«Siamo entrati nell’era della biologia digitale». Questo il messaggio di un personaggio abituato a trovare lo slogan migliore per impressionare il mondo come Craig Venter. Sottotitolo: io ne sono il profeta. L’occasione è stata l’EuroScience Open Forum di Dublino (11 – 15 luglio), in cui lo scienziato e imprenditore americano è stato invitato a tenere due interventi sul futuro della ricerca in biologia.
Il muro che separa il mondo biologico e quello digitale sta crollando: già oggi siamo in grado di convertire le molecole del codice genetico in una serie ordinata di bit. Ma, sottolinea Venter, è possibile anche fare il contrario: progettare in laboratorio cellule che non esistono in natura, proprio come farebbe un architetto o un ingegnere, per poi farle diventare reali. Una prospettiva che ha già cominciato a dare i primi frutti al J. Craig Venter Insitute e che apre una nuova pagina nella storia della biologia, una pagina nella quale il ricercatore nativo di Salt Lake City vuole essere uno dei protagonisti principali.
Nella sua doppia veste di scienziato e di imprenditore, Venter ha sempre cercato di coniugare ricerca e mercato tecnologica nel modo più fruttuoso possibile. Già alla fine degli anni Novanta, quando lavorava ai National Institutes of Health (NIH) al progetto di sequenziamento del genoma umano, ha visto la possibilità di trarre profitto dalla tecnica che lui e il suo team avevano messo a punto, il cosiddetto shotgun sequencing. Ne nasceva un’azienda, la Celera Genomics, che ha messo una buona dose di sale sulla coda del consorzio pubblico internazionale che cercava di arrivare a un risultato.
Il metodo di Venter, infatti, è ancora oggi efficace ed estremamnte più veloce. Il mondo ha così assistito a una competizione mai vista prima nella storia della scienza moderna, con Venter che diventa un’icona di quel periodo culminato con la pubblicazione della sequenza nel 2000. Venter ne usciva come un personaggio controverso, perché alcuni vedono negli interessi privati ed economici sul genoma come una mezza eresia, ma capace di una svolta a tutta la vicenda del sequenziamento del DNA umano.
A Dublino Venter è stato invitato a tenere una conferenza al Trinity College. Luogo e titolo, Che cos’è la vita?, sono gli stessi di uno storico intervento che il fisico Erwin Schrödinger tenne nel 1943, anticipando di un decennio la scoperta della forma del DNA di Francis Crick e James Watson. Venter non teme il confronto con la storia e si pone volentieri alla fine di una lunga catena di avanzamenti scientifici come il primo ad aver creato un battere controllato da materiale genetico completamente sviluppato in laboratorio.
Era il 20120. Oggi Venter è pronto per un altro salto nel futuro con la “digitalization of biology” raccontata a Dublino. Il primo passo del processo è già nella pipeline del suo istituto-azienda. Collaborando con l’NIH e la multinazionale del farmaco Novartis, il Venter Institute sta mettendo a punto un metodo rapidissimo per contrastare le epidemie di influenza. Per realizzare un vaccino è necessario conoscere dettagliatamente il DNA del virus che causa la malattia.
Con le tecniche di sequenziamento messe a punto dal team di Venter presto sarà possibile farlo in meno di ventiquattro ore. Una volta isolato il virus, il “Venter Institute digitalizza il DNA e lo invia in forma digitale alla Novartis” che da queste informazioni è in grado di ritornare sul piano biologico e sintetizzare il vaccino. Un giorno non molto lontano, ipotizza Venter, “avremo una piccola device collegata al nostro computer in grado di convertire un DNA digitale i un farmaco reale in pochi minuti”. Magari personalizzato, dopo che con la stessa tecnologia avremo mandato a chi produce il farmaco un campione digitale del nostro DNA.
L’importanza scientifica di tutto questo lavoro non è in discussione e anche una parte della comunità scientifica sembra aver ormai messo da parte le proprie reticenze. Ma le fortune del Venter Institute continuano a generare malumori. La fortuna industriale della maggior parte delle meraviglie di scienza applicata di cui ha parlato a Dublino si basano sulla possibilità di proteggere con il copyright le sostanze e le sequenze di DNA che vengono prodotte al computer e vengono poi sintetizzate in laboratorio.
Nel caso del vaccino dell’influenza, per esempio, se la tecnologia impiegata per la digitalizzazione rimane di proprietà del Venter Institute, l’NIH dovrà pagare per utilizzarla oppure comperarla. Si tratta di una situazione che a una fetta della comunità scientifica, mai come oggi coinvolta in una discussione sull’accesso aperto alle scoperte scientifiche, non si sente di sposare. Soprattutto perché, in questo, caso a godere i frutti dell’investimento pubblico sarebbero le farmaceutiche come Novartis.
Un altro tema è quello della brevettazione di nuove forme di vita. Quando Venter ha solcato i mari con il suo yacht, il Sorcerer II, alla ricerca di nuovi batteri che potessero produrre sostanze utili, si è visto rifiutare il brevetto perché secondo la legge statunitense non si poteva parlare di frutto dell’ingegno umano. Forse è uno dei motivi per i quali il progetto è divetanto secondario nelle attività del Venter Institute, che ha preferito concentrarsi su batteri creati ex novo in laboratorio.
Batteri “inventati” in laboratorio per scopi specifici “ci possono aiutare a produrre cibo in modo sostenibile per i nove milioni di esseri umani che popoleranno la Terra nel giro di poche anni”, sottolinea Venter, “ci aiuteranno a produrre fonti energetiche economiche e pulite, potranno aiutarci a purificare l’acqua dagli inquinanti e a produrre nuovi farmaci”.
Ovviamente in questa storia Venter e il suo istituto sono il nodo centrale in un connubio di ricerca, applicazione tecnologica e industrializzazione dello sforzo scientifico. Dovesse avere successo anche questa volta, le controversie sulla sua figura non potranno che aumentare. Ma fin dal sequenziamento del DNA l’approccio da maverick di Venter ha sempre avuto il merito di generare novità e speso di fungere da vero e proprio acceleratore per l’innovazione.