Il candidato premier resta Pierluigi Bersani, ma Mario Monti non è incompatibile con il progetto del centrosinistra. Parola di Massimo D’Alema. L’ex premier interviene alla festa del Pd romano alle Terme di Caracalla per parlare di politica, ma non solo. Un intervento di due ore, a colloquio con la scrittrice Chiara Gamberale («non chiamatela intervista, è una chiacchierata»). Due ore fitte, davanti a un pubblico particolarmente numeroso. Tanto che alla fine in tanti sono costretti a seguire il dibattito in piedi. C’è tempo per fare il punto sulle alleanze, sul governo tecnico, su Matteo Renzi e il presidente del Consiglio. Ma anche per lasciarsi andare ai ricordi. Alla fine D’Alema coglie l’occasione persino per qualche rivendicazione, contro Moretti e una certa «sinistra snob».
Un D’Alema umano, sconosciuto ai più. «Sono aspro nella lotta politica – rivela a un certo punto – indisponente con i potenti, ma con le persone normali sono normale». Un incontro fuori dai soliti schemi. Non a caso si parte dal calcio, dalla nuova Roma di Zeman. Il dirigente democrat non ha mai fatto mistero della sua fede giallorossa. Stasera va oltre: «Sono un partigiano di Zeman» esordisce. «La sua è una figura che divide, di forte personalità, uno che ama il bel calcio». La maggior parte dei presenti annuisce compiaciuta. «È ricco» strilla qualcuno in fondo alla platea. «Credo che quest’anno ci divertiremo» continua D’Alema. Con un pizzico di ironia si corregge: «Ma temo che si divertiranno anche i nostri avversari. La società ha fatto una scelta coraggiosa, ma non se la cava così: con Zeman deve prendere almeno tre, quattro difensori tosti». Si passa alla politica. Zeman voterebbe Bersani? D’Alema non ha dubbi. «L’amore per il bel gioco è di sinistra. E anche il difetto di prendere troppi gol».
Dalla Roma alla Nazionale. La squadra di Prandelli è il pretesto per parlare di ricambio generazionale. E di Italia. «Il nostro è un paese per vecchi? – spiega D’Alema parafrasando il ct azzurro – È vero. Anche anagraficamente. E se non avessimo, fortunatamente, tanti immigrati che abbassano l’età media…Io vorrei che fossero italiani». Alle terme di Caracalla si alza il primo vero applauso della serata. Il confronto tra generazioni non può prescindere da Matteo Renzi. Il rottamatore della vecchia dirigenza Pd. D’Alema riesce a rispondere a distanza al sindaco di Firenze, senza mai nominarlo. «Ci sono i giovani, ma ci sono anche le idee» spiega. «Se tutto si riduce a una dialettica tra giovani e vecchi….». D’Alema è pronto al passaggio di testimone, lo ribadisce più volte durante la serata. È consapevole che la sua generazione, nonostante sia ancora in grado di offrire una valida testimonianza, «è avviata verso l’uscita». «Io sono a favore del rinnovamento» chiarisce senza troppa difficoltà. Ma rottamare un’intera generazione politica non è la soluzione. «Il rapporto tra generazioni è fondamentale per la formazione di una classe dirigente. Discutere con i “vecchi” arricchisce». Ultima frecciata al sindaco: «In ogni caso si è giovani a vent’anni. A quaranta si è adulti».
Tra una riflessione politica e l’altra c’è tempo per lasciarsi andare ai ricordi. D’Alema parla della famiglia, del padre «che ha fatto la resistenza a Ravenna», del nonno materno licenziato alle Poste perché si era rifiutato di prendere la tessera del Partito fascista. Di quel legame inevitabile con un partito che ricorda da vicino il welfare svedese: «È destinato ad accompagnarti dalla culla alla bara». I primi passi nel Pci. Il leader Pd racconta di quando portò il saluto dei pionieri al IX congresso del Partito comunista. Avrà avuto nove anni. «Parlai dalla tribuna, c’è una foto in cui si vedono Togliatti, Longo e Suslov che mi ascoltano. Non ho mai più avuto una platea di quel livello». Spazio anche per qualche rimpianto. «Il mio sogno è sempre stato quello di diventare segretario del Pci, ma quando ci sono arrivato me l’hanno tolto» sorride triste D’Alema.
L’incontro prende una piega nostalgica. L’ex premier parla del suo Sessantotto. La primavera a Parigi, gli studi a Pisa. «A luglio andai a Praga, mi trovavo lì quando sono arrivati i carri armati», racconta. Poi si torna a parlare di politica. E di antipolitica. L’attacco a Beppe Grillo – che D’Alema ha recentemente definito un impasto tra Bossi e Il Gabibbo – è diretto. «In Italia l’antipolitica è un dato di fondo, risorge sempre nei momenti di crisi». Il motivo? C’è una certa classe dirigente del Paese, specie tra gli intellettuali, «che non è favorevole alla democrazia e nutre un fastidio verso i partiti popolari. Vorrebbe che a esercitare il potere fossero élite di illuminati». Anche nelle polemiche dell’ultimo periodo non c’è nulla di nuovo. «Tutto quello che oggi si legge è già stato scritto». D’altronde per D’Alema la massima espressione della cultura antidemocratica e antiparlamentare in Italia resta Mussolini. «La non reiterabilità del mandato parlamentare era il punto numero 2 nel programma dell’Uomo qualunque di Guglielmo Giannini». ricorda. In ogni caso alla critica deve seguire la proposta. «Quando un partito viene accreditato dai sondaggi come il secondo o il terzo del Paese deve avere un programma. È un dovere democratico». È il caso del Movimento Cinque stelle. «Quando sento dire che dobbiamo sostituire la democrazia rappresentativa con la rete mi torna in mente chi voleva sostituire la democrazia rappresentativa con le assemblee. Sono due forme di pensiero antidemocratiche». In ogni caso gli italiani restano liberi di votare chi preferiscono. Salvo prendersi le proprie responsabilità. «Non possono sempre incolpare i partiti»
Domenica scorsa in un’intervista al Corriere della Sera D’Alema ha ipotizzato un comune progetto politico con Mario Monti. Dopo le polemiche delle ultime ore, l’incontro di stasera serve anche per chiarire il punto. «Monti non è un uomo di sinistra, ma non è incompatibile con il nostro progetto» dice D’Alema. Monti ancora premier? «No» urla una signora dalle prime file. In realtà D’Alema non ha alcuna intenzione di scaricare Bersani, che resta il candidato presidente del Consiglio del centrosinistra. Non per questo vuole prendere le distanze dal Professore. «Sul Corriere Ernesto Galli della Loggia sostiene che Monti è un liberale, quindi è di destra. Ma Galli della Loggia non si rende conto che nella storia italiana la destra non è mai stata liberale. Semmai statalista e populista. Le liberalizzazioni in Italia non le ha fatte Berlusconi, le ha fatte Bersani». Quindi? «Con Monti, oltre Monti» sintetizza D’Alema. Perché nonostante tutto, passata l’emergenza, per il futuro resta auspicabile un governo di centrosinistra.
È presto per disegnare il perimetro delle alleanze. Al centro del progetto rimane il Partito democratico. «Siamo noi gli interlocutori di Hollande, siamo noi la forza che rappresenta in Italia la sinistra progressista». Certo più avanti sarà necessario aprire anche ad altri. Si pensa all’Udc di Casini e alle forze moderate che hanno fatto opposizione al governo Berlusconi. Ma anche alle forze di sinistra. «Nichi Vendola e Sel sono parte di una sinistra di governo – spiega D’Alema – sono interlocutori essenziali. Certo, le polemiche di questi ultimi giorni non sono un segnale incoraggiante».
Tornano i ricordi. Il momento politico più coinvolgente della carriera di D’Alema? «Quella serata del 1996 – ricorda – Il giorno in cui per la prima volta la sinistra italiana arrivava al governo. Mi sono commosso. Eravamo ancora a Botteghe Oscure». Il leader democrat racconta quei festeggiamenti. «A un certo punto una vecchia compagna mi abbracciò. Mi disse: “Abbiamo vinto, adesso sì che possiamo fare opposizione”. Non eravamo abituati. Le spiegai che saremmo andati al governo, rimase sgomenta».
Verso la fine della serata qualcuno tira fuori anche quel “D’Alema, di’ qualcosa di sinistra». Il riferimento è ad “Aprile”, il film di Nanni Moretti del 1998. Ma quando il dirigente Pd risponde è difficile non pensare anche alla manifestazione di Piazza Navona di qualche anno dopo, quando dal palco il regista accusò i vertici del partito: «Con questi dirigenti non vinceremo mai». Il trasporto dei ricordi svanisce, adesso D’Alema è più distaccato. «Quello fu uno straordinario brano di autocritica. C’era tutto lo snobismo di una certa sinistra». D’Alema ricorda il film: «Quel dibattito televisivo fu un passaggio cruciale nella sconfitta di Berlusconi. Noi stavamo facendo un sacco di cose di sinistra, ma in qualche salotto romano la notizia non era arrivata».