Bersani, un’intervista da 0-0: così non vince né il Pd né l’Italia

Bersani, un’intervista da 0-0: così non vince né il Pd né l’Italia

Pierluigi Bersani ha concesso una lunga intervista al Sole 24 Ore. L’incipit è incoraggiante. Perché chiarisce come, almeno su fronte dei conti, bisogna continuare sulla strada intrapresa da Monti nel dare messaggi molto chiari alle democrazie del mondo. Tra gli altri, di «responsabilità nella tenuta dei conti, nella riduzione del debito e nella costruzione di un avanzo primario». Nelle tappe di avvicinamento ai temi clou dell’intervista, il segretario incappa però in una palese contraddizione. Perché prima afferma che «dobbiamo riconoscere che dopo l’euro non abbiamo fatto i compiti a casa» e poi, alla domanda «l’Italia ha fatto i compiti a casa?» risponde che “abbiamo fatto molto». Insomma, non è possibile che nello stesso tempo non abbiamo fatto i compiti a casa e abbiamo fatto molto. Nulla di grave, comunque.

Di seguito, Bersani entra nel vivo della conversazione. Riaffermando la necessità che il Paese torni a crescere. Peccato, però, che non vengano specificati né i tempi né i modi di questo ritorno alla crescita. È poi curioso che il segretario del Pd parli del rischio di «arretrare decisamente nelle quote mondiali di produzione e lavoro». In realtà, il deciso arretramento è già avvenuto. Dal tonfo del 2009 l’Italia ha perso circa 20 punti di produzione industriale (leggi: Anche nell’industria l’Italia è vecchio stile. E crolla). Il che spiega come mai la quota della produzione industriale mondiale dell’Italia è scesa ad un valore di poco superiore al 3% (era il doppio nel 2000). Parlando di politica industriale, come abbiamo già detto nel corsivo di oggi, ci saremmo inoltre aspettati decisamente di più nella definizione degli asset di intervento prioritari pensati da chi ambisce alla guida del Paese. I richiami, consumatissimi, al made in Italy, alla tipicità e ad altre cose un po’ banali lasciano dunque il tempo che trovano. 

Proseguendo il nostro “viaggio” nel colloquio di Bersani col Sole, lascia perplessi la via bersaniana per abbattere l’oppressiva e incasinata burocrazia italiana. Perché Bersani, invece di prospettare lo sradicamento di norme inutili e contraddittorie – che fanno perdere tempo e soldi alle imprese e scoraggiano i potenziali investitori – propone di fare largo uso dello strumento dell’autocertificazione (peraltro già ampiamente presente nella lesgislazione vigente) , «rafforzata da parte di professionisti certificati». Tradotto: le norme rimangono quelle, ma basta mettersi nelle mani di qualche scienziato della burocrazia per venirne a capo in tempi non biblici.

Sempre in tema di politica industriale, Fabrizio Forquet incalza Bersani sulle modalità con cui potrebbero essere reperite le necessarie risorse. Anche in questo caso il segretario del Pd non brilla per precisione. Perché parla genericamente della necessità di «mirare i tagli agli sprechi veri», senza fare esempio alcuno. Perché parla in modo fumoso di un riequilibrio fiscale, senza indicare, ad esempio, se questo porti con sé un possibile taglio delle aliquote per le persone fisiche o per quelle giuridiche. E infine perchè fa un riferimento, troppo vago, all’opportunità di «trovare con l’Europa un minimo meccanismo di elasticità».
La ventitreesima domanda finalmente affronta il tema della patrimoniale. Ma anche rispetto ad essa Bersani è vago ed allude ad un generico «contributo dei grandi patrimoni immobiliari». Omettendo di specificare come verrebbe calibrato il prelievo e quali strumenti verrebbero utilizzati. Ma soprattutto dimenticando (volutamente?) di descrivere i possibili rischi di una patrimoniale così ipotizzata: l’ulteriore depressione dell’economia, lo scoraggiamento degli investimenti e, cosa assai importante, la deresponsabilizzazione dal dimagrimento della spesa pubblica. 

Nella risposta alla penultima domanda, Bersani tocca giustamente il tema della produttività. Nell’indicare la soluzione del gap esistente tra noi e altri Paesi, il segretario del Pd punta sullo scambio tra flessibilità organizzativa e investimenti esigibili. In realtà, chi ha visto come lavorano nelle fabbriche estere, può ben testimoniare come per aumentare la produttività non basti la sola flessibilità, peraltro già ampiamente presente nel mercato del lavoro. Bensì, in particolare, una organizzazione moderna di tutta la filiera produttiva e dunque anche del lavoro in fabbrica. 

In definitiva, l’ampia intervista a Bersani ci ha incuriosito. Ma i contenuti programmatici non ci hanno convinti. E più complessivamente la visione che ne esce. Perché un valido ex ministro dell’Industria avrebbe potuto essere non solo più preciso e capace di toccare temi strategici, nemmeno sfiorati, come ad esempio quelli della specializzazione produttiva o del rapporto tra imprese e ricerca. Ma avremmo voluto un Bersani più visionario, così da farci capire, con le opportune suggestioni, quale mondo industriale ha in mente per far tornare a correre l’Italia.  

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