana in chiave bipolare, poiché il fantasma del Cavaliere da combattere torna utile di fronte a un elettorato disorientato e in cerca di identità. Ma, in assenza di una maggioranza netta a favore di uno schieramento, il Partito democratico convincerà se stesso e la base della necessità della Grosse Koalition, anche con Berlusconi».
Un copione prevedibile dunque, in grado di allontanare le incognite e le sorprese che potrebbero essere provocate da nuovi protagonisti come Grillo e Montezemolo. Meglio, anche per progressisti e moderati, «il teatrino della politica tradizionale, l’unico capace di offrire soddisfazioni psicologiche a un personaggio che non può accontentarsi di gestire un’azienda ridimensionata come Mediaset». Nessuna novità, secondo Galli, emergerebbe poi nel bacino di consenso del Cav., «costituito dalle fasce sociali di mezza età e di cultura medio bassa, sensibili alla propaganda anticomunista e abbandonate dai giovani e dalle donne che nel ’94 votarono con entusiasmo per Forza Italia. Un’area più diffusa nel Mezzogiorno che al Nord, dove è difficile che dopo vent’anni di stagnazione provocata dalle politiche berlusconiane il ceto imprenditoriale manifesti interesse verso una minestra riscaldata».
Che l’adesione degli industriali e delle partite Iva delle regioni settentrionali rappresenti un “mito simbolico” è persuaso lo studioso di Politica comparata all’Ateneo di Bologna, Piero Ignazi, per il quale «l’elettorato del Cavaliere è sempre lo stesso: una vasta platea di casalinghe e di pensionati dominati dalla televisione, spoliticizzati e poco informati». Il politologo, che individua nella volontà di creare una base di manovra e sostegno per tutelare interessi personali e aziendali la ragione del “ritorno” di Berlusconi, rifiuta di assumere come punto di osservazione ciò che più conviene al Partito democratico. «Ciò che mi sta a cuore è la possibilità di un’evoluzione e maturazione della realtà partitica italiana, a partire dal necessario rinnovamento del centro-destra. Prospettiva che viene allontanata dalla riproposizione di una candidatura ripetitiva e fallimentare». Un motivo in più, osserva lo studioso, per escludere lo scenario di una Grande coalizione il prossimo anno.
Più articolata la riflessione di Gianfranco Pasquino, docente di Scienza politica all’Università di Bologna, che si interroga sulle cause profonde della reazione di Pd e Terzo Polo alla notizia della discesa in campo del Cavaliere. «Perché hanno paura di un uomo anziano che ci riprova dopo tanti fallimenti? Evidentemente sono consapevoli, Bersani e Casini in testa, di essere vecchi anche loro, oltre che corresponsabili della crisi economica e sociale provocata dai dieci anni di governo Berlusconi». Il quale «può contare nel territorio su solidi avamposti, come i Circoli della libertà e le sedi di Publitalia, basi di partenza ben più sicuri di quelli a disposizione di Italia Futura di Montezemolo». Quanto al movimento Cinque Stelle, «se a Parma gli elettori del Pdl hanno preferito l’esponente grillino al candidato tradizionale del Pd, è improbabile un’identica scelta sul piano nazionale. Il Cavaliere è in grado di attrarre buona parte dei suffragi scaturiti dallo sdegno contro la partitocrazia confluiti sulle Cinque Stelle, che però prescindono dalle decisioni dei partiti e sono basati soprattutto sul voto dei giovanissimi».
Ma lo sbocco della campagna del creatore della Fininvest sarà la Grosse Koalition? Tutti gli scenari dipenderanno dalla legge elettorale: «Se resterà in vigore l’enorme premio di maggioranza previsto dal Porcellum l’ipotesi di un governo di unità nazionale deve essere esclusa. Nell’eventualità di un meccanismo proporzionale più puro e se nessuno schieramento riuscisse a prevalere nettamente, allora è altamente probabile un simile scenario». Con i parlamentari del Pd che finiscono per governare assieme agli uomini del “Cavaliere nero”. Il cui ritorno, spiega Pasquino, è ispirato da motivi psicologici profondi: «Nella mente e nell’animo di un uomo anziano come lui è lecito chiedersi: “Cosa vado a fare ora in panchina, io che ho ancora tante energie?”. Berlusconi non accetta questo orizzonte, e sceglie di riprovare, scompaginando e cambiando la sua classe dirigente, consapevole che i suoi avversari non hanno mai contrastato il suo impero editoriale né ridotto i suoi profitti, non lo hanno penalizzato su giustizia e televisioni, né hanno votato alcuna legge sul conflitto di interessi, visto che ne sono pieni anche loro».
Ecco il suo punto di forza: «L’ambizione di entrare nella storia, coniugata a una fantasia contrapposta al grigiore dei partiti tradizionali». Così il Cavaliere, osservalo studioso, «potrebbe promuovere una campagna tra le più innovative, riconquistando l’adesione dei numerosi imprenditori del Nord e del Lombardo-Veneto nauseati da un Carroccio in caduta verticale e sempre più inquieti. La possibile candidatura di Federica Guidi al ruolo di vicepremier rientra in questo disegno». Altrettanto radicato è il suo insediamento nel Sud, considerando il grado di consenso per uomini come Angelino Alfano e Renato Schifani. «Espressione di un elettorato trasversale e disponibile alle nuove offerte, cementato tuttora dall’anticomunismo. Sentimento che riemergerà quando alcuni rappresentanti di Sel, in campagna elettorale, affermeranno di non pentirsi del proprio retroterra politico-culturale».