Dopo il terremoto che ha colpito Emilia e Lombardia, si affaccia il pericolo che le mafie possano approfittare della situazione di emergenza per investire i soldi provenienti da traffici illeciti nella ricostruzione delle città colpite dal sisma. «La mafia gli affari li fa solamente con il famoso tavolino a tre gambe», spiega Lucia Musti, procuratore aggiunto della procura della Repubblica di Modena e pubblico ministero per diversi anni alla Direzione distrettuale antimafia di Bologna,«nel senso che una di esse deve essere per forza la politica a livello locale, ossia gli amministratori comunali».
Qualche settimana fa è stato siglato in Regione un protocollo di legalità per la ricostruzione: è la conferma che l’appetito delle mafie è forte?
Le mafie fanno impresa. L’operatività in diversi settori economici costituisce ormai il primo sbocco dell’attività della criminalità organizzata. La mafia seria è quella imprenditrice, che agisce silenziosamente e non è certo quella che spara. È quella che ricicla, reimpiega in attività legali fiumi di denaro provenienti da attività illecite come il traffico di stupefacenti, l’organizzazione del gioco clandestino, lo sfruttamento della prostituzione. I terremoti, che ahimè costellano la storia del nostro Paese, sono certamente un veicolo di reinvestimento sicuro per le mafie e quindi lo è, potenzialmente, anche quello che ha colpito l’Emilia.
Ne parla come si trattasse di un fatto ineluttabile.
Le racconto un fatto che chiarisce bene il mio pensiero. Durante il terremoto de L’Aquila, al tempo in cui ero pubblico ministero della Dda di Bologna e dunque con competenza regionale, mi furono inviati degli atti da una collega di Reggio Emilia. Si trattava di intercettazioni svolte nell’ambito di indagini su un banale traffico di stupefacenti locale, che contenevano una telefonata tra un casalese ed un appartenente alla ‘ndrangheta. Ebbene, i due si stavano organizzando per andare a L’Aquila a far visita a un certo amico assessore di un certo Comune, al fine di pianificare l’inserimento di aziende affiliate alle rispettive organizzazioni nella ricostruzione post terremoto.
Questo evidenzia anche come senza la collaborazione istituzionale gli affari la mafia fa fatica a farli.
Certo. Gli affari la mafia li fa solamente con il famoso tavolino a tre gambe, nel senso che una di esse deve essere per forza la politica a livello locale, ossia gli amministratori comunali. Da questo punto di vista, non intravvedo il rischio che la mafia trovi sponde istituzionali nei territori funestati dal terremoto.
Resta però il fatto che la mafia è presumibile si stia organizzando per tentare di avere un ruolo nella ricostruzione.
È evidente. Le mafie si mobilitano e si organizzano rapidamente. Per loro è una fortuna che ci siano i terremoti, in particolare in zone come queste, ad alta capacità produttiva e dove c’è un’esigenza fortissima di riprendere a produrre nel più breve tempo possibile.
Da chi dobbiamo guardarci in particolare?
I mafiosi non abbiamo bisogno che vengano da fuori, ce li abbiamo in casa: gli affiliati ai casalesi ed alla ‘ndrangheta, i cutresi in particolare, sono già presenti in Emilia Romagna da anni. Sono attivi soprattutto nell’industria del mattone e quindi già pronti a intervenire nel processo di ricostruzione. È un fatto storico che in Emilia Romagna ci sono insediamenti mafiosi, qualcosa in più di una semplice infiltrazione, qualcosa in meno di un vero e proprio radicamento. Le Autorità costituite non possono più chiudere gli occhi, della serie “non vedo, non sento, non parlo” come le tre scimmie sagge…
E quale è la fetta della torta della ricostruzione che le mafie cercheranno di aggredire?
L’ambito dove le mafie possono “mangiare” più facilmente è quello della ricostruzione privata, perché in tale settore è più basso il livello di controlli. Rispetto alle gare pubbliche, la nuova legislazione in materia sicuramente costituisce un filtro all’inserimento da parte di ditte affiliate, poichè crea le condizioni per cui sia possibile ricostruire con precisione tutta la filiera di appalti e subappalti. Poi la normativa in tema di tracciabilità del denaro è un serio ostacolo alle operazioni di riciclaggio e di reimpiego di denaro illecito in attività economiche.
C’è però da considerare che i capi-clan e gli affiliati difficilmente sono a capo delle aziende.
In effetti facciamo i conti con il fatto che le mafie non sono fatte da personaggi che girano con la coppola in testa, privi di istruzione scolastica, ma si reggono anche su professionalità di alto livello (notai, commercialisti, ingegneri, progettisti, eccetera), che mettono appunto a disposizione dei clan competenze e cognizioni. Questo per dire che i clan sono tutt’altro che sprovveduti e cercheranno di aggirare i protocolli ed eludere la normativa. E poi, in genere ci sono i cosiddetti uomini di paglia, le teste di legno in prima linea nella gestione degli affari. Il rischio più grande è che ci sia anche la società di legno, costituita con i crismi della legalità, ma dietro la quale si celano situazioni di malaffare.
Lei crede che le istituzioni regionali e locali, al di là delle dichiarazioni di intenti, profonderanno uno sforzo straordinario perché la ricostruzione non sia inquinata dalle aziende dei clan?
Secondo me sì. Le Istituzioni ora hanno consapevolezza del tema. Consideri che pur tardivamente e dopo quello che io definisco un lungo periodo di sonno, la Regione, per merito in particolare di Simonetta Saliera, vicepresidente della giunta Errani, ha varato due leggi importanti sul contrasto della criminalità organizzata. Una di queste ha stanziato delle risorse per promuovere la cultura della legalità tra le giovani generazioni e questo è essenziale. C’è insomma una nuova consapevolezza sul tema, confermata e rafforzata dalla presenza di una vasta platea di associazioni impegnate contro le mafie.
Sul fronte delle gare pubbliche, molto dipenderà dalla volontà e capacità del Commissario straordinario di evitare ogni possibile contaminazione da parte della malavita organizzata.
Il protocollo siglato rappresenta una dichiarazione di intenti, che va necessariamente tradotta in atti concreti conseguenti. È comunque un primo passo importante. Ciò a fronte di un governo regionale che, allo stato, pare essersi comportato nel rispetto della legalità.
La fame di credito da parte di chi vuole ricostruire velocemente per ripartire al più presto può essere un ulteriore terreno fertile per i clan?
Il rischio che la malavita organizzata faccia, come si suol dire, da banca alternativa, è effettivo. Con la evidente conseguenza per cui la messa a disposizione di somme di denaro a tassi usurari, potrebbe dare luogo a situazioni di asservimento alla malavita organizzata e di inquinamento del tessuto economico-produttivo. Rendiamoci conto che il mercato del credito parallelo è nelle mani dei clan e purtroppo, in una situazione come questa, è più facile che il denaro venga ottenuto da questo canale che da canali ufficiali.
Un’ultima domanda, dottoressa Musti: la mafia può essere vinta?
La mafia esisterà fino a quando esisterà l’essere umano. Guardi non si tratta di avere un atteggiamento arrendevole, quanto invece consapevole del valore del “nemico”. Conosco le potenzialità della mafia, gli strumenti che utilizza. Più andiamo avanti, più crescono gli strumenti della malavita organizzata e più diminuiscono quelli a disposizione dello Stato, che tuttavia fonda la sua più grossa offensiva sul diffuso senso del dovere da parte delle forse dell’ordine e della magistratura. È preferibile un atteggiamento concreto, continuare a lavorare e tenere sempre alta la guardia con la consapevolezza che per il contrasto alle mafie non basta solo l’impegno di coloro che sono preposti a tale compito, ma è necessario anche il sostegno della collettività e la più ampia diffusione della cultura della legalità.