«Sappiano bene che non ci guadagneremo». Emilio Riva, patron dell’Ilva con all’attivo due condanne per reati ambientali, descrive così al Sole nel 2008 i 120 milioni che mette sul piatto per Alitalia quando rileva le quote dell’armatore Daponte nell’affaire Cai. Una frase che oggi, alla luce di quanto sta emergendo sul fronte penale dell’inchiesta sull’Ilva di Taranto, dove il reato ipotizzato è quello di corruzione in atti giudiziari, assume un altro suono. Le carte emerse sui giornali di mercoledì fanno un passo avanti nel mettere nero su bianco quello che è sempre stato un sospetto, raccontato da noi come da altri giornali. E cioè che l’autorizzazione integrata ambientale (Aia), emanata dal governo Berlusconi dopo 4 anni e mezzo di gestazione, mentre la legge stabilisce un massimo di 300 giorni, sia stata disegnata su misura, come un buon abito, sulle emissioni dello stabilimento tarantino.
I giornali hanno raccontato di come la commissione Aia fu riempita di signori nessuno, in genere siciliani come Stefania Prestigiacomo, all’epoca titolare del dicastero dell’Ambiente. Repubblica scrive di come il capo della commissione Fabio Ticali fosse un trentenne con all’attivo come pubblicazione più importante una sul ravaneto nelle costruzioni stradali. Linkiesta ha documentato il ruolo da freno a mano tirato svolto su questa vicenda dall’ex ministra siracusana («Taranto, regno della diossina protetto dalla Prestigiacomo»). Proprio nel periodo dell’operazione Cai-Alitalia, «il ministro Prestigiacomo si batteva strenuamente, anche ad agosto, per contestare il nuovo monitoraggio delle diossine svolto a Taranto. Perché fino ad allora neanche esisteva un controllo puntuale e preciso sull’aria che uscendo dai camini Ilva ammorbava per sempre il territorio». Non solo. Il Fatto Quotidiano ha scritto di come tra il 2006 e il 2007 Riva abbia staccato un assegno di 245mila euro per il partito di Berlusconi e altri 98mila euro siano andati a finanziare il segretario del Pd.
L’inquietante domanda diventa allora: cosa ha avuto Riva dal governo Berlusconi in cambio di quei 120 milioni buttati in Alitalia? Non vogliamo metterci a ripetere il numero dei morti e degli ammalati. Vogliamo una risposta che non sia nello stile del «dare ai giornalisti comunicati stampa fuorvianti» di cui si vanta Fabio Riva, figlio del patron, in un’intercettazione. Troppi sono i sospetti che sorgono a questo punto per non mettere questa questione in cima alla lista. Solo così potremo capire che vergognosa partita sia stata giocata sulla pelle dei lavoratori e dei cittadini contando sull’atroce calcolo che è meglio morire di tumore che di fame. Per questo, alla luce di questo, sono sbagliate le minaccie del ministro Severino al gip Todisco (via Arenula starebbe infatti valutando provvedimenti imprecisati nei suoi confronti). Per questo, alla luce di ciò, è sbagliata l’insistenza dell’attuale titolare dell’Ambiente Corrado Clini sul fatto che «se i giudici chiudono gli impianti si rischia il disastro industriale».
Perché, in questo scenario, non sarebbero i giudici a causare l’eventuale chiusura, che sicuramente bisogna cercare di evitare, ma la politica, le mazzette e i patti segreti fra Riva e il precedente esecutivo che iniziano a emergere con sempre maggiore nitidezza. Ai giudici poi bisogna chiedere di andare avanti sull’inchiesta penale senza guardare in faccia a nessuno e di farci capire il vero motivo per cui la politica ha abdicato ancora una volta ai suoi compiti lasciando lo spazio alla magistratura perché, si sa, in politica i vuoti non esistono. Sembrava fosse solo una tipica storia di incapacità. Ora sembra di più una tipica storia di scambi inammissibili fra politica e affari.
Oggi a Taranto arriveranno lo stesso Clini con il titolare dello sviluppo economico Corrado Passera. E qui c’è un altro punto dolente. Clini è stato direttore generale del ministero dell’Ambiente dal 1990 al 2011 quando è diventato titolare. L’ex capo delle relazioni istituzionali dell’Ilva, Girolamo Archinà, ora cacciato, dice in un’intercettazione che «Clini è uomo nostro». È considerato una persona seria, in questi mesi ha agito con celerità come quando a marzo ha subito recepito le nuove linee guida Ue e riaperto l’Aia. Ma com’è che non si è reso conto di niente?
Passera ha organizzato la cordata Cai, e se ci sono stati patti segreti con Riva, non sembra si possano attribuire direttamente a lui ma al governo al servizio del quale prestò i suoi servigi per il salvataggio Alitalia. Proprio per questo, però, dovrà dimostrare di avere il necessario spazio di manovra e la necessaria durezza perché lo stabilimento continui a produrre ma senza concedere ulteriori favori a Riva e senza fare altri danni alla salute dei cittadini. Se il management ha sbagliato, se ha omesso comunicazioni e, a maggior ragione, se ha corrotto, va cacciato e il ministro può chiedere la rimozione di chi ha avuto responsabilità in questa orrenda storia. Se c’è bisogno di un commissariamento, lo si faccia. Ogni sei mesi il suo ministero dovrebbe fornire un rapporto completo sull’avanzamento dei lavori, magari costringendo anche Riva a mettere mano al portafoglio (il fatturato del suo gruppo è passato da 5,8 miliardi nel 2009 ai 10 miliardi del 2011 con un risultato d’esercizio di 327,3 milioni). Intanto però la si smetta di minacciare giudici, si addossi alla politica tutte le sue colpe e si chieda a gran voce di dirci su quale do ut des è stata giocata la salute di migliaia di cittadini italiani. Perché «sappiamo che non ci guadagneremo» è forse la più grossa fra le bugie ancora nascoste fra i fumi di Taranto.
Twitter: @jacopobarigazzi