La prima volta del Fmi: “Banche italiane a rischio”

La prima volta del Fmi: “Banche italiane a rischio”

Non ci sono le banche spagnole a essere in crisi. Secondo il Fondo monetario internazionale anche gli istituti di credito italiani rischiano molto. La vulnerabilità delle banche italiane, ha spiegato il capo economista del Fmi Olivier Blanchard, è elevata. Più forti, più liquide, meno dipendenti dai titoli di Stato, meno esposte sull’eurozona: è così che dovrebbe essere il sistema bancario italiano. E a tal proposito, sottolinea l’istituzione di Washington, meglio evitare le ricapitalizzazioni tramite l’ingresso di capitali provenienti dai fondi sovrani esteri. Quello che è certo è che il tempo è poco e i rischi sono in aumento.

Nessuno parla ancora di una crisi severa come quella delle banche spagnole, che hanno costretto il governo di Mariano Rajoy a chiedere l’aiuto della comunità internazionale. Sotto il peso del declino del mercato immobiliare, gli istituti di credito iberici hanno registrato una sequela di svalutazioni su asset senza precedenti. Come ha sottolineato anche l’istituzione guidata da Christine Lagarde, la situazione delle banche italiane non è paragonabile a quella iberica. Eppure, i rischi di un deterioramento ci sono. Da un lato il deleveraging, dall’altro il clima d’incertezza misto a sfiducia nei confronti dell’eurozona. In mezzo, una sofferenza che viene dall’interno. «Le banche italiane devono rafforzarsi, sono troppo esposte agli shock», avverte il Fmi. E ha ragione.

Il male delle banche italiane sono gli stessi titoli di Stato italiani che nei mesi scorsi hanno comprato in massa. Più il loro prezzo cala, più gli istituti di credito italiani soffrono. «A fronte della perdita di valore dei bond governativi italiani, la vulnerabilità del sistema bancario italiano è destinata ad aumentare nella seconda fase dell’anno». Così ha detto il Fondo monetario internazionale nel suo ultimo Global financial stability report (Gfsr). Le debolezze sono tante, le risorse poche, il mercato interbancario quasi fermo. Secondo ICAP, il principale interdealer broker della zona euro, gli interventi della Banca centrale europea (Bce) sono serviti a poco. La stabilizzazione è ancora lontana, nonostante le due operazioni di rifinanziamento a lungo termine (Long-Term refinancing operation, o Ltro) condotte fra dicembre e febbraio e il taglio del tasso di rifinanziamento, portato al minimo storico, ovvero lo 0,75 per cento. «Lo stress su mercati fondamentali come quello dei Repurchase agreement (Repo, o pronti contro termine, ndr) non si è mai attenuato e l’accesso a questi segmenti, per le banche italiane e spagnole, è sempre proibitivo», ha affermato ICAP.

Il rischio di un avvitamento non si può sottovalutare. Nella primavera del 2011 iniziò il grande deflusso dei Money markets fund (Mmf), i fondi del mercato monetario. Questo storico pilastro della liquidità, nell’arco di dodici mesi, ha ridotto quasi a zero la sua esposizione sull’eurozona. «Sono troppo elevati i rischi per i Mmf statunitensi, ma anche per quelli europei, che preferiscono andare o fuori dall’eurozona ma dentro l’Europa o sugli Usa», sottolinea l’ultimo rapporto mensile di Fitch. L’agenzia di rating infatti pubblica ogni mese l’analisi di ciò che accade su questo mercato, tanto poco conosciuto quanto fondamentale per un corretto funzionamento del sistema finanziario.

Senza l’aiuto della Bce, per le banche italiane sarebbe stato assai più complicato passare l’inverno. Tramite le due operazioni di rifinanziamento hanno potuto effettuare il rollover dei bond governativi italiani che avevano in portafoglio. Ma non solo. Hanno potuto sostenere le aste dei titoli di Stato che il Tesoro ha condotto da dicembre a oggi, per oltre 200 miliardi di euro. Come spiega la banca americana Morgan Stanley, i problemi di funding delle banche italiane non sono ancora terminati. «Il mercato interbancario dell’eurozona è ancora congelato e le recenti decisioni di politica monetaria della Bce non stanno aiutando gli istituti italiani», spiegano gli analisti. Infatti, con la scelta di ridurre a zero il tasso d’interesse sui depositi overnight presso la Bce, le banche europee non hanno incentivi a dirottare i fondi su Francoforte. Così, vanno nel sistema europeo. Ma se la sfiducia è troppa, quelle considerate dagli operatori più rischiose non possono che rifinanziarsi a costi ben più elevati che nelle operazioni overnight con la Bce. «Lentamente, ma nemmeno troppo, escono dal mercato: prima vengono messe ai margini, poi vengono estromesse completamente», spiega Don Smith, di ICAP. A peggiorare le situazione, il downgrade del debito sovrano che l’Italia ha subito da Moody’s venerdì scorso. Come da consuetudine, arriverà il declassamento anche delle banche italiane, che vedranno sempre meno margini per l’accesso ai mercati più liquidi dell’eurozona.

Il quadro del sistema bancario italiano non è roseo. Nei primi tre mesi dell’anno, secondo le stime della Banca d’Italia, gli istituti di credito italiani hanno incrementato del 31% il peso dei bond governativi emessi dal Tesoro. A fine marzo avevano quindi circa 340 miliardi di euro fra Buoni ordinari del Tesoro (Bot) e Buoni del Tesoro poliennali (Btp) in pancia. Oltre a questo, in maggio, cioè l’ultimo periodo utile, i crediti inesigibili nei portafogli delle banche hanno toccato quota 15,1%, in aumento dal 14,6% fatto segnare in aprile, sempre secondo i dati di Palazzo Koch. Ma non basta. La settimana scorsa l’Associazione bancaria italiana (Abi) ha presentato il suo bollettino mensile, relativo a maggio, in cui si è evidenziato che, nell’arco di un anno, lo stock della raccolta bancaria è diminuito di circa 14 miliardi di euro. Un ulteriore problema per un settore che rischia di essere un nuovo focolaio della crisi italiana.  

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