L’Italia firma il piano di rientro dei debiti con l’Europa

L’Italia firma il piano di rientro dei debiti con l’Europa

Il 17 luglio è iniziato l’esame in commissione. Il 18 ha preso il via la discussione generale nell’aula di Montecitorio. Questa mattina la Camera dei deputati ha approvato in via definitiva il Fiscal compact. Nel giro di un paio di giorni l’Italia ratifica il trattato internazionale che vincola il nostro bilancio ai parametri stabiliti in sede europea. Tutti i Paesi con debito pubblico superiore al 60 per cento del Pil – tra cui il nostro – avranno l’obbligo di rientrare entro quella soglia nel giro di venti anni. Riducendo ogni anno un ventesimo di quella quota. Tutti dovranno introdurre nel proprio ordinamento il vincolo del pareggio di bilancio. Due provvedimenti conseguenza diretta della politica di austerità promossa dalla Cancelliera Angela Merkel, si lamentano molti. Un impegno pari a circa 45 miliardi di euro l’anno, stando ai calcoli di chi si è opposto all’approvazione.

Si tratta di uno dei provvedimenti più importanti licenziati dal Parlamento italiano negli ultimi anni. Anche per gli effetti che ricadranno inevitabilmente sui prossimi governi che si succederanno a Palazzo Chigi. Ma la notizia è passata quasi totalmente sotto silenzio. Eppure anche alla Camera – nonostante l’iter singolarmente rapido – l’approvazione del fiscal compact non è stata indolore. Un dato su tutti: il Popolo della libertà si è spaccato esattamente a metà. Da una parte i deputati berlusconiani che si sono espressi a favore della ratifica. Dall’altra quelli che, tra assenze, astensioni e voto contrario, hanno deciso di far mancare il proprio appoggio.

«Oggi, nel silenzio generale è cambiato l’articolo 1 della nostra Costituzione – spiegava qualche ora fa a Montecitorio il capogruppo leghista Gianpaolo Dozzo – La sovranità non appartiene più al popolo, ma alla burocrazia europea, che per giunta la esercita nelle forme e nei limiti che essa stessa decide». Toni esagerati? Forse. Eppure colpisce il disinteresse di buona parte dei nostri parlamentari di fronte a un tema così importante. Al voto finale sul fiscal compact erano presenti 498 deputati (su 630). Solo 414 al successivo voto sul nuovo fondo salva Stati, il Meccanismo europeo di stabilità. Curiosamente erano tra gli assenti anche Angelino Alfano, Pierluigi Bersani e Pier Ferdinando Casini. I tre leader dei partiti che appoggiano il governo tecnico di Mario Monti. Tre convinti sostenitori del processo di integrazione europea.

In Aula il deputato Pdl Guido Crosetto avanza un dubbio forse non del tutto infondato. Il pensiero che qualcosa di non proprio irrilevante sia sfuggita all’attenzione del Paese. «In Germania – dice l’ex sottosegretario pochi istanti prima del voto – ne stanno discutendo da due mesi, interpellano la Corte Costituzionale. In Olanda e in Francia i giornali parlano del tema nelle prime pagine. In Italia non una pagina di giornale, non una notizia, un dibattito chiuso in due giorni, un ministro che dà quattro minuti per gruppo a tre commissioni riunite». La differenza con gli altri partner europei salta all’occhio. «Questo è un atto fondamentale – spiega Crosetto – negli ultimi 15 anni non ci sono stati atti di rilevanza approvati dalla Camere pari all’Esm e al fiscal compact». E ancora: «L’Italia, approvando questi trattati, sta rinunciando alla sovranità».

Passino le dichiarazioni di Lega e Italia del Valori, spesso dai toni volutamente accesi (l’opposizione, del resto, si fa anche così). L’intervento di Crosetto induce a riflettere. «Qui stiamo discutendo di un impegno per vent’anni, che il prossimo anno vale quasi 50 miliardi di euro. Dove troveremo i 70 miliardi di euro (50 per il fiscal compact e 20 per l’Esm) il prossimo anno? Tutti noi capiremmo la necessità di definire con il direttore di banca il rientro da un debito che non riusciamo più a sopportare. Nessuno di noi accetterebbe, però, di delegare al direttore di banca il modo con cui rientrare, di dargli il potere di decidere di non dare più cibo ai nostri figli o di non fare più curare nostra moglie. Lo considereremmo, se fosse un impegno privato, una cosa inaccettabile».

Valutazioni giuste o sbagliate? Sicuramente meritevoli di un approfondimento. L’ex sottosegretario Crosetto spiega in Aula i motivi che non permetteranno all’Italia di rispettare l’impegno assunto oggi. Perché quando l’Italia aveva sottoscritto quell’accordo l’Europa «pensava di poter crescere al 3 per cento e con un’inflazione al 3 per cento». Il fiscal compact nasceva «con l’idea di recuperare macroeconomicamente l’impegno che veniva preso. Invece esso viene ribadito oggi, con un’Europa che pensa di non crescere il prossimo anno, con un’inflazione ferma e con una stagnazione in quasi tutti i Paesi».

L’Europa resta il nostro obiettivo. Difficile ipotizzare altre strade per l’Italia. Ma forse un trattato come quello ratificato oggi dal Parlamento, avrebbe potuto occupare un po’ più il dibattito pubblico. Nel suo piccolo, Crosetto – ma i suoi colleghi di partito che non hanno votato il fiscal compact sono stati un centinaio – è almeno riuscito a motivare il suo dissenso. «L’atto approvato oggi da questa Camera segnerà il futuro dei nostri figli: personalmente non penso di potermi prendere questa responsabilità».

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