Storia MinimaIl Mussolini disperato, davanti allo straniero era rimasto solo l’onore

Il Mussolini disperato, davanti allo straniero era rimasto solo l’onore

Benito Mussolini è rimasto nella memoria collettiva, anche di chi non ha vissuto il suo tempo, attraverso due immagini-icone: da una parte il timbro della voce che scalda le masse, dall’altra quella dell’occhio mobile che guarda con intensità i propri avversari.
Nella scena dell’ultimo discorso fatto, a palazzo Venezia, all’ultima riunione del Direttorio del Partito prima che il regime crolli, non c’è né questo né quello. È il 24 giugno 1943. Siamo alla vigilia dello sbarco alleato in Sicilia (avverrà il 10 luglio).

Benito Mussolini avverte che il fronte interno si sta sfaldando, e che il Partito fascista è solo una macchina vuota. Non è all’avanguardia del Paese, ma rappresenta la retroguardia. Decide così di prendere la parola alla riunione del Direttorio del Partito come per lanciare una sorta di auspicio. È un discorso visionario, dove Mussolini sogna di uno stato d’animo nazionale che non c’è.

Molti lo ricordano, riferendosi all’uso sbagliato dell’immagine del bagnasciuga, come un discorso ridicolo. Non è così. È l’ultima volta che Mussolini parla a tutti i suoi, ma non ha il coraggio né la forza di dire ciò che tutti già sanno. In questo senso, è un discorso tragico. Avrebbe un senso se fosse stato un discorso pubblico, dove la demagogia deve essere l’ingrediente fondamentale per imprimere un’accelerazione o una vigoria a un soggetto inerte. Non è così. Ogni tanto la politica vive anche di fenomeni di autosuggestione. Tanto per avere l’illusione di avere un futuro. Un mese dopo, il 25 luglio il Gran Consiglio lo sfiducia. Segue crollo. 

Benito Mussolini, La linea del basciasiuga sarà il nostro Monte Grappa.*

Il mio intervento a questa riunione è dovuto al fatto ch’io voglio riferire al Direttorio sull’indirizzo che mi è stato rimesso dal segretario del Partito, e che io ho ritenuto di dover rendere di pubblica ragione. Avrei potuto farne anche a meno, come non sono state rese di pubblica ragione altre decisioni del Direttorio. Ma ho reputato fosse bene renderlo noto alla nazione, perché quelle idee non sono solo del Direttorio del Partito, ma le mie. Ed è bene che la nazione sappia che ad un certo momento la vita potrebbe stringersi con un rigore che forse taluni non sospettano ancora.
[…].

Ci sono dei dubitosi, e non bisogna meravigliarsi. Cristo non ebbe che dodici discepoli, e se li era coltivati durante tre anni con una predicazione sovrumana attraverso le colline riarse della Palestina. Eppure, nell’ora della prova, uno lo tradì per trenta denari, un altro lo rinnegò tre volte, e alcuni altri erano piuttosto incerti. Non c’è dunque da stupirsi se vi sono dei dubitanti. A questi dubitanti bisogna dire che questa guerra ha degli sviluppi che non possono essere preveduti, sviluppi di natura politica, e non soltanto politica, che sono in gestazione.

I massacri di negri a Detroit dimostrano che la famosa Carta atlantica è diventata una carta. Voleva l’eguaglianza delle razze. Si è visto che l’americano bianco ha un’insofferenza fisica, irresistibile, inguaribile per il negro. I negri stessi dopo la carneficina di Detroit, si saranno convinti che le promesse di Roosevelt sono menzognere. Chandra Bose, che non digiuna, è alle porte dell’India. Il nemico ‘deve’ giocare una carta. Ha troppo proclamato che bisogna invadere il continente.

Lo dovrà tentare, questo, perché altrimenti sarebbe sconfitto prima ancora di aver combattuto. Ma questa è una carta che non si può ripetere. Fu concesso a Cesare di invadere per la seconda volta la Britannia, dopo che un naufragio gli aveva disperso i legni coi quali aveva tentato la prima invasione.

E ancora bisogna distinguere tra “sbarco”, che è possibile, “penetrazione”, e, finalmente, “invasione”. È del tutto chiaro che se questo tentativo fallirà, come è mia convinzione, il nemico non avrà più altre carte da giocare per battere il Tripartito. Giudica male gli sviluppi di questa guerra, colui che si ferma agli episodi.

Il popolo italiano è ormai convinto che è questione di vita o di morte. Bisogna che non appena il nemico tenterà di sbarcare, sia congelato su quella linea che i marinai chiamano del “bagnasciuga”, la linea della sabbia dove l’acqua finisce e comincia la terra. Se per avventura dovessero penetrare, bisogna che le forze di riserva, che ci sono, si precipitino sugli sbarcati, annientandoli sino all’ultimo uomo. Di modo che si possa dire che essi hanno occupato un lembo della nostra patria, ma l’hanno occupato rimanendo per sempre in una posizione orizzontale, non verticale.

Il dovere dei fascisti è questo: dare questa sensazione, e, più che una speranza, la certezza assoluta, dovuta ad una decisione ferrea, incrollabile, granitica. Così il Partito si avvia ad adempiere la sua funzione in questo formidabile momento. Il Partito, che è mia creatura, che ami e difendo, della quale sono geloso. In questo periodo il Partito deve essere più che mai il motore della vita ela nazione, il sangue che circola, l’aculeo che sprona, la campana che batte, esempio costante. L’esempio. Non vi è alcuna cosa al mondo che possa superare in efficacia l’esempio.

Stare in mezzo al popolo, assisterlo, perché il popolo merita di essere assistito. Parlargli il linguaggio della verità. E tener duro. Tener duro, perché questo è voluto dall’onore. Coloro che oggi ci lusingano o ci mandano dei messaggi tra ingiuriosi e ridicoli, ove domani noi cedessimo alle loro lusinghe false, ci farebbero un sorriso cortese, ma nel loro interno ci disprezzerebbero. Direbbero: “Veramente questi italiani non sono capaci di resistere fino alle dodici. Alle undici e tre quarti mollano”. Questo per quanto riguarda l’onore, al quale dobbiamo tenere in sommo grado. Poi ci sono gli interessi supremi della nazione e la conquista di una vittoriosa pace che dia all’Italia, da trent’anni in guerra guerreggiata, la calma e i mezzi per assolvere la sua storica missione che la impegnerà per il resto del secolo.

La polemica nemica è veramente stupida quando punta su di me, personalmente su me. Questo è l’eterno sistema degli inglesi. Gli inglesi hanno sempre bisogno di concentrare i loro odi sopra una persona che essi, falsi cristiani e autentici anticristiani, indicano come l’incarnazione del demonio. Per quello che riguarda la mia responsabilità, la rivendico, naturalmente, in pieno. Un giorno dimostrerò che questa guerra non si poteva, non si doveva evitare, pena il nostro suicidio, pena la nostra declassazione come potenza degna di storia. Il nemico, e per me il nemico numero uno è sempre stato ed è l’anglosassone, sta ormai convincendosi che venti anni di regime non sono passati invano nella vita italiana e che è umanamente impossibile cancellarli. I soldati di tutte le Forze Armate sentono la grandezza del momento e dei loro compiti. Il popolo italiano possiede risorse morali ancora intatte. Prevedevano che sarebbe caduto in tre mesi. E’ in piedi dopo tre anni.

Oggi che il nemico si affaccia ai termini sacri della patria, i quarantasei milioni di italiani, meno trascurabili scorie, sono in potenza e in atto quarantasei milioni di combattenti, che credono nella vittoria perché credono nella forza eterna della patria.

* Benito Mussolini, Gli imperiosi doveri dell’ora, in Id., Opera omnia, vol. XXXI, a cura di Edoardo e Duilio Susmel, La Fenice, Firenze 1960, pp.186 e 195-197.

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