BRUXELLES – Nel 2012 la Commissione Europea non ha lesinato elogi al governo Monti. Plauso per la riforma delle pensioni, per il risanamento fiscale, per la riforma del mercato del lavoro, per la spending review. Dietro le lodi, però, permane preoccupazione per il malato Italia. Perché il Belpaese continua a non crescere, a perdere competitività, a fronte del gigantesco debito pubblico. Conti pubblici a parte, per Bruxelles quello che ha fatto il Professore appare come importante, ma sostanzialmente poco più di un primo passo. In effetti, mentre il presidente del Consiglio gira per l’Europa per parlare di spread e incassare complimenti, il lavoro che resta da fare è davvero tanto. E la Commissione è non poco inquieta per le prospettive delle elezioni del 2013. L’intrapreso passo di riforma continuerà anche con il futuro, nuovo governo?
Per questo una cosa è certa: Bruxelles, che ha già in Italia un “action team” per aiutare le autorità nostrane a rilanciare il mercato del lavoro e a meglio utilizzare gli ingenti fondi comunitari (il cui tasso di assorbimento è tra i più bassi dell’Ue), quest’autunno intensificherà ulteriormente la stretta osservazione del Paese. Perché, spiegano a Bruxelles, «un conto è approvare le leggi, un conto è metterle in pratica». E infatti il primo punto all’ordine del giorno del monitoring Ue è vedere se e come saranno applicate le normative varate, visto che molte leggi necessitano di decreti attuativi che in vari casi mancano. Altrimenti, tutto resta solo sulla carta.
C’è inoltre moltissimo ancora da fare per rimettere in moto la macchina Italia drammaticamente impantanata. La Commissione insiste che il Belpaese è in coda alle classifiche quanto a business friendliness, l’ambiente favorevole a imprese e investimenti. In questo senso, come ha ricordato il commissario alla Giustizia Viviane Reding in una recentissima intervista ad Avvenire, tra le priorità è una efficace normativa anti-corruzione. «La pervasività della corruzione – si legge in un rapporto della Commissione del maggio scorso – implica elevati costi per la produttività italiana, stimata a 60 miliardi di euro dalla Corte dei Conti, e ostruisce il funzionamento ottimale dei mercati».
Non stupisce che a Bruxelles si guardino con irritazione e incomprensione le durissime polemiche di questi giorni sulla legge anti-corruzione, già annacquata alla Camera dal Pdl e minacciata dallo stesso partito al Senato. Collegata è la riforma della giustizia. Il governo ha attuato parte delle richieste dell’Ue, ad esempio il ridisegno dei distretti giudiziari. Bruxelles plaude all’idea del ministro Severino di una task-force per abbattere gli arretrati, ma vuole vedere in generale una netta velocizzazione dei processi civili e una maggiore specializzazione dei tribunali, per aumentarne l’efficienza e dare così maggiore certezza del diritto agli investitori.
L’Ue ha inoltre fretta di vedere una svolta sul mercato del lavoro. La riforma approvata è stata elogiata con enfasi dal commissario competente, Laszlo Andor, ma a Bruxelles sottolineano, anche qui, che «cruciale sarà vedere come sarà attuata». Del resto, nessuno nasconde che non basta ancora. Troppi lacci e lacciuoli continuano a vincolare le imprese, il costo del lavoro resta troppo elevato e la competitività troppo bassa. «Serve una ben maggiore flessibilità contrattuale, al di là della dimensione della singola impresa», spiegano a Bruxelles.
In controluce, la Commissione sostiene con decisione la volontà di Monti di porre fine alla concertazione. Anzi, cosa che non piacerà ai sindacati, insiste che si debba porre fine al collegamento automatico salari-inflazione, vincolando invece l’andamento degli stipendi alla produttività, aumentando in questo modo la competitività.
Sul fronte della pressione fiscale, l’Ue chiede un «ulteriore spostamento» dal lavoro ai consumi, giudicando anche qui solo come «un primo passo» quanto già fatto da Monti. Servono inoltre, spiegano ancora a Bruxelles, più incentivi per le startup mentre, si legge nel rapporto Ue, al momento «l’Italia ha (nell’Ue ndr) i più alti costi per avviare un’impresa, sette volte la media europea». Su questo Monti si è mosso, riducendo anzitutto il numero di autorizzazioni necessarie, ma per Bruxelles è ancora troppo poco. Urgono, spiegano, «un ulteriore abbattimento degli obblighi burocratici e maggiori incentivi anche fiscali». Le startup per Bruxelles sono cruciali per l’occupazione, ma anche e soprattutto per quello che per l’Ue è uno dei più allarmanti problemi italiani, la disoccupazione giovanile, su cui Bruxelles chiede interventi molto più massicci, anche modificando i programmi delle scuole secondarie professionali per renderle più rispondenti alle esigenze del mercato. Nota particolarmente dolente è la spesa per ricerca e sviluppo, «il livello di ambizione delle misure adottate finora – leggiamo ancora nel rapporto – è insufficiente e le grandi sfide alla competitività italiana devono ancora essere affrontate».
C’è, poi, la vexata quaestio delle liberalizzazioni. A Bruxelles il pacchetto varato da Monti non è dispiaciuto, ma è chiaro che viene considerato, ancora una volta, solo un inizio. Soprattutto, si legge nel rapporto sull’Italia, «non sono stati presi passi per ridurre il numero di attività riservate per le professioni (gli ordini ndr), che limita la fornitura di alcuni servizi». Bruxelles, inoltre, vuole vedere molte più apertura alla concorrenza anzitutto sul fronte dell’energia e dei trasporti (principalmente ferrovie e porti). Il governo ha già varato alcune misure per aprire questi due settori, si tratta anche qui di vedere quale sarà la realtà.
Le pressioni Ue su Roma sono a tutti i livelli, formali ma soprattutto informali. Bruxelles spera che Monti riesca a fare il massimo del lavoro per ridurre le incognite del dopo voto e mettendo i futuri governanti di fronte a un fatto compiuto o comunque a impegni già presi e inderogabili. Perché, spiegano, «se l’Italia non riparte a rischio è l’intera Unione Europea».