A settembre il Governo promuoverà il decreto Digitalia, all’interno del decreto Semplifica Italia, per sviluppare la digitalizzazione del nostro Paese. Un provvedimento che porterà 3 miliardi d’investimento, e sul quale c’è moltissima aspettativa. «Con la digitalizzazione si possono toccare tutti i temi strutturali dell’economia italiana: aumentare la produttività del lavoro, la trasparenza dell’economia e la competitività del sistema. Non riesco a immaginare nessun tema della crisi italiana che non possa essere affrontato con un meccanismo di mercato appoggiato ad internet», spiega a Linkiesta il professor Francesco Sacco, docente e ricercatore del dipartimento Management e Tecnologia dell’Università Bocconi di Milano. «In quindici anni», osserva Sacco, «in Francia sono stati creati 1.200.000 posti di lavoro. In Italia, nello stesso periodo, i posti creati sono stati 700mila. In più, i posti creati in Italia provengono dalle grandi aziende, non dalle piccole-medie imprese. In Francia è avvenuto esattamente il contrario». Un divario che va colmato.
Cos’è l’agenda digitale?
L’agenda digitale è una policy europea. È importante perché costituisce l’ultimo tentativo della Commissione Europea di far decollare la digitalizzazione in Europa. La sua storia non è proprio una storia di successo perché è stato più che altro un susseguirsi di grandi proclami e scarsi risultati. Paesi che hanno avuto successo, come la Norvegia e la Svezia, hanno sviluppato la digitalizzazione per virtù proprie più che per meriti europei.
Perché è importante?
Dietro il processo di digitalizzazione c’è un’economia che si sta trasformando. Noi siamo nel XXI secolo, è finita l’epoca post-industriale, quella dei servizi, e ora sta emergendo un’economia molto forte, con buona intensità di occupazione-lavoro, che è l’economia digitale. Il DAG, Digital Advisory Group ha analizzato gli effetti comparati della digitalizzazione di Italia e Francia. In quindici anni in Francia sono stati creati 1.200.000 posti di lavoro. Alcuni sono stati persi, più o meno 500mila. Il saldo è di 700mila circa. In Italia, nello stesso periodo, i posti creati sono stati 700mila, quelli persi 380mila con un saldo di 320mila, è meno della metà della controparte francese. In più, i posti creati in Italia provengono dalle grandi aziende, non dalle piccole-medie imprese. In Francia è avvenuto esattamente il contrario. La digitalizzazione è importante perché crea e redistribuisce ricchezza, ed è una buona fonte di occupazione per i giovani. Perché c’è tanta disoccupazione giovanile in Italia? Poco spazio per l’innovazione, per i nuovi settori che possano creare posti di lavoro per i giovani; in Italia sono poco seguiti, poco incentivati, senza tener conto della scarsa penetrazione di internet nel Paese. Ma andare alla conquista del mondo digitale oggi o domani non è la stessa cosa, perché il progresso non aspetta e tutto lo spazio che non sarà occupato da noi italiani, sarà occupato da altri. Le opportunità che sono ricche oggi, domani saranno un po’ meno interessanti. Il tempo conta più di ogni altra cosa. Ed è una mancata crescita che poi si riverbera nell’economia.
E oltre l’occupazione?
Aumenta la produttività. In Italia non c’è solo mancata crescita del PIL, c’è anche la decrescita della produttività. Ma la produttività è un indice più fedele della competitività di un’economia nei mercati internazionali di quanto non lo sia il PIL, forse l’indice più importante. Si pensi agli investimenti inutili: aumentano il dato del PIL, ma non creano produttività.
E l’Agenda Digitale Italiana, come si inserisce in questo ambito?
Ci sono circa 101 obiettivi stilati dall’Agenda Digitale Europea. Di questi, 23 sono nelle mani degli Stati nazionali.
Quali?
In prevalenza quelli legati a penetrazione banda larga, reti veloci e ultraveloci (la fibra ottica), il commercio elettronico. Questi sono i più importanti nelle mani degli Stati. A parte il ministro Brunetta, nel passato governo non c’era stata una grande sensibilità verso questo tema. Entro la fine di settembre ci sarà il decreto Digitalia, con tutte le misure che metteranno in pratica gli obiettivi dell’Adi. Ci saranno misure contro il digital divide, maggiore penetrazione delle tecnologie. Ora il Decreto è solo in bozza, quindi non si può dire con sicurezza cosa conterrà ma c’è grande attesa. Gli investimenti ammonteranno a circa 3 miliardi di euro più risorse aggiuntive (così parrebbe, e parlo al condizionale perché non è ancora certo). Cosa si propone? Con la creazione dell’Agenzia Digitale Italiana, parallelamente al processo di digitalizzazione si è avviata una forte semplificazione di quello che è tutto il mondo dell’innovazione nella Pubblica Amministrazione. Per questo è stata creata l’Agenzia Digitale Italiana, che dovrebbe avere la responsabilità di portare avanti tutte le politiche legate all’Agenda Digitale e accorpare le responsabilità di alcuni enti competenti su diverse materie, mettendo insieme DigitPa, Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l’innovazione e Dipartimento per la digitalizzazione della PA della Presidenza del Consiglio, che vengono soppressi o riorganizzati. Accorpando le funzioni ci si aspetta razionalizzazione, efficacia e grandi progetti. Certo, non sarà un compito facile.
Il Corriere della Sera solleva i problemi legati alla nomina del Direttore. Una questione politica?
La mia impressione è che non sia una questione politica, quanto una questione di competenze. La scelta del Direttore dell’Agenzia è estremamente difficile. Da una parte sarà determinante per le possibilità reali d’implementazione di tutto ciò che è legato al ruolo pubblico nel processo di digitalizzazione, dall’altra, il suo ruolo è molto complesso perché dovrà mettere insieme burocrazie già stratificate, accentrando competenze provenienti da storie diverse con poche risorse e obiettivi difficili da raggiungere. A questo si aggiunga che i risultati dovranno essere ottenuti senza sprecare tempo. Servirà quindi una persona di ampia visione, capace di posizionarsi in un contesto internazionale e comunitario imprescindibile, di esperienza ma non decotta, con idee ed energia.
Quali sono, secondo lei, le priorità su cui concentrarsi?
Il primo tema è il digital divide. È fondamentale. Finché ci saranno zone che non saranno coperte interamente dal digitale in Italia (alcune stime parlano del 3% della popolazione, ma credo che sia una stima ottimistica) non si potrà davvero spingere sulla leva della digitalizzazione. Ma esiste anche un digital divide tecnologico: dopo avere dato un minimo a tutti (almeno 2Mb/s di banda), andrebbe data anche la possibilità a chi ne sente il bisogno di stare alla pari con le economie più avanzate che ormai puntano soltanto sulla fibra ottica. Il secondo tema è quello dell’alfabetizzazione digitale del Paese. A mio avviso, è importante soprattutto per la nostra classe dirigente, amministratori pubblici, imprenditori e manager in particolare. Anche se più spesso il tema di cui si discute sono gli anziani e i giovani, sono loro quelli che potrebbero più rapidamente cambiare il paesaggio. Il terzo, e più difficile, però è quello della creazione di servizi per sfruttare questa digitalizzazione.
Perché?
Il tema della digitalizzazione non è quello di promuovere un settore importante e funzionale per la crescita dell’economia, ma creare uno strumento. Quindi, il tema vero è: digitalizzare per farci cosa? Con la digitalizzazione si possono toccare un po’ tutti i temi strutturali dell’economia italiana: ad esempio, aumentare la produttività del lavoro, la trasparenza dell’economia e la competitività del sistema. Non riesco a immaginare nessun tema della crisi italiana che non possa essere affrontato con un meccanismo di mercato appoggiato ad internet. Il prezzo della benzina alla pompa, i costi alti delle assicurazioni auto, fare funzionare il mercato del lavoro in modo più trasparente, ridurre l’evasione fiscale. Internet è un enorme e potente strumento ma, come un specchio, riflette le idee di chi c’è davanti. Se sono povere, diventa uno strumento altrettanto povero. Se sono coraggiose e innovative, possono cambiare tutto, come è accaduto in sette anni in Kenya, ad esempio. In questo momento internet potrebbe essere la soluzione per un cambiamento radicale del Paese: una Pa poco produttiva e scarsamente trasparente, un alto tasso di evasione, oneri amministrativi eccessivi, per citarne alcuni dei principali problemi. Ma per farlo occorre un ripensamento radicale, un approccio timido o gradualistico non serve e darà scarsi risultati.
Proprio riguardo la Pubblica Amministrazione, che impatto può avere la digitalizzazione? Tra gli obiettivi fissati dal Governo si leggono Smart Cities e Smart Communities, Open Data. Cosa significano?
Grazie all’Open Data i dati prodotti dalla PA saranno resi disponibili in modo trasparente e gratuito in piena libertà di utilizzarli, riutilizzarli e ridistribuirli con due vantaggi principali: il primo, maggiore trasparenza (quali sono i suoi costi, i risultati, le spese); il secondo, mettere le basi per creare nuovi servizi al cittadino. Ad esempio, come è stato fatto negli Stati Uniti, rendendo disponibili le sanzioni per violazione delle norme sull’igiene, si può creare un servizio che riporta tutti i ristoranti multati. In questo modo, prima di andare in un ristorante, si può sapere se è in regola o quante volte nel passato è stato multato, creando, così, un mercato trasparente. Un privato molto probabilmente sarà ben disposto a pagare per quest’informazione ma allo stesso tempo lo Stato avrà creato un meccanismo di mercato disincentivante per “chi vuole fare il furbo”.
E Smart Communities e Smart Cities?
Le Smart Cities sono città più intelligenti, ovvero più sostenibili, più vivibili ma anche con costi più bassi.
Come si potrebbero realizzare?
Un esempio banale, un’illuminazione intelligente regolata in funzione dell’orario del giorno e della presenza della gente: il lampione si “accorge” che in quella strada non c’è nessuno e diminuisce immediatamente la sua illuminazione, per poi aumentarla di nuovo quando c’è qualcuno di passaggio. Grazie alla digitalizzazione si può avere un consumo e un utilizzo delle risorse più intelligente. Un altro esempio: avvertire i cittadini se c’è stato un blocco del traffico o una coda sulla propria strada, permettendo un immediato cambio del percorso. Una Smart Community si inserisce trasversalmente rispetto alla Smart City, mettendo insieme servizi, imprese e territorio, sviluppando sinergie trasversali rispetto all’agglomerato urbano, magari più focalizzate ma anche più importanti.
Come si può risolvere il divario dell’Italia rispetto all’Europa dal punto di vista della domanda?
La chiave è l’alfabetizzazione digitale. Se si riesce a creare la domanda di digitalizzazione, tutto il resto viene da solo. Ad esempio, si può ripartire dall’alfabetizzazione di massa, perchè non esistono più trasmissioni sulla Tv generalista per aggiornare chi vuole essere “educato” o “informato” in materia di tecnologia. Dopo Mediamente, ci sono altre trasmissioni che trattano questi temi e li spiegano in un linguaggio comprensibile? Direi di no.
Ci sono altri modi?
L’altro tema è avvicinarsi alle persone: attivare il terzo settore, far partire iniziative dal basso che vadano a raggiungere persone anziane, o utilizzare a fondo le tecnologie nelle scuole (iPad, libri di testo ad esempio). Ci sono diverse iniziative. Ad esempio, Impara Digitale è un’esperienza partita da poco che si propone di aiutare i docenti a capire come digitalizzarsi per digitalizzare la scuola: formarne pochi per modernizzarne tanti. Un obiettivo ambizioso ma raggiungibile e strategico. D’altronde, si sa, che le rivoluzioni inarrestabili partono tutte dal basso.