In Italia si vive di più e ormai i ricchi sono i nonni

In Italia si vive di più e ormai i ricchi sono i nonni

VECCHI SEMPRE PIÙ RICCHI

Le cronache estive riferiscono di tante preoccupazioni finanziarie e, per distrarci, ci offrono foto di personalità in costume da bagno. Fra le diverse notizie, ne leggo una che è al confine fra corporate governance e pettegolezzo di società. Bernardo Caprotti, anziano fondatore della catena di supermercati Esselunga, ricorre al giudice per contestare ai figli l’appropriazione di parte del suo patrimonio. Non voglio entrare nel dettaglio della vicenda: i dissidi della famiglia Caprotti non interessano qui né sotto l’aspetto giuridico né sotto l’aspetto puramente economico. La “querelle Caprotti” è emblematica, però, per un dettaglio: l’età avanzata dei contendenti. Il padre ha 85 anni, i figli 51 e 50.

Chiaro: la famiglia Caprotti non è una famiglia come tante altre, è molto più ricca. Però, anche in casa loro, come in tante altre famiglie, due generazioni, ambedue avanti negli anni, bisticciano per il controllo del patrimonio familiare. Questa, credo, è la storia di tante famiglie italiane.
Per la verità, il fatto che i conflitti generazionali coinvolgano parti ambedue attempate, riflette una gran buona notizia: viviamo sempre di più. È vero, questo lo sappiamo, però è istruttivo vedere quanto di più. Riportoqui sotto l’aspettativa di vita alla nascita per gli italiani di diverse generazioni. Si vede che la vita attesa è cresciuta molto rispetto al passato. E questa è una gran bella cosa. I figli di Caprotti, per esempio, essendo nati attorno al 1960, possono aspettarsi di vivere ben dieci anni in più di loro padre, che è nato nel 1925.

Da un altro punto di vista, però, questo vuol dire che i vecchi, vivendo sempre più a lungo, continuano a controllare una parte sempre maggiore della ricchezza, e la trasmettono sempre più tardi alle generazioni future. Riporto qua sotto i risultati di una rilevazione della Banca d’Italia che sembra confermare il fenomeno: misura la distribuzione della ricchezza fra generazioni, nel 1987 e nel 2000.

Fonte: G. D’Alessio, Ricchezza e disuguaglianza in Italia, Questioni di Economia e Finanza, Banca d’Italia, 2012. Il grafico rappresenta, per il 1987 e il 2008, il numero indice del valore medio della ricchezza netta familiare (in ordinata) per classe di età del capofamiglia (in ascissa), quest’ultimo inteso come il maggior percettore di reddito. Per ricchezza netta si intende il valore di mercato delle abitazioni, dei terreni, box, capannoni e altri beni reali, più le attività finanziarie possedute (depositi, titoli, azioni, fondi comuni, eccetera) meno le passività (mutui e altri debiti ). Nel grafico, si pone pari a 100 il valore medio della ricchezza netta familiare di ciascun anno. 

La figura mostra che, dal 1987 al 2008, tutte le generazioni sotto i 50 anni hanno perso considerevolmente in termini di ricchezza media. La generazione sopra i 65 anni, invece, ha guadagnato considerevolmente. Rispetto a prima, dunque, i vecchi sono più ricchi e i giovani (fino a 50 anni di età) più poveri.
Mi si ribatterà che nella esperienza comune i parenti anziani non sono affatto ricchi, anzi. Ma la risposta è sì e no. Molta della ricchezza in questione è rappresentata dalla proprietà di abitazioni. Un anziano che vive in un appartamento di proprietà semi-centrale a Milano, e magari ha pure difficoltà ad arrivare a fine mese, certo non si sente milionario. Ma di fatto lo può ben essere, considerando valore dell’appartamento. Mi si dirà anche che gli anziani talvolta aiutano i familiari più giovani. Ma prima di affrontare questo punto – e prima di diventare oggetto di improperi vari – voglio dire che i vecchi non hanno nulla da rimproverarsi. Tutt’altro. Non voglio dunque fare un discorso anti-anziani. Anzi, col passare degli anni provo sempre maggiore simpatia per la fascia di età dell’ispettore Barnaby e delle fibre di crusca solubili.

GIOVANI COL CAPPELLO IN MANO

Tuttavia, vorrei fare alcune riflessioni. Il periodo della vita che va fra i 30 e i 50 anni è quello in cui i genitori più potrebbero investire nel “capitale umano” (cioè l’istruzione) dei propri figli. Una possibile interpretazione del secondo grafico è che i genitori del 2008 sono meno in condizioni di farlo rispetto ai genitori del 1987. È un gran peccato, perché nel mondo del lavoro il capitale umano è sempre più determinante. Se un tempo si poteva avere un buon lavoro con la licenza di scuola superiore, e una laurea era una garanzia di alta retribuzione; oggi la laurea non è più garanzia di niente. Per avere un titolo di studio veramente qualificante, bisogna pensare ad alcuni (e solo alcuni) dottorati di ricerca e specializzazioni. Probabilmente da fare lontano da casa, magari anche all’estero. Chi finanzierà questo lungo e costoso corso di studi? E, prima, il viaggio in Inghilterra per imparare l’inglese, e il corso di informatica?

Sempre più – i dati suggeriscono – i genitori dovranno andare col cappello in mano dai nonni. Ma il nonno, capirà l’importanza dell’acquisizione di capitale umano per il nipote? Il mio timore è che il nonno non la capirà. Piuttosto, penserà che il corso di inglese o di informatica siano una stravaganza. Tanto più se, per mandare il nipotino in Inghilterra, il nonno dovrà razionarsi la badante o, sacrilegio, vendere la casa di proprietà. Tanto più ancora se il risultato finale di tutto questo investimento rischia di essere un nipotino lavorativamente “mobile”, orientato a emigrare. E quindi, il nipotino non riuscirà, anche se volesse, a fare quel salto di qualità che gli permetterebbe di emergere sul mercato del lavoro.
I nipoti Caprotti, presumibilmente, non sono a rischio. Se vorranno acquisire capitale umano potranno farlo, e avranno comunque una vita felice (o almeno agiata). Molti dei nipoti italiani, invece, non avranno le risorse per acquisire capitale umano. Per questo il conflitto generazionale in Italia è tragico. Le ripercussioni sul benessere delle generazioni future saranno profonde, e non in senso positivo.

* Ha ottenuto il PhD. in Economics alla Northwestern University. Ha insegnato alla University of California Los Angeles (UCLA), alla University of Pennsylvania, e alla New York University, prima di ritornare alla Northwestern University nella Kellogg School of Business. È Research Associate per il National Bureau of Economic Research (NBER) e Honorary Fellow del Collegio Carlo Alberto. Ha pubblicato numerosi articoli presso le maggiori riviste scientifiche internazionali. I suoi interessi scientifici riguardano la Political Economy (l’economia della politica), Legge ed Economia, Criminologia, e la teoria economica.

X