«Le cercano tutte per romperci le palle». E poi: «Poveretti loro, non molleremo mai». È un Roberto Maroni celodurista e un po’ bossizzato quello che ha commentato a caldo la notizia sull’abolizione della sacra festa sul pratone di Pontida data dal Corriere della Sera in prima pagina. Lontano dalla curatrice d’immagine Isabella Votino – che cerca di renderlo meno uomo del «contado» – il nuovo segretario federale si è fatto prendere la mano con un post su Facebook dove ha accusato il giornalista che ha scritto la notizia di essere un ubriacone. «Qui c’è qualcuno che beve troppo vino: PONTIDA NON SARÀ MAI CANCELLATA». A caratteri cubitali. Quasi urlato.
«Inusuale», sussurra qualcuno in via Bellerio, sede del Carroccio. Soprattutto dopo la politica di austerity comunicativa – niente attacchi omofobi o sulla razza – varata questa settimana e affidata al nuovo responsabile comunicazione Davide Caparini: persino l’europarlamentare Mario Borghezio è stato rimbrottato per i suoi attacchi contro il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. A dire la verità, infatti, Bobo Maroni non è mai stato avvezzo a uscite di questo tipo. Anzi, c’è chi ha sempre apprezzato dentro la Lega i suoi pochi commenti o «il parlare» solo in determinate occasioni. Cauto. Forse un po’ «democristiano», si è sempre astenuto da slogan a effetto. E in trent’anni di rapporto ha mantenuto sempre una certa equidistanza dallo statista di Gemonio. «Un leader che sa tacere», lo ha definito l’ex direttore della Padania Giuseppe Baiocchi in un post qui su Linkiesta.
Passata però la sbornia congressuale – a nemmeno una settimana dall’incoronazione di Assago – le cose sono un po’ cambiate. Sarà che l’elettorato leghista è ancora abituato al vecchio Capo. Sarà che di applausi al forum ne ha presi più il governatore del Veneto Luca Zaia, ma Maroni sembra aver cambiato registro. Certo, già durante il discorso di investituta una bombetta l’aveva lanciata. «Cazzate quelli che dicono che vogliono cambiare l’articolo 1 dello statuto», spiegò, conquistandosi forse il boato più fragoroso durante il suo intervento.
Sparate così – tra vino e coglioni – ricordano proprio l’Umberto Bossi di Gemonio, il presidente federale, il «papà» della Lega Nord, che ha costruito in questi anni un vocabolario di insulti politici di tutti i tipi. Gli ultimi che si ricordano del Senatùr – a parte i gloriosi «dito medio» e «pernacchie» – sono «Nano di Venezia non romperci i coglioni», riferito a Renato Brunetta o i diversi spediti all’indirizzo del sindaco di Verona Flavio Tosi: «stronzo» o «imbecille» sono i più gettonati.
In sostanza, mentre la Lega Nord cerca di debossizzarsi – togliendo le foto dell’Umberto da sito o moderando appunto la comunicazione – qualcuno teme ci sia il forte rischio che l’anima di Bossi s’impadronisca di quella di Maroni. È un timore che serpeggia tra i barbari sognanti. Sopratutto in questo momento, in cui di certezze politiche a livello di governo ce ne sono poche e la linea da tenere è ancora in un mare in tempesta. D’altra parte, a parte qualche slogan sull’Imu, qualche minaccia di far cadere Roberto Formigoni dalla regione Lombardia, un paio di affondi sui doppi incarichi o sulla possibilità di non candidarsi a Roma, fino a questo momento, di concreto, si è visto molto poco. Certo, ci sono solo le stelle polari «Prima il Nord» e «Per l’Europa dei Popoli», ma devono ancora essere riempite di contenuti.
Prima del congresso si diceva che durante l’assise di Assago si sarebbe fatto il punto sulle alleanze. «Chissenefrega», ha sentenziato Bobo durante il suo discorso di investitura, ancora una volta in un gergo molto bossiano. E durante la conferenza stampa di presentazione della squadra leghista – con Federico Caner (vicesegretario vicario) Emanuela Maccanti (vice) e Giacomo Stucchi (vice) – gli è stato chiesto della situazione. «Lo avete detto voi che avremmo deciso sulle alleanze», ha spiegato a un cronista, che in tutta risposta gli ha ribattuto. «No, lo ha detto lei».
Attacchi ai giornalisti, quindi. Ma pure una generale confusione sul fronte degli incarichi interni. Maroni sostiene che chi avrà incarichi politici in Lega non ne dovrà avere altri sul fronte istituzionale. Eppure la Maccanti è assessore della giunta del Piemonte di Roberto Cota. Mentre Caner è capogruppo in consiglio regionale del Veneto. Stucchi è parlamentare. A quanto pare il valzer di incarichi è molto variabile. In teoria, al momento, averne uno politico e uno istituzionale non dovrebbe generare problemi. Ma non si capisce. Tanto che l’unico che alla fine ha saputo dare una risposta esaustiva in merito, è stato proprio Caner. «Lo capiremo lunedì durante il consiglio federale quando sarà scritto il regolamento interno».
Sulla comunicazione del leader si deciderà molto del futuro della Lega Nord. «Sono uno timido», ha detto sempre Bobo al congresso. Ma l’elettorato leghista è pronto a credergli dopo anni di celodurismo bossiano? «Il problema è che la Lega sta riprendendo fortemente il consenso tra la gente (i sondaggi dicono che siamo tornati sopra il 6% e siamo in crescita) e allora le cercano tutte per romperci le palle. Poveretti loro, non molleremo mai», ha scritto sul suo profilo Facebook, ventilando un complotto dei poteri forti contro i padani. Complotto? Ne parlava giusto l’Umberto quattro giorni fa…