Spread su, borse giù: così i mercati rispondono alla Bce

Spread su, borse giù: così i mercati rispondono alla Bce

Bruxelles, abbiamo un problema: la crisi è ancora protagonista nell’eurozona. Al termine dell’ennesima giornata di tensione, con l’euro sceso fino a sotto quota 1.23 contro il dollaro statunitense e con le Borse europee in contrazione, sembra che non ci sia mai stato alcun Consiglio europeo. Lo spread, ovvero il differenziale di rendimento, fra i bond decennali italiani e i corrispettivi tedeschi è tornato a 470 punti base. L’euforia è svanita e anche i grandi fondi statunitensi del mercato monetario hanno deciso di limitare il più possibile i loro investimenti, già irrisori, nella zona euro. «Il rischio è troppo elevato», avverte J.P. Morgan. 

Il risultato del vertice europeo di una settimana fa è stato duplice. Da un lato gli investitori hanno capito che prima che l’eurozona sia stabilizzata ci vorrà ancora del tempo. Tanto, forse troppo. Non hanno giovato le parole di Christine Lagarde, direttore generale del Fondo monetario internazionale (Fmi), che ha apertamente domandato al Giappone di fare di più per evitare un ulteriore deterioramento della crisi, ormai vicina al divenire globale. Dall’altro, il Consiglio Ue ha creato una mole impressionante di aspettative. E ora i banchieri centrali europei stanno cercando di calmierare gli animi, riportandoli alla realtà. Come ha ricordato il governatore della Banca di Francia, Christian Noyer, «la capacità d’intervento della Bce è evidentemente limitata». Oltre ad avere abbassato il tasso di rifinanziamento al minimo storico, lo 0,75%, e aver fatto lo stesso sul tasso dei depositi, portato allo 0%, c’è poco.

I problemi irrisolti sono tanti. Il più importante, nel breve termine, è il pieno funzionamento del fondo salva-Stati permamente European stability mechanism (Esm), che può contare su 500 miliardi di euro di dotazione massima. Quando si pensò alla sua nascita, nel dicembre 2010, ancora non si pensava che potesse essere così utile. Con la sua effettiva istituzione, arrivata nel luglio di un anno fa, si pensava che dovesse entrare in vigore nel luglio 2013. Poi, tutto è degenerato. All’aumentare della crisi greca, sfociata poi nella ristrutturazione del debito pubblico detenuto in portafoglio dai creditori privati (206 miliardi di euro su 365), si è deciso di anticipare di un anno l’inizio del suo effettivo funzionamento. Non solo. Nell’ultimo Consiglio europeo, complice la richiesta di aiuti da parte della Spagna, si è deciso di allentare le maglie dello European stability mechanism, lasciando aperto lo spazio per l’accesso diretto al fondo stesso per la ricapitalizzazione delle banche in crisi. Ma come ha ricordato ancora oggi il membro del Comitato esecutivo della Bce, Benoît Cœuré, c’è spazio affinché l’Eurotower compri ancora bond governativi. È invece improbabile che questo possa avvenire tramite il fondo Esm per creare un succedaneo del Securities markets programme (Smp), che negli ultimi due anni ha agito per placare il nervosismo degli operatori.

A seguito delle decisioni di politica monetaria compiute dalla Bce ieri, sono arrivate due sorprese. Prima J.P. Morgan, poi Goldman Sachs, infine BlackRock hanno deciso di interrompere l’accesso ai fondi del mercato monetario, storico pilastro della liquidità, per nuovi sottoscrittori. Nello specifico J.P. Morgan è intervenuta su cinque fondi (Euro Liquidity Fund, Euro Government Liquidity Fund, Euro Money Market Fund, Euro Liquid Market Fund, JPMorgan Series II – EUR), mentre Goldman Sachs ha agito su uno dei suoi fondi principali (GS Euro Government Liquid Reserves Fund), spiegando in una nota che «i mercati europei sono in un territorio inesplorato». BlackRock ha invece operato su due suoi fondi. Nell’immediato i riscontri saranno significativi. Le banche della zona euro avranno ancora più difficoltà nelle operazioni di funding sul mercato monetario ed è possibile che si ripresenti lo scenario visto nello scorso autunno, quando il settore era completamente congelato.

A una settimana dal vertice che doveva salvare l’euro, ci sono poche sicurezze. Una di queste è che il mercato dei bond governativi dei Paesi periferici continua a essere nervoso. I rendimenti dei titoli di Stato italiani con scadenza a dieci anni sono tornati stabilmente sopra quota 6 per cento. Questo nonostante nella notte sia arrivato l’esito dei tagli del governo di Mario Monti, circa 26 miliardi di euro da qui al 2014, frutto della spending review. I mercati finanziari non solo hanno recepito in modo tiepido la notizia, ma in alcuni casi hanno anche rivisto le posizioni di ieri. È il caso di Commerzbank che, dopo aver sfogliato il risultato dell’opera dell’esecutivo italiano, hanno commentato che «gli sforzi potevano essere maggiori». Ma la banca tedesca non è la sola ad aver fornito una visione negativa sulla sostenibilità del debito italiano nel medio-lungo termine.

Dal Canada arriva infatti un report della Royal Bank of Canada che lascia poco spazio all’ottimismo. Secondo gli analisti di Rbc è facile che l’Italia possa essere la prima della lista nel chiedere l’uso dello scudo anti-spread tramite lo Esm. E sebbene Monti abbia reiterato di non avere intenzione a utilizzare tale strumento, sta aumentando la pressione degli investitori. Il timore che le misure italiane non siano sufficienti nel lungo termine è elevato. Per questo, Rbc avverte i suoi clienti a restare cauti sugli investimenti in bond italiani, data la possibile richiesta di sostegno europeo.

L’ennesima giornata di passione sui mercati finanziari europei si è conclusa in malo modo. Piazza affari è stata una delle peggiori, con l’indice Ftse Mib scivolato al ribasso di 2,53 punti percentuali. Non solo. I Credit default swap (Cds), cioè i derivati finanziari che fungono da assicurazione contro l’insolvenza di un emittente, sono risaliti a ridosso dei 500 punti base. E questo significa che un investitore, per assicurarsi contro il possibile mancato pagamento di un titolo di Stato italiano quinquennale del valore di 10 milioni di dollari, oggi deve pagare circa 500mila dollari l’anno. Per fare un paragone, il Cds sull’Irlanda è negoziato intorno a 531 punti base. E Dublino è stata salvata nel novembre 2010 con bailout da 85 miliardi di euro.  

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