«L’Italia è in uno stato di guerra» contro l’evasione fiscale, ha detto Mario Monti nell’intervista a Tempi che ha preceduto il suo intervento all’inaugurazione del Meeting di Rimini. Non è la prima volta che Monti parla dell’annosa questione con toni durissimi. Toni che riprendono quelli utilizzati esattamente un anno prima da Giorgio Napolitano, dal medesimo palcoscenico: «Basta con assuefazioni e debolezze nella lotta a quell’evasione fiscale di cui l’Italia ha ancora il triste primato nonostante apprezzabili ma troppo graduali e parziali risultati», aveva detto il Presidente della Repubblica.
Allora al dicastero di via XX Settembre c’era Giulio Tremonti. Sempre nell’agosto del 2011, sempre a Rimini, il numero uno dell’Agenzia delle entrate, Attilio Befera, snocciolava i dati: «Dall’inizio dell’anno ad oggi, abbiamo incassato 6 miliardi di euro come recupero dall’evasione fiscale e contiamo di arrivare a 11 miliardi a fine anno» . Lo scorso 9 agosto, Befera dichiarava a Le Nouvel Observateur di aver già recuperato 7 miliardi di euro. In teoria, dunque, il record del 2011, a quota 12,7 miliardi, potrebbe essere battuto. Una buona notizia, sebbene per l’Agenzia delle entrate la misura dell’evasione sia pari a 120 miliardi di euro l’anno. Certo è che, come ha spiegato Befera a Che tempo che fa lo scorso marzo, «ora vi sono più controlli e strumenti più forti che il governo Monti ci ha dato». Il più forte dei quali è l’obbligo, imposto dal Salva-Italia, per banche e intermediari finanziari, di comunicare all’Anagrafe tributaria i movimenti effettuati sui «rapporti» dai loro clienti, che tuttavia partirà il mese prossimo.
Un confronto in termini assoluti tra quanti miliardi di euro sono rientrati nelle casse dell’Erario grazie a Tremonti – il cui studio professionale ha aiutato Bpm, Intesa e Unicredit in complicate operazioni fiscali oggetto di procedure giudiziarie che ne hanno messo in dubbio la regolarità– e quanti grazie a Monti, al netto dei condoni del precedente ministro, è praticamente impossibile. È possibile invece parametrare le somme recuperate per ogni giorno in cui il ministro dell’Economia è rimasto in carica. Il calcolo è presto fatto: l’anno scorso gli 007 del fisco sono riusciti a far emergere, fino al 16 novembre 2011, data in cui si è insediato l’esecutivo dei tecnici, 34,3 milioni di euro al giorno. Se, come dice Befera, nei primi sei mesi dell’anno sono già stati recuperati 7 miliardi, significa che da inizio 2012 l’Agenzia delle entrate ne ha ripresi 29,8 milioni. È dunque in vantaggio Tremonti, pur partendo da una cifra inferiore, i 6 miliardi di euro di cui parlava Befera nel 2011 rispetto ai 7 di inizio agosto. Qui bisogna però tenere conto del fatto che, come dicono dall’ente di via Cristoforo Colombo, le cifre ufficiali, tradizionalmente presentate all’inizio di febbraio, possono essere limate al rialzo. È successo ad esempio nel 2010, quando i 10,5 miliardi sono saliti a 11.
L’8 maggio 2008 il professore di Sondrio ha giurato da ministro dell’Economia nell’esecutivo guidato da Berlusconi. Quell’anno i proventi da accertamenti si sono attestati a 6,9 miliardi di euro. Cifra salita a 9,1 miliardi nel 2009 e, come detto, 11 miliardi nel 2010. Nei 1.279 giorni in cui è rimasto in carica Tremonti, il Fisco ha recuperato 21,1 milioni di euro al giorno. Considerando dunque la media tutti e tre gli anni in cui Tremonti ha ricoperto la carica di titolare dell’Economia per la seconda volta, è di nuovo Monti a passare in vantaggio. Sperando che l’ex eurocommissario sia in grado di staccare ancora il predecessore per eliminare uno dei malcostumi più dannosi, anche in termini di immagine, del Paese.