Giovine Europa nowAltro che primavera araba, la guerra in Siria è per il gas

Altro che primavera araba, la guerra in Siria è per il gas

(articolo originariamente pubblicato sul blog “Giovine Europa now“)

La Siria è un paese relativamente piccolo, ancorché ricco di storia, ma ciò che sta accadendo da quelle parti dice cose ben più importanti sulla politica mondiale ed europea, e sul loro futuro. Damasco è in fiamme da oltre un anno: che cosa sta succedendo? Dove è finito il vento della primavera araba? L’impressione è che ne abbiano preso il posto ben più pericolosi venti di guerra, non solo in Medio oriente.

Nessuno ‘interviene’ in Siria perché ci sono già tutti. Gli Usa hanno ammesso la presenza di forze speciali e di intelligence. Con loro, in fila, gli alleati britannici, l’ex potenza coloniale francese, le monarchie assolute del Golfo, l’ambiziosa Turchia, i giordani, gli israeliani, e svariati gruppi di militanti fondamentalisti. Ma soprattutto ci sono Russia e (più indirettamente) Cina. L’’amicizia’ tra Russia e Siria risale al 1971, ed è cresciuta grazie a forniture di armi e personale specializzato, investimenti in gas e gasdotti, e la concessione a Mosca della base marittima di Tartus, l’unica della flotta russa nel Mediterraneo (a parte il Mar Nero). Oltre a questo, però, c’è in gioco molto di più. La Russia sta gradualmente recuperando il suo ruolo storico di grande potenza e non vuole piu’ cedere alle interferenze ed all’espansione americana.

L’Europa orientale è entrata nella Nato; Ucraina e Georgia ci sono andate vicino; vari gruppi di fondamentalisti hanno minato l’integrità del paese; Washington ha poi continuamente corteggiato le repubbliche ex sovietiche dell’Asia centrale. Ora basta. La Russia dice no; e lo ha fatto, insieme alla Cina, in sede di Consiglio di Sicurezza Onu. Sull’intervento Nato in Libia, Russia e Cina si erano astenute; sulla Siria hanno posto il veto. In gioco ci sono rapporti di potere mondiali, produzione di armi, e delicatissime questioni energetiche. Dietro Siria e Iran c’è la Russia. Israele intanto minaccia un attacco a Teheran; sarebbe una follia, sotto tutti i punti di vista; il primo passo di uno scontro ‘eurasiatico’ globale che su scala ridotta è gia’ combattuto in Siria. A ciò si aggiunge la questione del gas. Torniamo indietro di circa un anno.

Luglio 2011: Siria, Iraq e Iran firmano un accordo per costruire entro il 2016 un gasdotto collegante South Pars (Iran), il più grande giacimento mondiale di gas naturale, alla Siria e dunque al Mediterraneo. Un ottimo affare anche per la Russia, certo un po’ meno per la Turchia, membro influente della Nato. 16 agosto 2011: il governo siriano annuncia la scoperto di un vasto giacimento di gas a Qara, vicino a Homs. Da allora lo scontro armato non si è più fermato. Assad poteva giocare un ruolo importante su più scacchieri, e molti in Occidente non hanno gradito. Russia e Cina però hanno detto no, e lo stallo non si è ancora sbloccato.

Il controllo delle risorse energetiche è lo strumento principale per avere un ruolo importante nel futuro dei rapporti di forza mondiali. La crescita straordinaria di Cina, India, Indonesia e numerosi altri paesi asiatici ed africani sta cambiando la geopolitica e cambierà a breve anche il nostro stesso stile di vita. Diamo un’occhiata a qualche cifra. Nei paesi in via di sviluppo dell’Asia orientale la quota di automobili in circolazione è aumentata da 19 a 54 per 1000 abitanti in sei anni (2003-2009); si è quasi triplicata. Quanto al numero di utenti internet, negli anni 2000-2011 in Africa esso è cresciuto da meno di 5 a 140 milioni; in Asia, da 114 milioni ad oltre un miliardo. Oltre alla pressione sulle infrastrutture e tecnologie, c’è poi quella sulle risorse alimentari; sull’acqua. Controllare l’energia è diventata una chiave. E qui entrano in gioco le regioni ricche di gas e petrolio del Medio oriente e dell’Asia centrale; in quest’ultima, Russia e Cina sono ‘padroni di casa’, e l’avanzata degli Usa può comportare non pochi problemi geopolitici. L’Europa, manco a dirlo, non esiste, se non nelle velleita’ delle sue ex grandi potenze coloniali.

In realtà, l’Unione europea si è giocata una carta importante con il finanziamento del gasdotto Nabucco, il cui progetto è partito nel lontano 2002. Per ridurre la dipendenza energetica dalla Russia, la Commissione europea si lanciò nel finanziamento di un gasdotto collegante i giacimenti di Mar Caspio e Medio oriente con l’Europa centrale, attraverso Turchia, Bulgaria, Romania, Ungheria e Austria. Un’idea valida, per quanto fortemente supportata dagli Stati Uniti e da suoi stretti alleati Nato, quali la Turchia, più che da molti paesi dell’Unione. Peccato che a dieci anni di distanza i lavori non siano ancora cominciati. Anche questo è un simbolo delle lentezze dell’Unione europea e della sua fondamentale dipendenza da attori esterni. Da una parte c’è Washington, che ha dato il benestare al Nabucco ma è poi rimasta a guardare, dall’altra c’è Mosca, che continua ad egemonizzare le forniture di gas all’Europa.

Dopo che la Germania si assicurò un collegamento privilegiato con Mosca grazie al gasdotto ‘North Stream’, si mosse l’Italia con un accordo Eni-Gazprom firmato nella capitale russa il 22 novembre 2007. Meno di due anni dopo, Putin e Berlusconi firmarono nell’amena localita’ balneare di Sochi il progetto del gasdotto ‘South Stream’, coinvolgente anche Bulgaria, Grecia, Serbia (tutti ‘amici’ di Mosca), Ungheria, Slovenia e Austria. La Turchia stessa, inizialmente penalizzata dal progetto, si e’ in seguito (fine 2011) accordata con la Russia per il transito del condotto nelle sue acque territoriali. ‘South Stream’ potrebbe dare all’Italia non pochi vantaggi, ma ancora una volta dimostra che un progetto guidato da un attore esterno (Mosca) porta benefici soprattutto a quest’ultimo, divide l’Europa, e ne accresce la dipendenza energetica. L’ad dell’Eni, Paolo Scaroni, aveva infatti ventilato l’idea di una fusione tra Nabucco e South Stream, ma i russi ovviamente non ci hanno sentito. Il 39% del gas europeo arriva dalla Russia; oltre all’ex cancelliere tedesco Gerard Schroeder, anche l’ex premier finlandese Paavo Lipponen è diventato un dipendente di Gazprom: fatto interessante, alla luce del sempre più acceso euroscetticismo finnico. Forse Helsinki guarda più a Mosca che a Bruxelles?

La competizione globale per assicurarsi le risorse energetiche è appena iniziata. Dal suo esito dipenderanno i nuovi ‘equilibri mondiali’, per usare il linguaggio della diplomazia. In Siria, Russia e Cina, due potenze in ascesa, hanno mandato un segnale agli Usa. Questi ultimi hanno piani grandiosi, e nel medio termine assai rischiosi. Il National Energy Plan, promosso dall’ex vice presidente Cheney e adottato nel 2001, prevedeva il controllo di Washington su Golfo Persico e Asia centrale. Voilà l’Iraq e l’Afghanistan, e le loro guerre senza fine. Le cose non sono andate bene come previsto, e ora gli Usa ci riprovano per altre vie, tra le quali interventi ‘indiretti’ e mobilitazioni (tra esse, una parte importante della ‘primavera araba’). Attenzione però, perché Cina, Russia, India, la stessa Indonesia (paese a maggioranza islamica), sono intanto diventate molto più forti, e paesi quali Corea del Sud e Giappone sono ormai competitori anche su tecnologie sofisticate. Quanto all’Unione europea, si svegli. Con il dovuto rispetto, alzare la voce con Putin in merito alle Pussy Riots è un’opzione strategica alquanto limitata – per usare un eufemismo.

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