Un’assicurazione sulla vita. Un regolamento preciso per vincolare gli alleati del prossimo, eventuale, governo di centrosinistra. E scacciare i fantasmi dell’Unione di Romano Prodi. Il segretario del Partito democratico Pier Luigi Bersani ha inserito il nuovo codice comportamentale alla fine della sua carta d’intenti, il breviario che riassume il progetto di governo del Partito democratico. Sono le regole d’oro che tutti i componenti della coalizione dovranno sottoscrivere. Regole di condotta, soprattutto. «Perché governare in tempi difficili – scandisce Bersani durante la presentazione di questa mattina al Tempio di Adriano – richiede determinazione, univocità e disciplina».
Sono sei punti, inseriti nell’ultima delle quattordici pagine del documento. Sanno un po’ di regolamento condominiale e un po’ di ragioneria. Ma sono efficaci. Chi vuole allearsi con il Partito democratico non può sgarrare. «Sono punti molto impegnativi e molto chiari» ripete per due volte il segretario. Il messaggio, tanto ai partiti a sinistra del Pd, quanto al centrodestra, è fin troppo esplicito. «L’Italia ha bisogno di un governo e di una maggioranza stabili e coesi. L’imperativo che democratici e progressisti hanno di fondo è quello dell’affidabilità e della responsabilità».
Archiviata l’immagine litigiosa dell’ultimo governo Prodi, il nuovo centrosinistra prova a costruire un’alleanza a prova di beghe interne. Non a caso il capitolo che introduce il regolamento si intitola «Responsabilità». L’invito al dialogo è aperto a partiti, movimenti, liste civiche, associazioni. Eppure già l’incipit sembra far fuori uno dei protagonisti del centrosinistra: Antonio Di Pietro. «Le forze della coalizione, in un quadro di lealtà e civiltà dei rapporti…». In quella «lealtà e civiltà dei rapporti» si nasconde tutto il disagio del segretario democrat verso i continui attacchi, rivolti a lui e al Quirinale, del leader dell’Italia dei Valori. Probabilmente già fuori dal progetto in cantiere.
Si comincia. Il primo a tutelarsi è Pier Luigi Bersani. In caso di successo alle elezioni sarà proprio lui a salire a Palazzo Chigi. Così almeno immagina. Ecco allora che il nuovo presidente del Consiglio non dovrà aver bisogno di guardarsi alle spalle. Basta sgambetti della maggioranza. Gli alleati del Pd devono impegnarsi «a sostenere in modo leale e per l’intero arco della legislatura l’azione del premier scelto con le primarie».
Secondo punto. Basta con il manuale Cencelli e la spartizione dei ministeri. I partiti della coalizione devono «affidare a chi avrà l’onere e l’onore di guidare la maggioranza, la responsabilità di una composizione del governo snella, sottratta a logiche di spartizione e ispirata a criteri di competenza, rinnovamento e credibilità interna e internazionale». E chissà che l’ultimo criterio non si riferisca a qualche tecnico dell’attuale esecutivo. Magari l’attuale presidente del Consiglio.
Le lunghe trattative durante il governo Prodi – ma anche quello Berlusconi – devono aver lasciato il segno. Stavolta Bersani elimina a priori qualsiasi potere di veto. Quando il suo governo – ammesso che Bersani guiderà mai un governo – si troverà in un vicolo cieco potrà ricorrere alla regola numero tre. «Le forze della coalizione si impegnano a vincolare la risoluzione di controversie relative a singoli atti o provvedimenti rilevanti a una votazione a maggioranza qualificata dei gruppi parlamentari convocati in seduta congiunta».
Chi ricorda la vicenda di Fernando Rossi e Franco Turigliatto? I due senatori della maggioranza che nel 2007 preferirono astenersi piuttosto che votare la mozione del ministro Massimo D’Alema e sostenere la politica estera del governo? Stavolta Bersani si tutela. Anche Sinistra Ecologia e Libertà dovrà approvare in Parlamento il rifinanziamento delle missioni militari italiane, almeno quelle già in essere. Così come il progetto dell’Alta velocità e il fiscal compact. La carta d’intenti prevede che tutti i partiti della coalizione «assicurino il pieno sostegno, fino alla loro eventuale rinegoziazione, degli impegni internazionali già assunti dal nostro Paese o che dovranno esserlo in un prossimo futuro».
E che nessuno sorrida a posizioni euroscettiche o, ancora peggio, tiri fuori ipotetici ritorni alla Lira. Gli alleati del Pd hanno l’obbligo di «appoggiare l’esecutivo in tutte le misure di ordine economico e istituzionale che nei prossimi anni si renderanno necessarie per difendere la moneta unica e procedere verso un governo politico-economico federale dell’eurozona».
Chiude la lista degli impegni, che domani Bersani presenterà a Nichi Vendola, il tema dell’alleanza con Pier Ferdinando Casini. Dell’accordo con l’Udc non si può fare a meno. E chi vorrà entrare nella coalizione dei moderati e dei progressisti dovrà farsene una ragione. Bersani chiede un impegno formale «a promuovere un patto di legislatura con forze liberali, moderate e di Centro, di ispirazione costituzionale ed europeista, sulla base di una responsabilità comune di fronte al passaggio storico, unico ed eccezionale, che l’Italia e l’Europa dovranno affrontare nei prossimi anni». Letta così, sembra che ci sia spazio anche per Gianfranco Fini e i suoi uomini.