L’Italia soffre meno ma i mercati hanno troppa fiducia nella Bce

L’Italia soffre meno ma i mercati hanno troppa fiducia nella Bce

La tensione di fine luglio è un ricordo. L’Italia sui mercati obbligazionari è tornata a respirare negli ultimi 30 giorni e si prepara alla sfida più dura, quella degli ultimi tre mesi dell’anno. A fine luglio il 66% del funding 2012 dell’Italia, circa 440 miliardi di euro, era stato soddisfatto. E con le emissioni obbligazionarie di questa settimana, l’ultima oggi, si arriva a sfiorare quota 70 per cento. Questo però non basta per dormire sonni tranquilli. Il rally positivo vissuto dai bond italiani ha un motivo preciso: le aspettative degli investitori.

«La Bce farà qualunque cosa per preservare l’euro», ha detto il presidente della Bce, Mario Draghi, alla Global Investment Conference di Londra nell’ultima settimana di luglio. In quell’occasione parlò senza mezzi termini di come il meccanismo di trasmissione della politica monetaria si era fermato, provocando distorsioni fra il tasso d’interesse di rifinanziamento della Bce e i tassi retail. Più si abbassano i primi, più si alzano i secondi per via delle svalutazioni legate alle obbligazioni governative che le banche hanno in portafoglio. Il risultato è una sostanziale restrizione del credito erogato alle imprese. «In un mese, tutto si è basato su quella frase». A dirlo è la banca scandinava Nordea, che ha analizzato l’agosto dell’eurozona.

Sull’onda lunga di Draghi, gli investitori hanno preso fiducia. Eppure, sono ancora presenti i tre problemi evidenziati a fine luglio, ovvero il sistema interbancario bloccato, il congelamento del mercato dei repurchase agreement (pronti contro termine) e la scarsità di liquidità sui mercati monetari. Proprio per questo si era pensato di dare una mano ai mercati finanziari dell’eurozona. Come? Tramite i due fondi europei di stabilità finanziaria, lo European financial stability facility (Efsf) da 440 miliardi di euro e lo European stability mechanism (Esm) da 500 miliardi, la cui effettiva entrata in vigore è subordinata alla decisione della Corte costituzionale tedesca, che arriverà il 12 settembre prossimo. Ma fino a quando potrà durare il gioco di specchi di Draghi?

Il sollievo d’agosto è stato orientato principalmente sulla parte bassa della curva dei rendimenti dei titoli di Stato italiani. Merito della Bce. O meglio, merito delle parole del suo presidente. «Il calo dei tassi d’interesse sui bond di Italia e Spagna rappresentano alla perfezione un fenomeno costante lungo la crisi dell’eurozona», spiega in una nota della scorsa settimana la banca americana Citigroup. Più ci sono pressioni sui Paesi che rallentano nel processo di riforme, più i politici europei cercano soluzioni, più si promettono soluzioni. E qui avviene il rally positivo. Poi, quando le promesse non vengono rispettate, le tensioni riprendono e il circolo ricomincia. Le aspettative degli investitori sono state tradite già una volta, seppur in modo lieve.

Dopo l’intervento di Draghi nella City, ulteriori dettagli sul prossimo intervento della Bce a sostegno della zona euro sono stati forniti durante la conferenza stampa dell’Eurotower a inizio agosto. L’unica certezza è che gli acquisti della Bce, su cui il numero uno della Bundesbank, Jens Weidmann, ha posto il proprio veto, avverranno nella porzione più bassa della curva. Due domande corrono lungo i corridoi delle trading room. «E se il 6 settembre non viene rivelato nulla?», mormorano gli operatori. E ancora: «E se la Corte costituzionale tedesca dovesse prendere ancora altro tempo? Come si arriva fino a fine anno?». Domande legittime. Come rivelato da Bloomberg una settimana fa, all’Eurotower si sta pensando di procrastinare la data in cui svelare i piani della Bce per sostenere i Paesi dell’eurozona in difficoltà. «Un ritardo avrebbe un impatto rilevante sull’umore degli investitori internazionali», sostiene Goldman Sachs.

Nello specifico, potrebbe esserci un innalzamento di 50-60 punti base dello spread fra il rendimento dei Btp decennali e i Bund tedeschi di pari entità. Del resto, è ragionevole pensare che la tensione possa aumentare nelle prossime settimane. Diverse questioni sono infatti ancora irrisolte, non meno importanti rispetto alla decisione di come saranno acquistati i titoli di Stato nell’eurozona. La più significativa di queste è la seniority di Bce, Efsf e (se approvato) Esm, ovvero lo status privilegiato rispetto agli altri obbligazionisti. Infatti, se la Bce acquista bond governativi di una nazione che poi opta per una ristrutturazione del debito, esistono diversi gradi di protezione degli obbligazionisti. In altre parole, chi si può far forte della seniority ha un vantaggio rispetto a tutti gli altri. Come ha sottolineato oggi Michala Marcussen, analista di Société Générale, fino a quando non sarà sciolto questo nodo, difficilmente potrà esserci un intervento.

L’esperienza del Private sector involvement (Psi), cioè il coinvolgimento dei creditori privati nella ristrutturazione del debito greco ultimata nello scorso marzo, è ricordata come una pagina buia nella storia della Bce. Il motivo è semplice e versa tutto nella differenza di trattamento dei titoli di Stato ellenici acquistati dall’Eurotower tramite il Smp (Security markets programme), lo speciale programma di acquisto di bond sul mercato secondario ampiamente usato negli ultimi due anni dalla Bce. A fronte delle perdite dei creditori privati – la ristrutturazione è avvenuta su 206 miliardi di euro su 365 miliardi di debito complessivi – quelli pubblici non hanno patito alcuna svalutazione. E ora, seppure in modo informale, avanza l’ipotesi di un’introduzione dell’Official sector involvement (Osi), un elemento che costringerebbe la Bce (ma anche Efsf e Esm) a rivedere i propri status sulle obbligazioni.

Secondo SocGen, ci sono due modi in cui la Bce può risolvere il problema della seniority. Da un lato, come ha sottolineato Draghi, il target di acquisti dell’istituzione di Francoforte saranno le maturity più corte. Se così fosse, spiega SocGen, non ci sarebbero problemi. Questo perché, anche in caso di una ristrutturazione del debito dei Paesi, è possibile escludere facilmente le obbligazioni a 6 mesi, uno o due anni. Dall’altro lato, se i governi dell’eurozona dovessero trovare un accordo per garantire (e coprire) tutte le eventuali perdite che potrebbe subire la Bce in caso di ristrutturazione del debito di uno dei Paesi membri, allora non ci sarebbe alcuna violazione dei trattati. Inoltre, sottolinea SocGen, si darebbe un segnale di unità all’esterno, a patto che si smetta di cambiare idea ogni due mesi. «La credibilità è la chiave per il successo di qualunque programma di assistenza finanziaria», spiega la Marcussen. Di contro, secondo Goldman Sachs è scettica.

Se è vero che, come ricordato da Draghi, il problema della seniority sarà affrontato, è altrettanto vero che dovranno arrivare «misure straordinarie» e «sacrifici diffusi» per ripristinare la situazione. Quali? Gli analisti di Goldman Sachs non lo indicano, ma è possibile che parlino dell’Osi, cioè nuove ristrutturazioni del debito all’interno dell’eurozona. L’acquisto di bond governativi avverrà e avrà uno scopo ben preciso: migliorare il meccanismo di trasmissione delle politica monetaria. Ed è con questa scusa che Draghi sta agendo. Questo perché l’articolo 123 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue) vieta alla Bce, ma anche alle banche centrali nazionali, di porre in essere meccanismi volti al finanziamento di Stati o entità di diritto pubblico. Non solo. È anche vietato l’acquisto, sempre da parte della Bce e delle banche dell’Eurosistema, di strumenti di debito emessi da Stati o società pubbliche. Il tutto sebbene le banche centrali nazionali, più l’Eurotower, siano istituzioni private, come ricordato dal Tfue.

Proprio in base a questa norma sono arrivate le rimostranze di Weidmann e della Bundesbank, anche se il cancelliere tedesco Angela Merkel ha spiegato in modo esplicito che Draghi ha e avrà il suo supporto. Nel frattempo, i rischi aumentano, sperando che non siano troppi. Stando all’ultimo rapporto annuale della Bce, c’è poco da stare allegri. I collaterali presi dalla Bce come garanzia per le linee di credito, come le due operazioni di rifinanziamento a lungo termine (Long-Term refinancing operation, o Ltro), sono di qualità sempre minore. L’entità dei non-marketable asset è passata dal 4% circa del 2006 al 24% del 2011. Secondo i calcoli di ICAP Research, il principale interdealer broker mondiale, al 31 luglio 2012 i non-marketable asset detenuti della Bce come collaterale è salito fino a quota 29 per cento. «Sono crediti e asset che sono impossibili da vendere sui mercati finanziari. La Bce continua a prenderli consapevole dei rischi collegati, ma non può fare altrimenti», hanno fatto notare gli analisti di ICAP. Già, la Bce non può fare altrimenti.

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