I come from Alabama with a b-a-n-j-o on my knee: é tornato, con il gilet di pelle sporco di terra, le mani piagate dalle redini, il revolver ancora ben carico. É tornato, in sella ai suoi cavalli pazzi, il re della prateria, l’unico uomo uscito vivo dai canyon del west. Ladies and Gentlemen, riecco Neil Young, uno dei più grandi cantori dell’America nel secolo scorso, uno dei pochissimi a non aver smesso di fare quello che voleva, come voleva.
Una caratteristica, questa, confermata anche nel suo ultimo lavoro, Americana, co-firmato insieme ai fidatissimi Crazy Horse e pubblicato lo scorso 5 giugno in tutto il mondo. Il disco raccoglie una serie di brani tradizionali della musica country e folk statunitense – da “Oh! Susanna” di Stephen Foster a “The Wayfaring Stranger”, resa celebre da Burl Ives negli anni ’40 – che sono stati completamente rispolverati, riarrangiati ed infine reincisi in versione più rock e “tirata” che mai.
Si comincia proprio da “Oh! Susanna”: l’inizio è volutamente esitante, con i mostri sacri colti in una jam session quasi casuale, simile a quella inscenata da Young e Dave Matthews durante l’ultimo Bridge School Benefit, nell’autunno del 2011, evento in cui scoccò la prima scintilla di “Americana”. L’album si apre con un riff di Young, poi entra la batteria di Ralph Molina, il basso di Billy Talbot ed infine l’altra chitarra, quella suonata da Frank Sanpedro. A 00:50 sembra quasi di sentire una band che si ricompone, a distanza di un decennio dall’ultimo disco insieme: “Greendale”, infatti, è datato 2003.
Le canzoni sono tutte completamente stravolte, rispetto alle versioni originali resta uguale solo il testo (e nemmeno sempre), mentre le melodie sono state riscritte, tanto che risulta difficile riconoscerle. Il tutto è condito da chitarre elettriche di spessore – il NYTimes le ha definite “proto-grunge” – e dalla voce graffiante di Young, come nella meravigliosa “Clementine”, epica e commovente seconda traccia, forse l’episodio più riuscito del disco. “Sono canzoni che conosciamo fin dall’infanzia”, ha spiegato Young durante la presentazione del disco, “ma le abbiamo riarrangiate, e ora ci appartengono”.
Il livello si mantiene altissimo fino alla fine, con alcuni acuti da sottolineare. Su tutti: il trascinante uptempo di “Gallows Pole”, impreziosita da cori femminili, il capolavoro doo-wop di “Get a job”, scanzonato e divertente inno firmato The Silhouettes, la tiratissima “Jesus Chariot”, filastrocca per bambini trasformata in inno rock e “Wayfarin’ Stranger”, l’unico brano che si apre con una chitarra acustica à la Harvest. A chiudere Americana c’è, sorprendentemente, un omaggio all’Inghilterra, l’inno britannico God Save The Queen, interpretato da un Neil in ottima forma, anche vocale.
Fosse uscito trent’anni fa, Americana sarebbe stato, forse,una pietra miliare del folk-rock, potente e dissacrante nella sua rivisitazione – stravolgimento? – della tradizione. In definitiva, comunque, il disco risulta essere un divertissement particolarmente ben riuscito, per Neil e soci. Noi speriamo che Young continui così, a sorprenderci e farci divertire, a ricordarci come la musica sia sempre questione di andate e di ritorni, e che non bisogna dimenticare le proprie radici. Long may you run, Neil.
“Americana” (Reprise, 2012) tracklist:
1. Oh Susannah
2. Clementine
3. Tom Dula
4. Gallows Pole
5. Get A Job
6. Travel On
7. High Flyin’ Bird
8. Jesus’ Chariot
9. This Land Is Your Land
10. Wayfarin’ Stranger
11. God Save The Queen
Neil Young – Clementine (da Americana, 2012)
Neil Young – Get a Job (da Americana, 2012)