Come nell’ottobre del’98, sotto la presidenza di Mario Pescante, quando il Coni fu travolto dallo scandalo del laboratorio antidoping dell’Acqua Acetosa. In quell’occasione si scoprì che molti esami non erano stati effettuati, in modo particolare nel mondo del calcio. Provette intonse, lasciate lì ad invecchiare in una “barrique” vetrosa senza che nessuno si prendesse la briga di “degustare” l’acidità di quei liquidi. Ci fu un terremoto, il laboratorio fu chiuso e il presidente Pescante fu costretto a rassegnare le dimissioni. Con l’«affaire» Schwazer il rischio che la questione non sia solo un fatto di positività o un incidente di percorso di un atleta depresso, smarrito e scellerato è molto elevato. Molte sono le cose che non tornano. Molti sono i lati oscuri di questa vicenda: e non da oggi.
Troppi i silenzi, da parte anche dell’atleta bolzanino che non può nascondersi dietro al banale e rituale «ho fatto tutto da solo». Ma andiamo per ordine, e prima di dare inizio ad alcune riflessioni sotto forma di domanda, chiedo scusa a voi tutti perché è buona norma solitamente non fare domande ma dare delle risposte. Ma in questo caso, dove la materia è molto delicata e le risposte dovranno darle per forza di cose la giustizia ordinaria e quella sportiva, io mi limito a fare alcune riflessioni e a porre alcune domande, che lo stesso Coni, la stessa Procura Antidoping e la stessa Federatletica potrebbe aiutarci a capire fornendoci appropriate e convincenti risposte.
Scrive oggi su «La Gazzetta dello Sport» Valerio Piccioni: «Da Padova si attendono sviluppi anche sulla possibilità che emergano altri nomi di personaggi dello sport coinvolti nei rapporti con Ferrari o in altre circostanze investigative su cui si concentra il lavoro della magistratura. E probabilmente non sarebbe sbagliato valutare anche la possibilità di un viaggio del procuratore antidoping del Coni Ettore Torri a Padova per costruire un maggior coordinamento fra giustizia ordinaria e sportiva…». Valutare la possibilità… Certo, con assoluta calma: che fretta c’è? È da solo due anni che in ambienti giornalistici si è a conoscenza del fatto che il pm di Padova Benedetto Roberti è in possesso di una “black list”, con tutti i clienti di Michele Ferrari, il medico-santone da tutti considerato guru, inibito nel 2002, ma mai inserito in un casellario disciplinare dove poter facilmente prender visione dei nomi di chi può essere frequentato e chi no.
Perché la Procura Antidoping del Coni guidata da Ettore Torri non si è mai mossa? Per quale ragione nonostante io stesso scrissi qualche mese fa e di recente di fare chiarezza, loro hanno fatto orecchi da mercante?
Dell’inchiesta su Michele Ferrari, sappiamo da tempo. Tutto ruota attorno all’ex fuoriclasse americano Lance Armstrong, il trionfatore di sette Tour de France che da sempre è stato preparato e seguito dal discusso medico italiano. Anche Schwazer è un “cliente” di Testarossa. Il p.m. Benedetto Roberti, che dalla Procura di Padova guida l’indagine internazionale nata a luglio 2010 all’Interpol di Lione ha in mano ogni elemento. Gli americani puntavano Armstrong e di Ferrari sapevano pochissimo. Ma quando hanno capito gli intrecci che legavano il dottore al ciclismo e allo sport internazionale, hanno buttato sul tavolo tutto il loro peso.
Le ramificazioni internazionali del sistema con a capo Ferrari genererebbero un fatturato di circa 15 milioni di euro. Ferrari punto nodale dell’inchiesta. Un centinaio di clienti che si avvalgono delle esperienze di questo genio del male. Filippo Pozzato, ex tricolore del pedale, vincitore di una Sanremo, è finito qualche settimana fa nei pasticci per un articolo di Repubblica che ha reso nota un’intercettazione ambientale nella quale il corridore vicentino ammette la sua frequentazione con Ferrari. Il corridore azzurro, non ancora giudicato (lo sarà l’11 settembre) è stato fermato (formalmente l’hanno consigliato ad autosospendersi) saltando di fatto le olimpiadi di Londra. «È il miglior preparatore che ci sia in circolazione», ha detto senza tanti giri di parole il vicentino al capo della Procura Ettore Torri, che l’ha prontamente convocato a Roma. «Ma non sono il solo, sono tanti i clienti di Ferrari e molti andranno a Londra», ha ribadito il corridore alla Procura e al presidente della Federciclismo Renato Di Rocco.
Niente. Fermato solo Pozzato, nessuno ha mosso più un dito. Guai andare a chiedere la “black-list” a Benedetto Roberti. Il Coni sa bene che lì dentro ci sono nomi scottanti, di “atleti di stato”, coloro i quali abitualmente gareggiano con la maglia azzurra e non con quella di un club.
Secondo interrogativo: perché atleti come il ciclista Nibali hanno firmato il contratto Coni-atleti con gli impegni su lotta al doping e divieto di scommesse e Schwazer non l’ha firmato? Nibali, corridore arrivato poi terzo a Parigi, l’ha dovuto firmare prima di partire per la Grande Boucle, a fine giugno.
E vogliamo parlare della posizione di due medici qualificati e stimati come Fiorella e Fischetto? I due fanno parte di quell’elite di nove esperti della Wada chiamati a valutare i passaporti biologici degli atleti. Ma in questa vicenda sono entrambi coinvolti in un palese conflitto d’interesse: il dottor Fiorella è infatti il medico che segue marciatori, fondisti e maratoneti della Fidal (Federazione Italiana Atletica Leggera), mentre il dottor Fischetto è il medico Federale della Fidal stessa. Dal 2007 Fischetto e Fiorella fanno parte dei nove esperti Wada, come hanno fatto a non accorgersi negli anni delle variazioni dei valori di Schwazer?
Scrivono oggi su Repubblica Marco Mensurati e Fabio Tonacci: «È nel marzo di quest’anno che la Finanza segnala alla Wada di monitorare i livelli ematici di Schwazer, i quali – secondo la procura che ha accesso al passaporto biologico – presentano già dei valori sospetti».
Quanto scrive Repubblica dimostra chiaramente che gli esperti della Guardia di Finanza si erano accorti delle anomalie e avevano segnalato il caso: perché loro non le hanno viste? E come è possibile che due medici in forza ad una Federazione Nazionale siano al tempo stesso tra coloro che devono controllare i loro stessi atleti e quindi il loro stesso operato?
Siamo sicuri che gli organi di controllo sportivo in Italia (Coni e Fidal) hanno fatto proprio tutto quello che era nelle loro possibilità? Perché il marciatore a caldo ha detto «nomi non ne farò, non voglio finire in galera»? Di cosa aveva paura? E lo stesso Franco Arese, il signor Asics Italia che ricopre la carica di presidente della Fidal, che ha come partner tecnico proprio l’Asics è in una posizione inattaccabile? Sono solo semplici domande, che meritano una risposta, anche se io un’idea me la sono già fatta.
* direttore di tuttoBICI e tuttobiciweb.it