Il risultato del federalismo spagnolo? Debiti e bolla immobiliare

Il risultato del federalismo spagnolo? Debiti e bolla immobiliare

In Spagna non basta più puntellare i buchi. Prima il salvataggio delle banche, il fondo europeo da 100 miliardi di euro per la ricapitalizzazione, ora le Regioni: 145 miliardi di euro di debiti (il debito totale è di circa mille miliardi) e il Governo Rajoy che trova sempre più arduo l’accesso ai mercati di finanziamento esterni. Venerdì scorso la Comunità Valenciana (20 miliardi di euro di debiti) ha issato bandiera bianca chiedendo aiuti per 4 miliardi al fondo da 18 miliardi istituito il 13 luglio dallo Stato centrale, seguita domenica dalla Murcia. Oggi invece è la volta della Catalogna, come ha dichiarato un alto funzionario della Regione alla Bbc.  Una vergogna, per una comunità tradizionalmente indipendente come quella catalana, essere costretta a chiedere aiuto a Madrid. Probabilmente non sarà l’ultima. Ma qual è l’origine di questo debito?

Il sistema federale spagnolo creato dalla Costituzione del 1978 si fonda su 17 Comunità Autonome. Ogni Comunità ha ampie competenze di spesa e un gettito fiscale garantito dalla compartecipazione con lo Stato alle entrate di Iva e imposta sulle persone fisiche (la nostra Irpef). Un’ulteriore e fondamentale voce di entrata è costituita dalla tassa immobiliare, un’imposizione del 7% sull’acquisto delle seconde case e del 7% sull’Iva delle prime case. Su quest’ultima voce si è fondata la crescita e l’attuale crisi delle Comunità Autonome. Quando, infatti, il flusso si è interrotto mentre le spese restavano invariate, l’esplosione del deficit nel bilancio locale e l’accumularsi del debito hanno portato regioni come la Catalogna a 42 miliardi di debiti, l’Andalusia a 14 miliardi, la Comunità di Madrid a 15 miliardi (solo per citarne alcune).

Il professor Vincenzo Galasso, docente di Economia politica all’università Bocconi di Milano, spiega che «le Comunità Autonome potevano emettere titoli con tassi d’interesse di poco superiori al governo centrale. Inizialmente, i tassi erano abbastanza bassi da permettere il rifinanziamento. Adesso che il tasso del governo centrale tocca il 7,5% sugli interessi, le Comunità Autonome non riescono più ad accedere al rifinanziamento». Tagliati i flussi dall’imposta immobiliare, persa la possibilità di reperire capitali freschi sui mercati esterni, le regioni hanno ritrovato ossigeno in una legge di gennaio del governo Rajoy, che permetteva, se necessaria, un’anticipazione dei flussi di Iva e Irpef per far fronte alle spese. Neanche questo meccanismo si è rivelato utile e i governi locali si sono trovati costretti a chiedere aiuti diretti.

Il problema è stato anche politico e strutturale. Il professor Tommaso Nannicini, docente di Politica economica all’università Bocconi, osserva che la facilitazione di accesso al credito, la mancanza di meccanismi di gestione, e l’assenza di un patto di stabilità tra Stato e Comunità Autonome, oltre alle aspettative di crescita sostenuta, hanno creato una struttura di soft budget constraint. Significa che sono mancati gli incentivi necessari ad un più severo rigore da parte dei politici locali. Si pensi, per avere un termine di paragone, a quello che è accaduto in Europa tra controllo centrale e i paesi periferici come Italia e Grecia prima della crisi del debito sovrano, o ad alcune regioni italiane (ad esempio la Sicilia).

L’insostenibilità dei debiti locali ha rialzato i tassi sui mercati finanziari e la Spagna rischia di vedersi bloccate le possibilità di accesso al credito. Quali strade restano aperte per Rajoy ora che il decentramento ha rivelato i propri limiti? Una via è seguire l’esempio dei tagli a livello centrale, ma come sottolinea il professor Andrea Giuricin, ricercatore presso l’università Bicocca di Milano e l’Istituto Bruno Leoni, non c’è né il coraggio né la volontà politica per prendere sulle proprie spalle la responsabilità delle politiche d’austerity. Un’altra via è il commissariamento delle Comunità Autonome, magari, come dice il professor Galasso, con interventi ad hoc senza sconvolgere la struttura federale in un paese culturalmente avverso al potere centralizzato; se anche decidesse su questa strada, Rajoy avrebbe dovuto agire prima per rassicurare i mercati finanziari, sicurezza che sembra oramai compromessa. In più, i 18 miliardi del fondo votato il 13 luglio, nonostante Moody’s lo vedesse positivamente, non sono che un piccolo intervento di sostegno davanti alla voragine strutturale che si è creata.

La preoccupazione è un’altra, come nota ancora il professor Nannicini: ora che Valencia ha ammesso la necessità di aiuti dal centro e il debito delle Comunità Autonome si è rivelato insostenibile, il pericolo è di una “corsa al default”, ovvero che i governi locali si rincorrano a chiedere l’accesso ai fondi sbloccati dal governo centrale, accelerando il crollo sistemico del paese. Ed è quello che sembra accadere proprio in questi giorni. 

Sono queste le ragioni del fallimento di ieri all’asta dei titoli pubblici spagnoli? Sì, secondo il Wall Street Journal che riporta la situazione critica della Spagna e i timori dei mercati finanziari di comprare titoli del suo debito. Giunti ieri ad un tasso del 7,51% per i titoli decennali, quel che gli analisti pensano è che sarà necessario l’intervento diretto della Bce per il bail-out spagnolo. Tuttavia, l’asta odierna, con cui il Tesoro ha collocato oltre 3 miliardi di titoli a 3 e 6 mesi – con un tasso del 2,65% per i primi, rispetto al 2,36% dello scorso giugno, e del 3,95% per i secondi, contro i 3,23% di giugno – ha visto una buona risposta da parte degli investitori, con un tasso di copertura salito a 3,02 rispetto al 2,82 della scorsa emissione. Staremo a vedere se si è trattato soltanto un episodio.  

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