Rimini. Questione di feeeling. Ecco, non è scattato. L’incontro tra Elsa Fornero e il popolo di Cl non ha lasciato il segno. Dopo Mario Monti e Corrado Passera, è toccato a lei. Ma con risultati diversi. La diffidenza, probabilmente reciproca, che si palpava all’inizio non si è via via dissolta. Anzi. Magari alla fine la platea ha regalato l’applauso più caldo alla ministra del Lavoro, ma nulla più che un attestato di riconoscenza per aver accettato l’invito. Nella speciale classifica dell’applausometro, Fornero è arrivata terza su tre, dietro agli altri due relatori: mister Cisl, Raffaele Bonanni, e l’amministratore delegato dell’Enel Fulvio Conti.
Ancora una volta, la ministra ha dipinto l’Italia che vorrebbe. A modo suo. Senza tanta diplomazia e col quel tono e quei tempi che si addicono più a una professoressa che a un politico navigato in grado di stimolare applausi.
E l’Italia vista da Elsa Fornero (qui al Meeting ha sfoggiato anche il secondo nome, Maria) è un’Italia «che adesso deve puntare alla crescita, ma non come è avvenuto in Cina negli ultimi otto anni. Lì il partito, lo Stato, ha detto “andate e arricchitevi”. Noi diciamo arricchitevi, certo. Ma non ad ogni costo. Arricchitevi ma rispettate l’ambiente, siate trasparenti, rispettate le regole, pagate le tasse e siate attenti alla solidarietà». E gli applausi non sono scattati. Anzi, qualcuno – isolato a dire il vero – si è persino spaventato quando la ministra ha accennato alla distribuzione dei redditi: un termine pronunciato appena prima di accennare alla Cina. Un peccato di ingenuità che da queste parti è meglio non commettere.
Un tasto, quello delle risorse umane, su cui la professoressa – come lei si è definita – ha battuto molto. Eppure, proprio nel luogo dove l’uomo apparentemente è al centro di tutto, non è bastato. Nell’Italia secondo Fornero, «bisogna investire nel capitale umano. Sui giovani, innanzitutto. Le nostre imprese si lamentano della loro scarsa preparazione, eppure all’estero riescono spesso a fare carriere brillanti. Io dico che non dovrebbero essere mortificati come avviene oggi, visto che sono pagati meno rispetto al loro gradi di preparazione ». E qui un applauso, sia pure timido, la ministra lo porta a casa.
In Italia secondo Fornero esistono anche le donne. «Stiamo sprecando une generazione di donne». E tu immagini che possa venir giù la sala, anche se può essere solo considerata una frase ad effetto. E invece niente. «Non si capisce perché tante donne lavorino, eppure ai vertici di donne quasi non ce ne sono. È il non riconoscimento del merito che paralizza le donne e di conseguenza la crescita in Italia». Silenzio.
Infine il Mezzogiorno. E in un’associazione che di fatto esiste quasi e solo al Nord, ogni discorso che abbia una prospettiva unitaria finisce su un binario morto. Inutile persino ripetere le sue ovvie e ragionevoli parole.
Intorno a lei ci sono Bonanni che strappa ovazioni citando De Gasperi e Sant’Agostino, ricordando come lui «notoriamente» non sia un uomo di potere; e Conti che conquista la sala raccontando i suoi trascorsi da fornaio mentre a Milano, quando hanno indetto un concorso per settecento fornai di italiani, se n’è presentato solo uno.
Fornero prosegue. E riparte delle sue riforme e dai suoi obiettivi. Nella sua Italia la struttura salariale non avviene per età. «Vedo con piacere che Bonanni cita spesso la Germania, ma lì i salari non aumentano con l’età del lavoratori, seguono l’andamento della produttività. E va da sé che una persona anziana produca meno di un giovane. Da noi, invece, la curva salariale è crescente. E così le imprese si ritrovano anziani che costano troppo, di cui vogliono disfarsi, e penalizzano i giovani. Vogliamo riflettere su questo?».
Ecco, il punto giovani un po’ scalda la platea. Soprattutto quando la ministra si immerge nell’universo dell’apprendistato e della precarietà, e racconta di fatto una realtà che probabilmente in tanti in famiglia hanno vissuto o stanno vivendo per esperienza diretta. «La nostra riforma del mercato di lavoro è stata accusata di eccessiva rigidità. E probabilmente è vero. Ma l’obiettivo non era di cancellare la flessibilità, bensì di limitare il precariato che impedisce ai giovani di formare una famiglia. In tanti – prosegue – mi hanno detto che la mia lotta sull’apprendistato è una battaglia persa ma io sono ostinata e non voglio arrendermi».
E così, nell’Italia secondo Fornero l’apprendistato non vuole essere più «un espediente per ridurre il costo del lavoro e basta. Noi diciamo ok, agevoliamo le imprese che insegnano un lavoro ai giovani ma poi almeno qualcuno lo devi stabilizzare, lo devi assumere. Le imprese non possono continuare a fare apprendistati a rotazione senza assumere. Così non si aiuta la crescita». E qui l’applauso scatta. E il mood sembra cambiare quando la ministra sottolinea la volontà di non avere più finti corsi e finti tutoraggi.
«Abbiamo detto no alla successione di contratti a tempo determinato, a chiamata, a progetto. No, a un certo punto il lavoratore ha diritto a un contratto a tempo indeterminato. Poi – aggiunge – non diciamo che debba essere assunto a vita, perché oggi il mercato non ce lo consente più. Ed è per questo che la riforma prevede la possibilità di interrompere il rapporto senza il reintegro da parte del giudice. Non abbiamo voluto concedere la libertà di licenziare ma solo riconoscere le ragioni della’impresa».
Nel Paese immaginato da Elsa Fornero, c’è spazio anche per un capitolo sugli ammortizzatori sociali. «Oggi, tra cassa integrazione, cassa integrazione straordinaria, liquidità, un lavoratore che perde il lavoro entra in un percorso di assistenza pubblica che può durare anche dieci-dodici anni. Che non solo grava sulle casse dello Stato, ma è umiliante per lo stesso lavoratore che invece deve essere assistito nella ricerca di una nuova occupazione». «In Italia – prosegue – dovremmo avere un mercato del lavoro che non consideri perdute le persone con più di cinquant’anni. Per carità – aggiunge – so bene di cosa vengo accusata. Ma non sono così rozza come mi dipingono. Sono una professoressa e sono gratificata dal mio lavoro, ma so che ci sono professioni faticose e pesanti che non possono essere portate avanti per tanti anni».
Ormai è quasi finita. La platea un po’ si scalda, ma nel complesso rimane piuttosto tiepida. Il tempo di anticipare quel che poi viene ribadito in conferenza stampa («Da brava alunna – dice ai giornalisti – ho fatto i compiti per le vacanze e proporrò in Consiglio dei ministri una sperimentazione: la decontribuzione per quelle imprese che abbiano parametri alti nel rispetto dell’uomo, vale a dire che non discrimino il lavoratore») per poi concludere ricordando l’esempio della Lombardia dove si è cominciato un esperimento che prevede il part-time di un lavoratore anziano con il part-time di un giovane. «L’obiettivo – dice – è avere un mercato del lavoro inclusivo in cui le persone non siano necessariamente in competizione». E saluta. La sala applaude ma il calore sentito l’altra sera quando Formigoni parlava di terrorismo giuridico è un pallido ricordo.