Export, Berlino fa il record mondiale e la Ue si allarma

Export, Berlino fa il record mondiale e la Ue si allarma

BRUXELLES – Altro che “riequilibrio” all’interno dell’Ue: la Germania continua ad accumulare un gigantesco avanzo della bilancia commerciale, al punto da arrivare, nel 2012, a un record mondiale. Se serviva un altro po’ di benzina per il fuoco delle polemiche di questi mesi, a fornirla ci ha pensato questa settimana proprio un grande istituto economico tedesco, l’Ifo. Con un dato sulla Germania, diffuso dal Financial Times Deutschland (Ftd), che non può che colpire: nel 2012 il Paese di Angela Merkel registrerà un avanzo della bilancia commerciale di ben 210 miliardi di dollari, stracciando persino la Cina (già a sua volta sotto accusa, e per la quale la previsione dell’Ifo è di un avanzo di 203 miliardi di dollari), il Giappone o i grandi Paesi produttori di petrolio.

Un dato che supera anche quanto pronosticato già a maggio dall’Ocse (187,5 miliardi di dollari nel 2012 e 199,5 nel 2013). In Germania il dato suscita soddisfazioni in alcuni, e preoccupazioni in altri, mentre sul fronte internazionale – l’Ocse ma anche la Commissione Europea – prevale una chiara inquietudine. Il dato, in effetti, dimostra ancora una volta che la “locomotiva” europea basa la sua crescita soprattutto sugli export senza aumentare i consumi interni, e dunque con scarsa ricaduta positiva per i suoi vicini. Anzi, sono in molti a pensare che gli enormi squilibri di cui la Germania è protagonista siano tra le principali cause della gravissima crisi dell’eurozona.

Il governo tedesco, comunque, mostra soddisfazione. Secondo una portavoce, queste cifre «dimostrano l’alta competitività tedesca». E il Consiglio tedesco dell’industria e del commercio (Dihk) legge questo gigantesco avanzo commerciale come «prova dell’alta qualità dell’export tedesco», mentre Jens Kramer, capo analista della banca Nord LB, non manca di un pizzico di arroganza. «Non è compito dell’economia tedesca – dichiara al settimanale Focus – correggere gli squilibri. Piuttosto tocca ai Paesi in deficit commerciale diventare concorrenziali».

«Nessuno è costretto a comprare i nostri prodotti», chiosa ironico Michael Hüther, direttore dell’Istituto per l’economia tedesca (Iw), un altro dei grandi think-tank economici del paese. In realtà non la vedono tutti così. «È particolarmente tragico – commenta ad esempio Heiner Flassbeck, economista tedesco molto noto e attualmente capoanalista dell’organismo Onu Unctad – che Berlino continui a considerarlo un successo». A detta di uno dei cinque “saggi” (i super-consulenti economici del governo tedesco), Peter Bofinger, la ragione di questo dato è anzitutto uno: «Il problema di fondo – ha detto al Ftd – non è mutato: la domanda interna tedesca è troppo debole». È l’accusa che molti, a cominciare dalla Francia, da tempo lanciano alla Germania: il Paese esporta moltissimo, ma non compra, e dunque i suoi partner commerciali restano al palo.

La vede così anche l’Ocse, secondo la quale uno dei problemi è che sono troppo bassi gli investimenti interni. Andrebbero, invece, ha dichiarato Andreas Wörgötter, responsabile della Germania per l’organismo, aumentati soprattutto nel settore dei servizi. «Non sarebbe sensato indebolire la competitività dell’industria – ha dichiarato – piuttosto sono urgenti riforme per rendere il settore dei servizi altrettanto attraente per gli investimenti». Rilanciando questo comparto, tradizionalmente legato al mercato locale, è il ragionamento, potrebbero migliorare salari e occupazione, aumentare i consumi interni arrivando così a una riduzione dell’avanzo commerciale.

Peraltro, un recente rapporto dell’Ilo (l’organismo Onu per il lavoro), di cui Linkiesta ha dato conto, indica tra le basi del nuovo boom tedesco proprio il dumping salariale nei servizi, a danno dei suoi vicini europei, che ha abbassato i costi del lavoro ma depresso i consumi e dunque frenato l’import. L’Ocse lamenta inoltre la chiusura dei servizi alla concorrenza, con molti mestieri di tipo artigianale (dall’idraulico all’elettricista, al carpentiere) che in Germania richiedono ancora il titolo, di origine medioevale, di “Meister”, restando così praticamente chiusi a chi viene da fuori. Wörgötter raccomanda infine una maggiore facilità di accesso al capitale per le start-up. «Se si riduce in questo modo l’avanzo commerciale – dice l’esperto – per la Germania sarà una situazione “win-win”, perché l’economia potrà crescere ed essere meno dipendente dall’estero».

L’enorme avanzo commerciale potrebbe però far intervenire anche la Commissione europea. La nuova governance economica Ue (il cosiddetto “Six Pack”), in vigore dal novembre 2011, oltre a regole molto più severe per la disciplina di bilancio e maggiori poteri per Bruxelles, prevede anche procedure per gravi squilibri della bilancia commerciale, in un senso o nell’altro. Secondo l’Ue, avanzi commerciali superiori al 6% del pil costituiscono una minaccia alla stabilità economica dell’Unione. Per il 2011 la Commissione vedeva questo dato per la Germania al 4,5% ma nel 2012, «in base agli ultimi dati – dice al Ftd l’esperto per il commercio estero dell’Ifo Steffen Elstner – la soglia (del 6% ndr) è stata superata». Lo sapremo con le previsioni economiche d’autunno, che la Commissione pubblicherà a novembre. Se così sarà, «nel 2013 – prosegue Elstner – Bruxelles potrebbe avviare una procedura nei confronti di Berlino».

La Commissione per ora non si sbilancia («è troppo presto», ha detto una portavoce) e il governo tedesco ostenta tranquillità. «Un avanzo commerciale – ha commentato Steffen Seibert, portavoce della cancelliera Merkel – da solo non basta perché si attivi l’Europa». Piuttosto, avverte, «sarebbe utile a un riequilibro se i Paesi più deboli attuassero le riforme per migliorare la propria competitività». Un ritornello che, ormai, abbiamo imparato a conoscere. 

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