TAMPA (FLORIDA) – Ad ascoltare il suo discorso ieri sera alla convention, solido ma poco entusiasmante, si fa fatica a credere che il candidato repubblicano Mitt Romney possa battere il presidente Barack Obama alle elezioni del 6 novembre. Eppure, le probabilità sono alte. All’indomani della crisi economica più dura dopo la grande depressione e impantanati in due guerre senza sbocco in Iraq e Afghanistan, nel 2008 gli americani si sono convinti della speranza di cambiamento portata da Obama, il giovane senatore nero dalla irresistibile storia personale. Quattro anni dopo, però, non riscontrano miglioramenti tangibili. Con una disoccupazione al 8,3% vedono sfumare il sogno americano, l’idea cioè che il proprio talento e il proprio lavoro possano permetterti qualsiasi tipo di carriera e soddisfazione.
«Questo presidente ci verrà a dire che è colpa di qualcun altro. Questo presidente ci verrà a dire che se lo eleggiamo per altri quattro anni azzeccherà le scelte», ha detto Romney sul palco del convention center puntando il dito contro le politiche di Obama. «Ma questo presidente non ci può raccontare che stiamo meglio oggi di quando si è insediato alla Casa Bianca».
Così Romney in questa convention si è presentato all’America come l’uomo in grado di farla ripartire grazie alle sue credenziali di businessman: dalla gestione di Bain Capital, un fondo d’investimenti da lui avviato nel 1984 per aiutare aziende in difficoltà a rimettersi in sesto (non senza licenziamenti ingenti) al salvataggio economico delle olimpiadi invernali del 2002 in Utah, passando per i quattro anni di mandato come governatore del Massachusetts, quando traghettò lo Stato fuori da una crisi economica e terminò l’incarico quando la percentuale di disoccupazione scese al 4.7 per cento.
In pratica Romney dice agli americani: io non vi prometto un cambiamento indefinito e vaghe speranze come Obama che vuole perfino salvare il pianeta dal surriscaldamento globale, io applicherò le mie competenze di businessman, che mi hanno fruttato centinaia di milioni di dollari, al governo del Paese e vi porterò un cambiamento concreto, misurabile perfino sui vostri conti bancari. «Mi ero augurato che il presidente avesse successo perché voglio che l’America abbia successo», ha detto ieri Romney. «Ma le sue promesse si sono risolte in disappunto e divisioni. Adesso è il momento in cui ci possiamo alzare in piedi e dire “sono un americano”. Sono l’artefice del mio futuro. Mi merito di più! I miei figli meritano di più! La mia famiglia merita di più. Il mio Paese merita di più».
Agli americani delusi dalle promesse obamiane e incerti su chi votare, questo tipo di messaggio piace, e i sondaggi negli stati chiave per la vittoria elettorale come Florida, Ohio, Wisconsin e Iowa segnalano ormai un sostanziale testa a testa tra Obama e Romney, sia pure il presidente sia ancora leggermente in vantaggio. Per restringere ulteriormente quel divario, ieri Romney ha presentato per la prima volta un programma economico per creare 12 milioni di posti lavoro suddiviso in cinque punti. Primo, indipendenza energetica, ovvero libertà di trivellare ovunque ci sia petrolio in America. Secondo, libertà per le famiglie di poter scegliere le scuole migliori, cioè solitamente quelle private. Terzo, ritorsioni commerciali contro i Paesi che si rendono responsabili di concorrenza sleale come la Cina. Quarto, bilancio in pareggio per incoraggiare gli imprenditori americani a continuare a investire e rischiare negli Stati Uniti. Quinto, sgravi fiscali per le imprese e riduzione dei costi del lavoro, per esempio abrogando da subito la riforma sanitaria targata Obama.
Sul terreno economico, e specificamente sulla tema del pareggio di bilancio, il piano di Romney si affida molto alle idee di colui che ha nominato come suo vice, Paul Ryan, il quarantaduenne astro nascente del partito, paladino della riduzione del deficit e beniamino dell’ala intransigente del partito, un ultraliberista portato in palmo di mano anche dal Wall Street Journal.
Tutto vero. Ma per Romney il cammino non è in discesa. La prossima settimana a Charlotte nella North Carolina ci sarà la convention del partito democratico e il presidente Obama avrà modo di replicare punto su punto alle sue accuse. E poi resta il suo principale problema di sempre: la sua antipatica immagine pubblica di ricco senza contatto con la realtà della classe media, non a caso il target del suo discorso di ieri. Alla domanda chi è più in sintonia con la “middle class” tra Obama e Romney, in un recente sondaggio CNN, il primo è dato al 53%, il secondo solo al 39 per cento. E allora la missione di questa convention è stata reinventare a livello mediatico un Romney più empatico di quello dipinto dalla pubblicità elettorale del partito democratico. Per avvicinare Obama soprattutto sul terreno dell’elettorato femminile, dove Romney è indietro di quasi 20 punti rispetto al presidente.
Fondamentale in questo senso è stato il discorso della moglie di Romney nella giornata di apertura della convention. Partendo dalla sua storia d’amore con quel Mitt incontrato 47 anni fa a un ballo, ha dipinto un mister Romney nuovo, più simpatico e alla mano di come è stato rappresentato nei media americani fino a questo momento. Se a molti è noto come un privilegiato e antipatico figlio di un governatore del Michigan diventato ancor più ricco con la sua carriera di businessman, Ann, sopravvissuta a un tumore al seno e malata di sclerosi multipla, lo ha dipinto come un uomo dal successo guadagnato sul campo, grazie al suo spirito d’iniziativa, lavorando a mille, sospinto da una fiducia granitica nei suoi sogni, e non senza aver attraversato momenti difficili. Come quando, ha detto Ann, appena sposati, avevano abitato per qualche tempo in un seminterrato e potevano concedersi solo pasta e tonno.
«È stata molto brava, ha raccontato in modo autentico il Mitt domestico», spiega a Linkiesta Katherine Jellison, ordinaria di storia all’Università dell’Ohio specializzata nel ruolo delle donne nella vita pubblica americana, che avvicina la figura di Ann Romney a quella della first lady Barbara Bush. «Tratteggiando un marito capace, generoso, premuroso con lei, con i 5 figli e i 18 nipoti, ha parlato direttamente alle donne, e credo ne abbia conquistate molte».
Non ultima in ordine d’importanza c’è per Romney l’incognita elettorale della sua fede mormone di cui per lungo tempo non aveva parlato, ma della quale sono emersi molti più elementi durante questa convention, per esempio in relazione alle sue opere di carità. «Tradizionalmente nei sondaggi le probabilità di un mormone di diventare presidente erano minori di quelle di una donna o di un afroamericano», spiega Melissa Miller, professoressa di Scienze politiche alla Bowling Green university in Ohio. «Credo, però, che come l’appartenenza etnica non ha avuto una rilevanza spiccata nella scorsa campagna elettorale, così non sarà determinante quella religiosa in questa tornata».
Per rassicurare i repubblicani doc della Bible Belt – la cosiddetta cintura della Bibbia negli Stati del Sud dove le confessioni prevalenti sono quella battista ed evangelica – ci ha pensato, a modo suo, il vulcanico pastore con il vizietto della chitarra elettrica Mike Huckabee. «Quando ti dicono che hai un tumore al cervello», ha detto riferendosi alla crisi economica in un’intervista a margine della convention, «onestamente non ti importa se il neurochirurgo è un cretino», ti fai operare e basta.