Tonfo dei mercati, «non ci sono più sicurezze nell’eurozona»

Tonfo dei mercati, «non ci sono più sicurezze nell’eurozona»

Vendere tutto. Se nella giornata di venerdì il forte calo del mercato azionario italiano (e non solo) era imputabile molto alle scadenze di future e opzioni sugli indici di Borsa, come avviene ogni terzo venerdì del mese, l’apertura di lunedì è stata caratterizzata da un massiccio sell-off. Vendere, vendere, vendere. È questo l’imperativo, nato nel weekend, che ha caratterizzato le sale operative di banche, fondi d’investimento e hedge fund. E le vendite sono arrivate fin dal principio. 

La mattina è partita subito in rosso. Il Ftse Mib, principale indice di Piazza affari, ha iniziato in discesa di circa 1,6 punti percentuali e poi ha continuato il declino fino al minimo da due anni, sotto i 12.400 punti. Un risultato che ha portato la Consob, l’authority di vigilanza finanziaria italiana, a tornare sui suoi passi e vietare la vendita allo scoperto sui titoli bancari e assicurativi. Come un anno fa, più di un anno fa. Nel luglio di dodici mesi fa c’era la sorpresa di essere al centro dell’attenzione dei mercati finanziari. Una crisi che poi portò alla capitolazione del governo di Silvio Berlusconi, ormai senza più margini di governabilità, in novembre.

Pesante anche il mercato obbligazionario italiano, sulla scia di quello spagnolo. I rendimenti dei titoli di Stato decennali italiani, i Buoni del Tesoro poliennali (Btp), sono schizzati in alto fin dall’apertura di ottava, toccando quota 6,426% e restando sopra il 6,2% per tutta la mattinata. Lo spread, cioè il differenziale fra il tasso d’interesse dei Btp e il corrispettivo tedesco di pari entità, il Bund, è tornato a lambire i 530 punti base, vicino ai massimi dello scorso novembre, quando si toccarono i 553 punti. «Colpa anche del Bund, che continua a essere il principale oggetto del Fly-to-quality nell’eurozona, come anche l’Olanda e perfino il Belgio», ha scritto stamattina la banca americana Morgan Stanley. Più l’incertezza aumenta nei Paesi periferici, più i capitali degli investitori prendono la via dei Paesi considerati il cuore della zona euro. Anche se questo significa avere dei tassi d’interesse negativi nelle aste sul mercato primario.

Come l’Italia, la Spagna. Il tasso d’interesse dei Bonos iberici ha raggiunto il massimo storico, a quota 7,565 per cento. Una performance mai vista prima e coadiuvata dalle parole del ministro dell’Economia Luis De Guindos, che in mattinata ha escluso la possibilità che Madrid possa chiedere un sostegno finanziario totale e non riservato al sistema bancario. «Non abbiamo bisogno di un pieno bailout», ha detto De Guindos. Una frase che ha ricordato quella che aveva pronunciato in aprile in riferimento alle banche iberiche, poi salvate poche settimane dopo. «Il sell-off è iniziato dalla Spagna, ma questo già si sapeva, dato che le posizioni massicciamente ribassiste su Madrid sono tante e sono aumentate negli ultimi quattro giorni», ha detto a Linkiesta un analista della divisione Fixed income di Credit Suisse. In pratica, il timore che la Spagna possa portarsi dietro di sé tutta l’eurozona sta modificando l’asset allocation in modo ancora più marcato rispetto gli ultimi mesi. La nota della settimana del Crédit Agricole lascia poco spazio all’ottimismo: «Lunghi per Germania, Finlandia, Olanda e Belgio, con qualche cautela nel lungo periodo per la Francia e corti su tutto il resto, da Italia a Spagna». Questo si traduce con i brutti risultati odierni.

La situazione fra Italia e Spagna è però ben diversa. Per Roma, le vendite si sono concentrate sulle banche, il peso maggiore dell’indice Ftse Mib, per via della loro esposizione ai titoli di Stato italiani, troppo elevata. Per Madrid a preoccupare sono sempre le banche, ma per altre ragioni. Il debito delle pubbliche amministrazioni locali da una parte e la bolla immobiliare ancora non del tutto esplosa rischiano di appesantire ancora di più i bilanci degli istituti di credito con crediti dubbi o inesigibili, facendo alzare l’asticella del conto finale del piano di salvataggio bancario deciso durante l’ultimo Consiglio europeo del 28 giugno.

Da un lato l’incertezza sull’eurozona, dall’altro il tentativo di scaricare lo scaricabile. Sono due le ragioni che hanno portato a queste performance. «Non si può fare altro che vendere qualsiasi asset legato all’eurozona, con un particolare focus, gli europei devono capire che devono decidere che cosa vogliono fare della loro “unione”, tanto forte sulla carta, tanto debole nella realtà», ha scritto Louis Moore Bacon, numero uno del fondo hedge americano Moore Capital Management. E come lui, tanti altri. Un esempio? Société Générale, una delle maggiori banche francesi, che ha affermato in una nota di stamattina che «non ci sono più sicurezze nell’eurozona». E la colpa è dei politici europei, troppo lenti e divisi nella gestione della crisi.

Come ha spiegato a Linkiesta il gestore di un hedge fund londinese, uno degli obiettivi è ora quello di testare la solidità dei meccanismi di contenimento della crisi che sta vivendo l’euro. Primo fra tutti, lo European stability mechanism (Esm), il fondo salva-Stati con un tetto massimo da 500 miliardi di euro che partirà, se tutto va bene, il 12 settembre, quando la Corte costituzionale tedesca si esprimerà sul fondo stesso. «È una misura insufficiente per l’eurozona e non servirà nemmeno a prendere tempo, dato che i conti pubblici dei singoli Paesi, come Grecia o Spagna o Italia, continuano a peggiorare di giorno in giorno», fa notare l’hedge fund manager a Linkiesta.

Come se non bastasse, oggi sono stati pubblicati i risultati del Bank of America-Merrill Lynch Global Investor Survey. Effettuato fra 91 gestori finanziari Fixed income, ha evidenziato che il 25% prevede due o più ristrutturazioni del debito sovrano nella zona euro nei prossimi dodici mesi. Dopo la Grecia, che ha effettuato un’operazione analoga in marzo sulla parte di debito pubblico, circa 206 miliardi di euro su 365 complessivi, detenuta dai creditori privati, è possibile quindi che si giunga a nuove sofferenze. Osservata speciale è la Spagna, dopo la pubblicazione di un’analisi costi-benefici di un riscadenzamento del debito, con un haircut, cioè una svalutazione del valore nominale dei titoli detenuti in portafoglio. Secondo Brevan Howard, hedge fund londinese e autore della ricerca, è possibile che si arrivi a questa soluzione entro la metà del 2013, quando cioè il fondo Esm sarà pienamente attivo. La scorsa settimana Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos, si diceva sicuro: «L’estate si preannuncia meno agitata di come si poteva immaginare». Si spera che i fatti non lo smentiscano.

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