Ieri crollo, oggi euforia: ma quali sono i nodi irrisolti dell’euro?

Ieri crollo, oggi euforia: ma quali sono i nodi irrisolti dell’euro?

I problemi dell’eurozona ci sono ancora. E, almeno fino a settembre, non saranno risolti. Corretto funzionamento della politica monetaria, utilizzo dei fondi di stabilità finanziaria European financial stability facility (Efsf) e European stability mechanism (Esm), salvataggio di Italia e Spagna, unione bancaria: sono quattro le fonti d’incertezza. Nonostante ciò, le piazze finanziarie sono euforiche e chiudono in forte rialzo. Ma agosto, con i suoi scarsi volumi e l’elevata volatilità, è ancora lungo.

Il meccanismo di trasmissione della politica monetaria è ancora rotto. Eppure, qualcosa si sta muovendo. Più che le azioni, hanno fatto le parole. Sia il presidente della Bce, Mario Draghi, sia il governatore della Banca di Francia, Christian Noyer, lo hanno specificato più volte delle ultime due settimane. E come aveva spiegato anche Natacha Valla di Goldman Sachs, «il sistema bancario è diventato disfunzionale nei Paesi periferici». Più i tassi della Bce (rifinanziamento e depositi overnight) si sono abbassati, più si è innalzato il tasso retail medio che le banche di Italia e Spagna chiedono. Riparare tale ingranaggio è fondamentale per ripristinare il normale funzionamento della Bce. Ma, anche in questo caso, occorre tempo. Per ora, sono bastate le dichiarazioni di Draghi. Come previsto, Draghi ha spiegato che gli acquisti di bond governativi dell’Eurotower avverranno in modo prudente. Nessun salto in avanti, come chiesto da Jens Weidmann, presidente della Deutsche Bundesbank, la banca nazionale tedesca. Ed ecco il primo motivo di fiducia per gli investitori. «Il trasferimento del rischio non avverrà più solo sulla Bce, anche se di fatto per ora rimane l’unica controparte per molte banche dell’eurozona», spiega il Crédit Agricole. Non è un caso che, nel breve termine, fra gli obiettivi della Bce ci sia la rottura di questo legame.

Da un lato, il sollievo sulla parte bassa della curva dei rendimenti dei titoli di Stato italiani è merito della Bce. Ne hanno giovato i bond a due anni e cinque anni di Roma, ma anche quelli di Madrid. Questo perché, nel caso ci fosse richiesta formale da parte di Italia e Spagna per l’uso dello Efsf, il fondo pescherebbe proprio in quelle maturity. Ma questo, secondo J.P. Morgan, non basterebbe a risolvere i problemi che affliggono Roma e Madrid. «L’Italia deve portare avanti il suo percorso di riforme e ha bisogno di continuità politica, ora assente, per farlo. La Spagna invece deve risanare i bilanci delle banche e delle amministrazioni locali», sottolineano gli analisti della banca americana. L’entrata della Bce sui mercati potrebbe quindi essere un modo per prendere tempo.

Dall’altro, tuttavia, c’è ancora l’incertezza su che forma prenderà lo European stability mechanism (Esm). La Germania continua a essere contraria a fornire la licenza bancaria al fondo. Troppi rischi. E probabilmente non ci sarà mai, come ha sottolineato Draghi rimarcando che l’Esm non ha i requisiti legali per essere una controparte bancaria della Bce. Meglio piuttosto, nel caso la situazione dovesse peggiorare, utilizzare la capacità di acquisto dei bond sul mercato obbligazionario primario o secondario. Il tutto a patto che ci sia una richiesta formale d’intervento, con l’accettazione di un memorandum d’intesa da parte del Paese richiedente. Ed è proprio ciò che tutti gli investitori si attendono. Come ha sottolineato Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos, «l’offensiva congiunta Efsf-Esm-Bce scatterà in un momento qualsiasi tra qui e fine anno quando la Spagna, in accordo con Berlino e Bruxelles, busserà ufficialmente alla porta dell’Efsf (o, dopo il 12 settembre, alla porta dell’Esm) per chiedere soldi».

L’obiettivo dell’unione bancaria resta fissato, ma non è chiaro quando avverrà. Oggi il premier iberico Mariano Rajoy ha ribadito che gli sforzi dell’Ue stanno andando verso un’unione bancaria entro la fine dell’anno. Il percorso è però impervio. Il cancelliere tedesco Angela Merkel ha sostenuto con chiarezza che questa soluzione, rimarcata durante il Consiglio europeo di fine giugno, è il primo passo verso la piena unione economica e fiscale. Convincere l’intera eurozona però non è un compito esente da negoziati lunghi e impervi. «Difficilmente prima del marzo 2013 ci sarà un via libera all’unione bancaria», affermano gli analisti di Bank of New York Mellon.

Infine, c’è da rimettere a posto il mercato dei repo (repurchase agreement, o pronti contro termine). E proprio per questo, lo European financial stability facility potrà intervenire, nei limiti del suo mandato e delle sue linee guida, su questo mercato. Come? Fornendo un sostegno privilegiato alle banche europee nella gestione dei repo fra di loro. «Se si riattiva questo mercato fondamentale, potrebbe esserci un miglioramento della circolazione del credito all’interno dell’eurozona», spiega il Credit Suisse in una nota. I volumi medi del mercato dei repo si sono contratti notevolmente: dai 15,5 miliardi di euro di metà dicembre scorso ai 5,7 miliardi dell’ultima settimana. «Ci attendiamo che entro fine settembre siano adottate misure per migliorare l’accesso a questo segmento», ha commentato Icap Research, il principale interdealer broker mondiale.

Come ha rimarcato ieri Draghi, la Bce non può sostituirsi ai governi. Ma può cercare di fare l’impossibile per mantenere in vita l’euro. Del resto, senza la moneta unica non avrebbe senso nemmeno l’Eurotower. Il processo verso un miglior funzionamento dei mercati richiede tempo. Per ora, sembra esserci.  

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