Prima l’intervista a Der Spiegel, in cui si rimarcava come i governi nazionali non dovrebbe farsi vincolare troppi dai propri parlamenti. Poi la dura replica del ministro tedesco degli Esteri, Guido Westerwelle, che ha invitato a una moderazione dei toni usati. Infine, le nuovi voci su un imminente richiesta di sostegno. Per il presidente del Consiglio Mario Monti non è stato un inizio di settimana all’insegna della tranquillità. L’impressione è che la lunga trattativa fra Roma e Berlino sul sostegno all’Italia sia iniziata a tutti gli effetti. Da un versante, l’Italia non vuole essere paragonata alla Grecia. Dall’altro, la Germania vuole garanzie. In mezzo, due attori, Banca centrale europea e Commissione Ue, pronti a dare il loro supporto.
Il governo italiano è compatto. «L’Italia non ha bisogno di un bailout, né lo chiederà», spiega un funzionario di Palazzo Chigi a Linkiesta, confermando le parole del presidente del Consiglio. Eppure, la sensazione è che qualcosa si stia muovendo. Dall’assordante silenzio dei mesi passati si è passati alla negazione più ostinata. In qualunque uscita pubblica, Monti ripete quello che per lui è diventato un mantra: «Non abbiamo bisogno di un salvataggio». In altre parole, non siamo come la Grecia. Ma ci sono due elementi che non giocano a favore dell’Italia. Da un lato la crescita economica non si vedrà almeno fino alla fine del 2013. Dall’altro, la velocità di propagazione del virus della crisi dell’eurozona sta rapidamente aumentando.
Sono due le possibili richieste iniziali che circolano. Pareggio di bilancio raggiunto «entro la fine del secondo trimestre del 2013» e ulteriore taglio alla spesa pubblica. La preoccupazione che traspare dalle parole dei funzionari della Commissione europea in merito al primo punto, fondamentale per il nuovo patto di stabilità, il Fiscal compact, è evidente. «Il contenimento delle spese è fondamentale e occorre andare quanto prima verso un avanzo primario di cinque punti percentuali l’anno», spiega un funzionario della Commissione europea a Linkiesta. Duplice l’obiettivo: riportare il debito pubblico a livelli sostenibili nel medio termine e snellire uno Stato troppo grande e improduttivo. Non sono pochi, negli ambienti europei, i dubbi che l’attuale assetto di manovre economiche italiane possano funzionare. Il Fondo monetario internazionale (Fmi), nei mesi scorsi, ha mosso per primo le obiezioni sul raggiungimento del pareggio di bilancio nel 2013. «Non ci sarà prima del 2017», spiegarono i tecnici del Fmi in primavera. E con un debito pubblico in aumento – sarà al 126,4% del Pil nel 2013 secondo lo scenario di base del Fmi – un intervento esterno potrebbe rendersi inevitabile.
I costi del rifinanziamento sono considerati, per ora, ai limiti dell’intervento. Il titolo di Stato con scadenza a dieci anni è negoziato sul mercato obbligazionario secondario a ridosso del 6 per cento. Di contro, il sollievo maggiore è nella parte bassa della curva, cioè sulle scadenze a due e cinque anni. Sono infatti queste quelle che saranno oggetto degli acquisti del fondo salva-Stati temporaneo European financial stability facility (Efsf). Il rendimento del bond a due anni è passato dal 5,06% dello scorso 24 luglio al 3% circa di oggi, mentre quello a cinque anni è calato dal 6,34% al 4,9% nello stesso intervallo di tempo. Del resto, come ha sottolineato anche una nota agli investitori di Hsbc, «è probabile che lo Efsf non si assuma troppi rischi e preferisca l’acquisto di bond sovrani di Italia e Spagna con un 60% orientato verso i bond a due anni e il 40% su quelli a cinque anni».
La Bce sa che non può attendere altro tempo per sostenere i mercati obbligazionari di Italia e Spagna. Nel caso Roma o Madrid dovessero perdere l’accesso a questi mercati, l’intera eurozona potrebbe essere oggetto di una spirale negativa capace di contagiare anche Paesi come Francia o Germania. Ecco quindi che, per evitare di aiutare in modo diretto le nazioni, l’Eurotower sta facendo gli straordinari con le armi in suo possesso. Il primo obiettivo è quello di risanare i canali di trasmissione delle politica monetaria. Poi, in attesa dell’approvazione da parte della Corte costituzionale tedesca del fondo salva-Stati European stability mechanism (Esm) prevista per il 12 settembre, via libera agli acquisti di bond governativi tramite lo Efsf. Lo stratagemma legale per agire aggirando il mandato – che fissa il solo compito del mantenimento della stabilità dei prezzi – quindi è stato trovato.
Per ora, nessuno parla di bailout. «Non siamo la Grecia, e non siamo nemmeno la Spagna», dice a Linkiesta un diplomatico italiano dietro anonimato. Secondo lui un sostegno è utile in quanto «la potenza delle decisioni di politica monetaria della Bce è venuta meno negli ultimi otto mesi». Dopo quindi le due operazioni di rifinanziamento a lungo termine (long-term refinancing operation, o Ltro). Nonostante abbiano introdotto oltre 1.000 miliardi di euro nel sistema bancario europeo, le due Ltro di dicembre e febbraio sono servite per aiutare le banche nazionali a effettuare il rollover del debito sovrano esistente in portafoglio e a sostenere le aste di titoli di Stato del primo trimestre dell’anno. L’effetto, tuttavia, è finito in fretta e i problemi della zona euro si sono ripresentati. Dopo la ristrutturazione del debito greco in mano ai creditori privati effettuata in marzo, l’epidemia è tornata verso Roma e Madrid, che ha ottenuto 100 miliardi di euro per la ricapitalizzazione del proprio sistema bancario e sta andando verso un pieno programma di salvataggio. Proprio come è stato per Atene, Dublino e Lisbona. C’è però un distinguo. L’Italia, proprio come la Spagna, è allo stesso tempo troppo grande per fallire e troppo grande per essere salvata.
Cosa succederà adesso? L’eventuale firma di un memorandum d’intesa fra Italia e il duo Banca centrale europea e Commissione Ue (il Fondo monetario internazionale per ora è escluso dalla vigilanza al sostegno tramite i fondi Efsf e Esm, ndr) potrebbe agevolare il percorso di riforme che Bruxelles, prima nello scorso agosto e poi in autunno, ci aveva chiesto di attuare. In altre parole, potrebbe ridare potere a Monti. E così, ci sarebbe un nuovo stimolo a risanare il sanabile. Come in novembre, l’ex commissario Ue avrebbe le spalle coperte da Mario Draghi e José Manuel Barroso, rispettivamente presidente della Bce e della Commissione Ue. «Nessuno vuole vedere la troika in Italia», sottolinea il diplomatico. È chiaro però che la vigilanza sarebbe simile.
In Germania, nel frattempo, non vogliono sentir parlare di ulteriori salvataggi. L’intervista di Monti al Der Spiegel non è stata digerita dalla maggior parte dei politici tedeschi. Il più duro intervento di risposta è forse stato quello di Alexander Dobrindt, segretario generale della Csu. Senza troppi giri di parole, Donbrindt ha sottolineato che «il signor Monti ha evidentemente bisogno di una chiara presa di posizione». Duro l’affondo: «Noi tedeschi non siamo pronti a cancellare la nostra democrazia per finanziare i debiti italiani». Nessuno spazio di manovra, quindi, per l’acquisto dei bond da parte della Bce? Qualche spiraglio c’è ancora, ma diminuisce di giorno in giorno. Hans Michelbach, numero uno della Csu nella Commissione finanze del Bundestag, ha attaccato il presidente della Bce: «I contribuenti hanno il diritto di sapere quali rischi sono stati assunti dalla Banca centrale europea da quando Draghi è presidente. Si devono aprire i libri contabili». Secondo Michelbach «Draghi abusa dell’indipendenza della banca». Pertanto, ha ribadito il politico, è stato rimarcato che c’è «bisogno di chiarezza su da quali Stati, quando e con quale valore nominale la Bce abbia rilevato e iscritto i titoli nei suoi registri». Gli attacchi a Monti e Draghi sono però arrivati anche dal Die Zeit, il settimanale dell’intellighenzia tedesca, che ha pubblicato un duro editoriale in cui si sottolinea come la posizione del presidente del Consiglio sia erronea. Secondo Karsten Polke-Majewski, infatti, serve più democrazia e non più scelte autoritarie o più rischi. Chiaro il riferimento all’acquisto di bond governativi senza la firma di un memorandum d’intesa. Delle due l’una: o memorandum o niente aiuti. Tocca a Roma decidere fino a che punto vuole (e può) negoziare.