CALCUTTA – Testa rasata, tuniche color zafferano, sempre sorridenti, cantano a squarciagola la grandezza di Krishna: i membri dell’International Society for Krishna Consciousness (Iskon), impropriamente noti col nome di Hare Krishna, sono la faccia bonaria ed euforica dell’induismo in occidente.
Il culto, in continua espansione al di fuori dell’India – specie nell’Europa dell’est – affonda le radici nell’opera di divulgazione di “Sua Grazia Divina” A.C. Bhaktivedanta Swami Prabhupada, l’asceta induista originario del Bengala Occidentale che, seguendo la missione conferitagli dal suo guru, portò negli Stati Uniti le opere teologiche dedicate a Krishna.
Erano gli anni sessanta: in Usa fiorivano i movimenti di rottura con l’era dei baby boomers. Woodstock, gli psichedelici, amore libero, Charles Manson. Tanta fame di pace e spiritualismo fino ad arrivare ai trip lisergici dell’Lsd, per dimenticare gli yankee in Corea ed in Vietnam. Chi se lo poteva permettere mollava tutto e andava a cercarsi sulle spiagge di Goa o negli arcipelaghi del sudest asiatico; gli altri andavano alla ricerca del divino a New York o a San Francisco.
Nel 1966 Prabhupada fonda la Iskon a New York assieme ad un manipolo di devoti della prima ora. I fedeli devono portare in giro per il mondo il messaggio di pace di Krishna, erigere templi in suo onore, distribuire i libri della società e, soprattutto, intonare in estasi i canti devozionali (kirtan) dedicati a Krishna.
Il mantra “Hare Krishna Hare Krishna, Krishna Krishna Hare Hare, Hare Rama Hare Rama, Rama Rama Hare Hare” diventa il tratto distintivo della setta in tutto il mondo, un movimento che presto accoglie ex hippie ed ex tossicodipendenti tra i suoi membri, grazie a rigide regole di comportamento che obbligano a rinunciare a carne, pesce, uova, sesso illecito (ovvero al di fuori del matrimonio), gioco d’azzardo ed ogni sostanza intossicante (alcol, tabacco, droghe).
I tempi sono maturi per il messaggio rivoluzionario e, grazie alle offerte dei fedeli ed all’instancabile intraprendenza dei devoti, gli Iskon si espandono a macchia d’olio in tutti gli Stati Uniti, in Europa e in Asia.
Oggi ci sono più di quattrocento centri Iskon nel mondo e gli Hare Krishna si sono fatti promotori di iniziative meritorie come il progetto Food for Life, un programma attivo in sessanta paesi che offre pasti vegetariani gratuiti. Solo in India, ogni giorno, la Akshaya Patra Foundation, in collaborazione col governo indiano, provvede ai pasti nelle strutture scolastiche di otto stati dell’Unione. Fanno 1,3 milioni di pasti. Al giorno.
Ma dietro alla facciata euforica e caritatevole del movimento – a discapito di migliaia di fedeli sinceramente votati alla causa – la Iskon viene regolarmente investita da scandali e diatribe interne per il controllo delle proprietà intestate alla società. Lotte sanguinose per il potere e regolamenti di conti di stampo mafioso. Il magazine Outlook India, alcune settimane fa, ha raccontato l’ultima battaglia legale tra la Iskon di Mumbai e quella di Bangalore. Oggetto della contesa è il complesso dell’Hare Krishna Hill a Bangalore: tempio e villaggio Iskon, proprietà del valore di 5 miliardi di rupie, poco più di 71 milioni di euro.
La Iskon di Mumbai dice che la Hare Krishna Hill di Bangalore è di sua proprietà, essendo la sezione di Mumbai l’unica ufficialmente registrata in India e, tecnicamente, incaricata di controllare tutte le proprietà Iskon nel Paese. Ma la sezione di Bangalore, a seguito di alcuni scandali di guru “caduti in disgrazia”, si vuole muovere verso una scissione legale dal resto del movimento, salvaguardando la propria reputazione e, incidentalmente, le proprie proprietà, che annoverano anche una compagnia edilizia per la realizzazione del progetto Krishna Lila Park. Il capo della Iskon di Bangalore, Madhu Pandit, lo descrive come una “Disneyland spirituale”.
La questione della caduta in disgrazia delle guide spirituali Hare Krishna è centrale. Ormai verso la fine dei suoi giorni, il fondatore Prabhupada nel 1970 aveva nominato undici discepoli – nessuno dei quali indiano – che avrebbero dovuto portare avanti l’opera di evangelizzazione della società tramite una Governing Body Commission (GBC), massima autorità decisionale nel panorama Hare Krishna mondiale.
Gli undici, dicono i puristi del movimento, hanno volutamente travisato le ultime volontà di Prabhupada, instaurando invece un’oligarchia internazionale auto-eletta ed iniziando ad amministrare la Iskon come una grande società per azioni, spesso declinata ad attività illegali, mettendo da parte il rigore della pratica spirituale.
A 35 anni dal “golpe” degli undici, l’elenco degli scandali Iskon è ragguardevole: abusi su minori, spaccio di droga, racket, pedofilia, lavaggio del cervello, omicidi. Negli anni Ottanta 95 ex studenti delle scuole Iskon in India e Stati Uniti denunciarono gli abusi fisici, psicologici e sessuali perpetrati dagli educatori della società. Il Gbc corse ai ripari, dichiarando la bancarotta per tutti i centri Iskon coinvolti nello scandalo e pattuendo un risarcimento fuori dal tribunale per 9,5 milioni di dollari.
Stesse denunce emersero nel 2011: altri 44 adulti si rivolsero alla giustizia per i maltrattamenti sofferti in gioventù negli istituti Iskon in India e all’estero, compresi il quartier generale di Mayapur, nel Bengala Occidentale, e le strutture della società di Vrindavan, in Uttar Pradesh, il centro del culto di Krishna in tutto il subcontinente indiano. Anche in questa occasione il Gbc riuscì ad evitare le sentenze del tribunale, accordandosi per un risarcimento di 400 milioni di dollari.
La base del movimento Hare Krishna non si esime dal criticare senza esclusione di colpi la condotta del Gbc, nonostante le comunicazioni ufficiali dell’autorità centrale della società si impegnino sempre ad insabbiare le malefatte dei membri principali. Un’operazione coraggiosa, se si pensa che in passato a chi ha denunciato il marcio all’interno del Gbc è stato riservato un trattamento spietato.
Steven Bryant, alias Sulochana Das, nel 1985 aveva raccolto documenti e testimonianze contro la cricca degli undici nel libro The Guru Business, un volume che denunciava i falsi guru che, adorati come guide spirituali e rinuncianti (sannyasi) presso la città Iskon di New Vrindavan, West Virginia, in privato portavano avanti uno stile di vita dissoluto lasciandosi andare a baccanali a base di sesso e droghe, toy boy fatti arrivare dal Messico ed abusi sessuali su minori.
Nel 1986 il corpo di Sulochana Das viene trovato a Los Angeles nel suo furgone, con due proiettili nel cranio. Dieci anni dopo Thomas Drescher, alias Tirtha Das, confesserà il crimine spiegando che «nella mia testa non si trattava di omicidio. Ho semplicemente liberato la comunità da un elemento non desiderato».
Gli undici del Gbc, che prendendo il sannyas (voto di povertà e rinuncia) si impegnavano ad un’esistenza umile ed a guidare i fedeli lungo il cammino della coscienza di Krishna, sono tutti «caduti in disgrazia». Robert Campagnola, alias Harikesha, nel 1998 è scappato con la sua massaggiatrice personale, portandosi via diversi milioni di dollari dalle casse della Iskon. La versione ufficiale del GBC racconta di un «collasso fisico e mentale» causato dalle troppe responsabilità, mentre sul sito Iskonirm.com si legge che Campagnola si sarebbe comprato una villa nel sud della Francia, tentando di rivenderla per 1,2 milioni di dollari.
James Immel, alias Jayatirtha, aveva lasciato la Iskon per fondare un suo nuovo culto dell’Lsd. Il 13 novembre del 1987 un devoto, durante un trip, lo decapita. Keith Gordon Ham, alias Kirtananda, già accusato di pedofilia e abusi su minori, viene arrestato durante una retata contro un giro di racket negli Stati Uniti. È uscito di prigione nel 2004 e, da allora, continua ad essere venerato come guru dallo zoccolo duro dei suoi discepoli.
Anche in Italia il movimento Iskon, che annovera qualche centinaio di adepti, appare frammentato. Le attività di Marco Ferrini, una delle figure carismatiche, sono criticate da altri Hare Krishna “scissionisti” su un sito che è stato denunciato alle autorità per diffamazione. Anche una ricerca che lo criticava, è stata poi ritirata dall’autrice stessa.
Oggi, a livello internazionale, il movimento è nettamente diviso tra la fazione del Gbc e i dissidenti che premono per un ritorno agli ideali del fondatore Prabhupada, lontano anni luce dalla condotta dei discepoli che disgraziatamente aveva nominato. Secondo la vulgata, approdò negli Stati Uniti nel 1965 con una valigia, un ombrello, una scorta di cereali secchi, una manciata di rupie e alcune scatole di libri. In un discorso a Londra disse: «Ho iniziato il movimento per la coscienza di Krishna tra gli indiani e gli americani e per i prossimi diecimila anni prosperirà». Sulle modalità, in quell’occasione, non si era pronunciato.
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PRECISAZIONE DEL CENTRO STUDI BHAKTIVEDANTA. Le informazioni riportate in questo articolo relativamente a Marco Ferrini e al Centro Studi Bhaktivedanta, Accademia di Scienze Tradizionali dell’India, derivano da una ricerca che è stata ritirata perché disconosciuta dall’autrice stessa in quanto contenente dati falsi e tendenziosi. Il Cesnur, che aveva inizialmente pubblicato tale ricerca sul proprio sito, ha immediatamente provveduto a sospenderne la pubblicazione. L’autrice della ricerca, attraverso il suo legale, ha autorizzato Marco Ferrini e il Centro Studi Bhaktivedanta a diffidare chiunque la pubblichi, parzialmente o per esteso.
Le informazioni contenute nel blog citato in questo articolo, sono già oggetto di indagine penale da parte della Procura della Repubblica di Pisa. A tal motivo rettifichiamo e smentiamo i dati contenuti nel presente articolo inerenti la persona di Marco Ferrini e il Centro Studi Bhaktivedanta. Per meglio conoscere tale realtà, i lettori possono visitare i seguenti siti: www.centrostudibhaktivedanta.org e www.marcoferrini.net.
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PRECISAZIONE DELL’AUTORE DELL’ARTICOLO. Abbiamo contattato l’autrice dello studio: Marilena Bogazzi. La Bogazzi ci ha spiegato di non poter parlare della questione e ci ha messo in contatto con il suo avvocato. A cui abbiamo scritto chiedendo:
– se effettivamente lo studio è stato ritirato dall’autrice,
– se sì su quali basi
– quale è stato il procedimento legale che ha portato alla ritrattazione da parte di Marilena Bogazzi.
L’avvocato ci ha scritto:
«L’elaborato della Dott.ssa Bogazzi è stato ritirato per una transazione avvenuta con la controparte, stante la circostanza per la quale poteva essere contestata una inesattezza di metodologia nella stesura. Come potrà comprendere non posso per email essere più preciso sulla fattispecie. Distinti saluti.»