A Treviso case chiuse legali, se lo Stato le tassa ricava 1 miliardo

A Treviso case chiuse legali, se lo Stato le tassa ricava 1 miliardo

Nel Trevigiano, a Godega di Sant’Urbano, non saranno più multate le prostitute che lavoreranno in appartamento: il sindaco della Lega Nord Alessandro Bonet ha deciso di cambiare il regolamento comunale. L’amministrazione «non perseguirà chi si prostituisce volontariamente a casa propria senza procurare fastidio o creare turbativa all’ordine pubblico nel rispetto della civile convivenza e della pubblica moralità». La prostituzione è molto più di un problema di ordine pubblico, eppure il legislatore sembra aver abdicato al suo ruolo di regolatore. 

L’Italia ha deciso di non affrontare in tal senso l’argomento. Che si scelga per una via permissiva o proibizionista, l’Europa ha legiferato mettendo chiarezza nell’attività. Germania e Olanda sono i paesi più celebri da questo punto di vista: appartamenti privati, quartieri a luci rosse, registrazione di chi svolge l’attività, regolare tassazione, controlli sanitari favoriti e gratuiti. 

La legge Merlin ha più di cinquant’anni. Vieta la prostituzione in case chiuse e appartamenti privati. La situazione si è complicata da allora: in Italia svolgono il mestiere 70.000 persone tra uomini e donne, di cui l’80% stranieri e, di questi, 40% non comunitari. Le conseguenze? La mancanza di permesso di soggiorno per i non-comunitari, come di diritti e doveri in generale, spinge ad appoggiarsi al sistema criminale per ottenere tutti quei servizi (casa, credito, aiuto di qualunque genere) impossibili da trovare in clandestinità.

A muoversi sono in pochi. I Radicali di Milano stanno raccogliendo firme per chiedere al Comune che il Sindaco intervenga in materia considerando la prostituzione alla pari di qualsiasi altro esercizio commerciale, stabilendo luoghi, orari di prestazione e dando il permesso di creare cooperative e società per lo svolgimento dell’attività. Come diconogli stessi Radicali, la raccolta firme è un pretesto politico per far emergere un problema non considerato dal legislatore. L’Associazione Certi Diritti ha sottoscritto un manifesto insieme ad altre associazioni perché lo Stato si occupi del fenomeno additando l’ipocrisia italiana come causa del sistema criminale di schiavitù, clandestinità e violenza.

Pia Covre, del Comitato Diritti Civili delle Prostitute, spiega a Linkiesta la difficoltà del legislatore davanti al problema: innanzitutto la complessità di un mercato estremamente variegato, la necessità di rispettare i diritti di tutti i soggetti coinvolti e di creare gli incentivi giusti per spingere le prostitute fuori dal sommerso. Insomma, non basta tirare una riga sulla legge Merlin per risolvere il problema: una eventuale regolamentazione ha bisogno di un disegno chiaro del sistema, dei meccanismi e dei nodi da sciogliere. Un esempio: per il numero di straniere coinvolte, l’abolizione della legge vigente porterebbe alcuni a venire allo scoperto, altri a rimanere nella clandestinità creando possibili disincentivi per i primi a entrare nell’ambito legale.

Nel 2010, la senatrice radicale Donatella Poretti ha presentato un emendamento alla legge di spesa in cui si chiedeva il riconoscimento legale dell’attività e l’imposizione Irpef su chi la intraprendeva. Contattata da Linkiesta, la senatrice spiega che si trattava, in realtà, più di una provocazione politica che un vero disegno di legge. «Il primo passo è riconoscere il fenomeno» dice «mentre negli altri paesi europei la prostituzione, sia in senso proibizionista sia libertario, è stata riconosciuta e affrontata legalmente, nel nostro Paese non si è neanche partiti per affrontare il fenomeno». Insomma: capire e affrontare seriamente la questione lasciandosi alle spalle una legge «che poteva servire cinquant’anni fa, ma che ora crea situazioni problematiche insolubili».

Il problema si fa serio quando gli organi dello Stato vanno in contraddizione sulla questione. Se da una parte, infatti, la Corte di Cassazione nel 2011 ha definito il reddito da prostituzione tassabile e l’Erario ha multato prostitute per reddito celato (reddito, quindi, riconosciuto di provenienza da un’attività clandestina di prostituzione), dall’altra il legislatore, non mettendo mano alla materia, ha creato un vuoto legale. Se, infatti, la prostituta paga per il reddito celato, dall’altra non le è permesso di pagare le imposte perché fuori dalla regolamentazione.

A certe scelte certe conseguenze. La legalizzazione in primis e una seria riforma permetterebbe al clandestino di emergere, al commercio criminale di perdere una fetta consistente dei suoi introiti (gli introiti stimati da sfruttamento si aggirano tra i 2,2 e i 5,6 miliardi di euro), maggiori controlli igienico-sanitari e un’entrata annuale nelle casse dello Stato. Secondo i Radicali si parla di 80 milioni di euro annui, secondo la Lega Nord, che in vista delle elezioni politiche del 2013 presenterà una raccolta firme per l’abolizione della legge Merlin, si parla di una tassazione su 3 miliardi di redditi annui, ovvero 900 milioni di entrate con una tassazione al 30%. La differenza tra le cifre deriva dall’aver esentato dal calcolo (per stima) le vittime di schiavitù e le minorenni.

Entrate per lo Stato o no, la prostituzione è una materia complessa a cui il legislatore non vuole mettere mano. Eppure oltre alle 70.000 prostitute stimate che operano sul suolo italiano, sono 9 milioni gli italiani che usufruiscono del servizio; quasi un sesto della popolazione, per dare un ordine di grandezza. E non è solo questione di donne per strada e decenza pubblica, ma un problema sanitario, criminale e, più semplicemente, del diritto di svolgere un lavoro come un altro. In questa strana battaglia che vede sulla stessa linea Radicali e Lega Giancarlo Gentilini, ex sindaco di Treviso, pronto alla ricandidatura, è dal 1995 che chiede la riapertura delle case chiuse nel trevigiano: «È tempo che quel flusso di denaro esentasse finisca finalmente nelle tasche dei cittadini italiani».

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