Altro che Pd, le coppie di fatto a Vicenza sono già realtà

Altro che Pd, le coppie di fatto a Vicenza sono già realtà

VICENZA – Era lo scorso febbraio quando un anziano residente di Vicenza, avvicinandosi al banchetto di raccolta firme allestito dal “Comitato Diritti Vicenza” nel centro storico, aveva detto: «Mi son democristian, ma firmo o steso». Sono democristiano, ma firmo lo stesso. L’iniziativa, ricalcata sui “Pacs alla padovana” approvati dal consiglio comunale patavino nel dicembre del 2006, era volta a far applicare la legge 1228/54 e il relativo regolamento di attuazione 223/1989. Queste due norme definiscono il concetto di “famiglia anagrafica”, ossia una formazione costituita da persone che coabitino e siano legate da vincolo di matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela e anche solo da “vincoli affettivi” (le cosiddette coppie di fatto, senza distinzioni di orientamento sessuale). Non si tratta quindi dell’istituzione di un nuovo registro, ma del semplice rilascio di un attestato che riconosce alcuni diritti – su tutti quello di accedere alla cartella medica del convivente.

Mattia Stella – presidente trentacinquenne del Comitato Dir. Vi., sposatosi a Londra con il suo partner neozelandese nel 2007 – ricorda a Linkiesta che nell’ambito di questa raccolta firme «hanno partecipato un sacco di individui di qualsiasi orientamento sessuale, ma soprattutto tantissime coppie sposate, a dimostrazione del fatto che la questione delle coppie non sposate è molto sentita, e in modo trasversale». Tuttavia, afferma Stella, «non c’era stato nessun contatto tra noi e il sindaco, non sapevamo quale fosse la sua opinione e posizione in merito». Achille Variati, sindaco del Partito democratico e già primo cittadino con la Democrazia Cristiana dal 1990 al 1995, ha subito accolto la proposta: «Estendere i diritti, laddove non vengano lesi i diritti di altri o altre forme di diritto, credo sia sempre giusto, e che rappresenti un avanzamento della nostra società. E credo sia persino doveroso per un’amministrazione pubblica, tanto più in presenza di una legge esistente che chiede solo di essere applicata e concretizzata con una opportuna regolamentazione per gli aspetti di competenza comunale». 

Il vescovo Beniamino Pizziol, di contro, aveva criticato la misura: «La tutela di aspetti derivanti da una convivenza di fatto non appare perseguibile con il ricorso allo strumento dell’anagrafe, che non ha questo compito e non può essere strumentalmente utilizzato per questi fini». Insomma, pur stigmatizzando le discriminazioni verso «le persone con orientamento sessuale omofilo», la Curia ribadiva che «eventuali convivenze tra persone dello stesso sesso non possono pretendere il riconoscimento giuridico accordato alla famiglia fondata sul matrimonio». Il 7 maggio Variati ha firmato l’ordinanza per la costituzione delle famiglie anagrafiche per vincoli affettivi, poi entrata in vigore questo primo giugno. «Io sono un sindaco di fede cattolica – spiega Variati a Linkiesta – . Ma ho il dovere di essere il sindaco di tutti, e a condurmi devono essere le regole costituzionali, le leggi e una sana laicità». 

Ad oggi sono diciannove le coppie ad aver fatto regolare richiesta. In un’intervista al Giornale di Vicenza Massimo Pecori, assessore all’anagrafe, ha commentato questi dati: «È presto per le analisi, ma non mi sembra una corsa all’anagrafe, forse perché la novità deve ancora essere metabolizzata. Ricordo che il sindaco ha solo applicato una legge del ’54. Chi si aspettava cataclismi per la città aveva visto male». I primi a presentarsi in Comune sono stati Matteo e Lisa (rispettivamente 34 e 24 anni), titolari del bar “Caffè dei Signori” nella centralissima piazza dei Signori. «È stata una pura formalità: siamo solo andati a dire che non siamo due sconosciuti. Basta. Non è nulla di rivoluzionario, già si sapeva prima che abitavamo e vivevamo insieme», racconta Matteo. «Eppure – dice Lisa – sembra uno scandalo, sembra che si voglia sovvertire il matrimonio». «Già», continua Matteo. «Non è nulla di che: si acquisiscono due diritti in croce che sono naturali per due persone che vivono insieme perché hanno un rapporto d’affetto. È una cosa logica, non dovrebbe neanche essere qualcosa per cui si va a firmare. Dovrebbe essere una cosa dettata dal buon senso. Invece, sembra quasi di essere in Sicilia agli inizi del ‘900, quando si faceva la fuitina».

In Veneto, le coppie di fatto sono riconosciute a Padova, Venezia e Vicenza, e presto potrebbe aggiungersi Belluno. Il sindaco Jacopo Massaro ha recentemente dichiarato: «È un’opzione non contemplata nel nostro programma elettorale, ma personalmente la vedo in modo positivo anche se è un tema tutto da approfondire. È una cosa nuova, da discutere tutti insieme. Se ci sarà una proposta la valuteremo con attenzione». Mattia Stella si dice «molto ottimista» sulla situazione dei diritti civili in regione: «Per diversi anni il Veneto è rimasto aperto a livello individuale. Quindi finché tutto veniva fatto a casa o da qualche parte nascosto dalla società, andava tutto bene. Oggi invece finalmente si aprono le questioni sul rendere aperto a tutti il proprio orientamento sessuale o il proprio stile di vita. Vedo che si stanno facendo passi avanti».

Negli ultimi vent’anni la lista dei comuni italiani che hanno approvato registri delle unioni civili o dato attuazione alla legge 1228/54 si è allungata sempre di più, fino ad arrivare a più di ottanta. L’ultima città in ordine cronologico è stata Milano. Se dunque, come scritto in un articolo apparso sul mensile Pride di maggio 2012, «l’obiettivo originario di creare dibattito a livello locale è stato effettivamente centrato», quello primario di «spingere il parlamento ad agire […] non è invece stato raggiunto neanche lontanamente». L’Italia, infatti, continua a rimanere sensibilmente indietro sulle tematiche legate ai diritti civili ed è uno dei pochi Stati europei a non fornire alcuna tutela alle coppie omosessuali. Nel 1989 la Danimarca è stato il primo Paese a riconoscere i matrimoni tra sessi uguali. Olanda e Belgio lo hanno ammesso nel 2001 e nel 2003. La Spagna ha introdotto il matrimonio civile tra gay (e la possibilità per questi di adottare figli) nel 2005. Il Portogallo ha approvato la proposta di legge per regolarizzare il matrimonio nel 2010. In Francia i Pacs sono in vigore dal 1999. In Germania esiste, dal 2001, il “contratto di vita comune”, che sostanzialmente equipara i diritti gay con quelli degli etero sposati. Nel 2005 il Regno Unito ha introdotto il “partenariato civile”, che garantisce alle coppie gay diritti su eredità, lavoro e pensioni.

La polemica ciclicamente si infiamma, e le proposte di legge ristagnano in Parlamento. Il ddl sui Dico, proposto da Rosy Bindi nel 2007, è perso nei meandri della procedura legislativa. La deputata del Pd Paola Concia ha presentato tre proposte per regolarizzare le unioni gay, modellate sui Pacs alla francese, sul “partenariato civile” e sull’estensione del matrimonio (ddl 1630/2008: “Modifiche al codice civile in materia di eguaglianza nell’accesso al matrimonio”). Antonio Di Pietro è stato il primo segretario di partito a firmare un disegno di legge per il matrimonio gay. La proposta ha incontrato il favore di Beppe Grillo. Nichi Vendola ha espresso la sua posizione su Twitter e Facebook: «Sono per il diritto a matrimonio gay perché il Medioevo italiano è durato fin troppo. Basta con frammenti di diritti, vogliamo diritti interi, eguali per tutti”. Ed è sui diritti dei gay, rileva L’Espresso del 20 luglio, che nel Partito democratico «si gioca l’egemonia tra i post-comunisti, sempre più dominanti, e l’ala cattolica, in difficoltà e dunque più combattiva. Ecco perché l’ultima assemblea [l’assemblea nazionale del 14 luglio, nda] non è il capitolo finale dello scontro. Anzi, è solo l’inizio».

In merito a ciò, Achille Variati parla di «dibattito sterile» all’interno del Pd. Da un lato, secondo il Sindaco, non bisogna fare «confusione rispetto alla famiglia tradizionale»; dall’altro, però, non si deve nemmeno «nascondere la testa come gli struzzi rispetto a realtà che esistono». Insomma, sostiene Variati, «da un partito come il mio mi aspettavo maggiore chiarezza e punti indiscutibili su cui un Partito Democratico si dovrebbe contraddistinguere». Il 31 luglio il segretario Pier Luigi Bersani, presentando la “carta d’intenti” per il 2013, ha cercato di fare chiarezza. Al punto nove, infatti, si legge: «Daremo sostanza normativa al principio riconosciuto dalla Corte costituzionale, per il quale una coppia omosessuale ha diritto a vivere la propria unione ottenendone il riconoscimento giuridico». Questione chiusa?

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