O c’è un complotto contro l’Italia o l’ottimismo del ministro dell’Economia Vittorio Grilli è troppo. Delle due, l’una. Nella lunga intervista rilasciata al Corriere della Sera, Grilli spiega che l’obiettivo del governo è quello di ridurre il debito pubblico italiano del 20% in cinque anni, che secondo il Fondo monetario internazionale (Fmi) sarà al 125,8% del Pil a fine 2012. Come? Con un maxi piano di dismissione dei beni pubblici da «15-20 miliardi di euro l’anno, pari all’1% del Pil». Secondo l’ultima Debt sustainability analysis del Fmi, l’Italia ha però il 95% di possibilità che, fra cinque anni, il debito pubblico rimanga fra 120 e 130% del Pil e solo il 5% di probabilità di una riduzione sotto quota 105%, come invece detto da Grilli.
Pochi giorni fa, l’istituzione guidata da Christine Lagarde ha presentato il suo ultimo rapporto sulla situazione dell’Italia. Dalla missione condotta dal team di Kenneth Kang nei mesi scorsi, è emerso che l’Italia ha «un’agenda ambiziosa», sebbene siano ancora elevati i rischi di contagio. E nonostante gli sforzi del governo di Mario Monti, la strada rimane ancora in salita. Oltre alle considerazioni generali su riforma del sistema previdenziale, riforma del lavoro e spending review, il Fmi ha però anche tracciata la curva del debito pubblico secondo l’ampio spettro variabili a cui possono essere assoggettate Italia ed eurozona.
Lo scenario di base preso in esame è quello attuale. Con una contrazione del Pil dell’1,9% previsto per il 2012 (ma la Lagarde ha già annunciato revisioni al ribasso) e un rapporto deficit/Pil al 2,6%, in rialzo di alcuni decimali rispetto all’ultima analisi, l’Italia vedrà crescere il proprio debito pubblico dal 120,1% del Pil del 2011 al 125,8% entro fine anno. Andrà meglio, seppur di poco, nel 2013, quando la flessione del Pil sarà dello 0,3% e il deficit sarà dell’1,5% del Pil. La conseguenza sul debito pubblico è che questo vedrà il suo picco a quota 126,4%. Solo nel 2014, con un Pil in crescita dello 0,5%, ma pur sempre con un deficit dell’1,4%, il debito tornerà al 125,6% del Pil. E poi si arriverà nel 2017, l’anno considerato cruciale per Grilli: Pil in aumento dell’1,2%, deficit dello 0,6% e debito pubblico al 119,4% del Pil.
Nelle previsioni del Fmi, è stato spiegato nella conference call collegata alla presentazione del rapporto, sono già contenute le misure del governo Monti. Dalla spending review alla dismissione del patrimonio pubblico, i tecnici del Fmi hanno valutato sulla base di informazioni pressoché complete. Ci sono due casi in cui è prevista una riduzione delle sofferenze italiane. Il primo, più cautelativo, vede un surplus strutturale dell’1% a partire dal 2014, con il quale è possibile che il rapporto debito/Pil cali fino al 116% nel 2017. Ancora il 10% oltre il limite specificato da Grilli. Il miglior scenario possibile, tuttavia, è un altro. La piena adozione di una riforma del lavoro che ridoni al Paese competitività e produttività potrebbe ridurre il rapporto debito/Pil al 108% nel 2017. Ma per fare questo occorre che ci siano due rivoluzioni. Da un lato, una riforma del mercato dei prodotti capace di ridurre il costo per unità di lavoro e il carico fiscale per le imprese. Dall’altro una riforma del lavoro in modo che possa essere aumentata l’inclusività e l’efficienza del sistema italiano.
Gli altri scenari sono meno ottimistici. Un fallimento nell’adozione delle riforme strutturali interne, unito a una debole domanda esterna e a ridotte condizioni creditizie possono far cadere l’Italia in una stagnazione economica. E, spiega il Fmi, con una crescita media dello 0,25% dal 2013 al 2017, il debito pubblico italiano potrebbe toccare il 128% del Pil nel 2017. In questo scenario, a patire sarebbe anche l’avanzo primario, che raggiungerebbe il 4,2% solo fra cinque anni. Troppo poco per restare al sicuro.
C’è poi il quadro di difficoltà sui mercati obbligazionari. Se lo spread, cioè il differenziale fra i titoli di Stato italiani con scadenza a dieci anni e i corrispettivi tedeschi, è in questi giorni fra i 450 e i 500 punti base, il rischio è che l’inazione nell’eurozona e le mancate riforme italiane possano spingerlo fino a 580 punti all’inizio del 2013. L’avvitamento, spiega il Fmi, sarebbe pesante. Nel 2017 i rendimenti dei Btp decennali potrebbero essere al 6,5%, con una spesa per interessi sul debito dell’8% del Pil. In quel caso, il risultato sarebbe una depressione dell’economia, capace di spingere il rapporto debito/Pil al 130% nel 2017, anche in caso di surplus strutturale all’1 per cento.
Un ritardo nell’adozione delle riforme potrebbe avere effetti devastanti. Come ricorda il Fmi, «nel 2012 solo il 25% degli aggiustamenti fiscali pianificati è stato adottato». E tale aspetto viene punito dagli investitori, specie perché le tanto attese misure per la crescita economica non si sono ancora viste. Nel caso non venisse adottata alcuna altra misura da qui a fine 2017, un’ipotesi assai remota, il debito pubblico raggiungerebbe quota 131% del Pil.
Ma cosa succederebbe se la recessione diventasse ancora più pesante? Se il Pil si contraesse di un punto percentuale in più delle previsioni del Fmi (-2,9% nel 2012, -1,3% nel 2013, -0,5% nel 2014, 0,0% nel 2015, +0,2% nel 2016 e nel 2017%, ndr) e ci fosse un aumento, rispetto a ora, di 100 punti base sui tassi d’interesse nelle varie maturity dei titoli di Stato italiani, ci sarebbe uno quadro di estrema emergenza. Il debito pubblico salirebbe oltre quota 140% del Pil nel 2017. «Una spirale senza uscita», ha commentato un’analista di Goldman Sachs dopo la conference call del Fmi.
C’è però un’altro aspetto che deve far riflettere. Il ministro dell’Economia sottolinea che l’Italia ha «un avanzo primario, cioè prima del pagamento degli interessi sul debito, del 5%». A essere precisi, come ha certificato il Fmi, l’avanzo primario strutturale è stato dell’1,4% nel 2011, mentre la previsione è che si tocchi il 4,7% a fine 2012, salvo poi salire al 6% nel 2013, mantenendo questo livello fino al 2017. Tuttavia, non bisogna dimenticare la dinamica del costo degli interessi sul debito. Questi, in caso di ulteriori shock sui mercati obbligazionari, sono destinati ad aumentare, riducendo lo stesso avanzo primario. E considerando che fra il restante 2012 e tutto il 2013 l’Italia dovrà scendere sui mercati obbligazionari per circa 415 miliardi di euro (dati Bloomberg), il rischio è dietro l’angolo. Ma c’è di più.
La banca giapponese Mitsubishi UFJ, in una recente analisi sull’andamento del debito pubblico italiano e quello nipponico, ha evidenziato che «l’Italia rischia di ripetere l’esperienza del decennio perduto del Giappone». In altre parole, Roma potrebbe entrare in una spirale di stagnazione economica, elevato debito pubblico, popolazione sempre più anziana e mancanza di riforme. A questo quadro, però, deve essere aggiunta la vulnerabilità agli shock esterni dell’Italia e il prezzo, salato, che paga ogni volta che scende sui mercati obbligazionari. Se il Giappone si rifinanzia allo 0,78% sui bond decennali, l’Italia lo fa al 6,03 per cento. Un tasso, spiega Mitsubishi, «insostenibile». Difficile pensare il contrario.