Come volevasi dimostrare, verrebbe da dire. A ogni approssimarsi del termine “ultimo” per la chiusura della discarica di Malagrotta, parte il toto-sito. E, a ogni scelta, puntuale, arriva la protesta.
Il copione va in scena da anni, almeno ogni sei mesi, e dopo Riano, a nord di Roma, Villa Adriana, scartate dai precedenti prefetti dopo la sommossa popolare, riecco spuntare Monti dell’Ortaccio, uno dei primi siti alternativi scelti e poi scartati. Il nuovo prefetto Sottile, ennesimo commissario straordinario per l’emergenza dei rifiuti di Roma, l’ha appena comunicato al premier Monti e al ministro dell’Ambiente Corrado Clini, spiegando di prediligere Monti dell’Ortaccio per gli stessi motivi per i quali era stato scartato: vicino, troppo vicino a Malagrotta. Praticamente adiacente. E pronto all’uso. È il sito che lo stesso Comitato Malagrotta, formato dai cittadini che da anni combattono contro la discarica più grande d’Europa, aveva suo malgrado indicato come probabile: «È stato già predisposto ed è sempre di proprietà dell’avvocato Manlio Cerroni, il padrone di Malagrotta, vedrai che alla fine di tutti i balletti la scelta ricadrà su Monti dell’Ortaccio», aveva scommesso due anni fa Maurizio Melandri, il portavoce del comitato.
E oggi i fatti gli danno ragione. «Ho scelto monti dell’Ortaccio perchè il tempo è scaduto, siamo in emergenza e a dicembre Malagrotta dovrà chiudere», ha spiegato Sottile dopo aver stretto un accordo di massima con Cerroni e la sua società. «Gli enti locali che si oppongono dovranno farlo elencando motivazioni tecniche».
I cittadini da ieri hanno già allestito un presidio permanente, il 4 settembre è prevista una fiaccolata alla quale è chiamata a raccolta tutta la Valle Galeria, che da trent’anni subisce Malagrotta e che secondo il commissario straordinario a breve dovrà fare i conti con un’altra discarica, anche se provvisoria (sulla carta, la stessa carta che ha prolungato la vita alla vecchia discarica esausta ormai almeno dal 2007), che ospiterá ogni giorno 2.500 tonnellate di rifiuti. Il sindaco Alemanno aveva già detto di no a un sito che ricadesse nello stesso quartiere di Malagrotta, e l’ha ribadito ieri. Il governatore Polverini è più possibilista. Ci prova a raffreddare gli animi lo stesso ministro Clini spiegando che la discarica sarà aperta solo per 18 mesi e che ospiterà solo rifiuti trattati.
Ma i più esperti nella questione dei rifiuti vedono in quel termine, “trattati”, una possibile trappola. Trattati come? La Ue ci impone un trattamento chimico che possa inertizzare l’immondizia, mentre quella che finisce in discarica a Roma subisce solo un trattamento meccanico, una triturazione con compattamento, che non la rende meno pericolosa. Balletto di siti a parte, la situazione dei rifiuti nel Lazio è nell’impasse da anni. Si discute continuamente di nuove location per le discariche, della storia geomorfologica dei terreni che dovrebbero ospitarle, ma poco, troppo poco del ciclo dei rifiuti nel suo completo.
Con una raccolta differenziata ferma, o in crescita lentissima, la capitale d’Italia non riesce a seguire le orme delle altre città europee. C’è da dire che proprio recentemente è stato firmato un Patto per Roma che prevede proprio l’incremento della differenziata, ma siamo lontani dal destinare alla discarica solo il 4 per cento dei nostri rifiuti, come accade nei Paesi virtuosi. Qui da noi finiscono nella grande buca onnivora i tre quarti dei nostri scarti.
E non è solo un problema ambientale, ma economico. Ecco cosa ha detto qualche settimana fa Janez Potocnik, commissario Ue all’Ambiente: «I rifiuti sono troppo preziosi per essere semplicemente buttati via: con una gestione oculata è possibile reiniettarne il valore nell’economia e in questo contesto gli Stati membri più virtuosi hanno anche creato industrie fiorenti e numerosi posti di lavoro». Come ci sono riusciti? «Aumentando – ha aggiunto – l’attrattiva economica della prevenzione, del riutilizzo e del riciclo».
Senza arrivare agli Stati Uniti, dove proprio una settimana fa ha preso l’avvio un impianto per la realizzazione di carburante da 40 centesimi al litro utilizzando come materia prima rifiuti organici, le strategie per ridurre la quantità di rifiuti prodotti avviando una fiorente industria capace di creare posti di lavoro sono molteplici e anche semplici da realizzare: a Stoccarda ad esempio le buste di immondizia da 70 litri si pagano 5,50 euro, lo stesso prezzo che si paga a Ribeauville, in Francia, per far portare via lo stesso volume di rifiuti. Si paga quanto si butta via, è una delle policy adottate: meno finisce in discarica, più si risparmia. Sono state incentivate le imprese che hanno sviluppato sistemi di vuoto a rendere, di bio-plastiche, di compostaggio fai da te. Intanto il settore rifiuti e riciclo nel 2008 ha realizzato un fatturato di 145 miliardi di euro per un totale di circa 2 milioni di posti di lavoro. Attuare la politica Ue sui rifiuti potrebbe creare altri 400.000 posti di lavoro, incrementando di 42 miliardi di euro il fatturato annuo del settore.
Secondo un rapporto pubblicato ad aprile dalla Ue, la disparità di situazioni tra i Paesi membri può essere superata con una strategia ben precisa: «Imposte e/o divieti sulle discariche e sull’incenerimento. I risultati dello studio sono inequivocabili: le percentuali di conferimento in discarica e di incenerimento sono scese nei paesi in cui imposte o divieti hanno innalzato i costi di tali operazioni; i sistemi di “paga quanto butti” si sono rivelati molto efficienti nel prevenire la produzione di rifiuti ed incoraggiare i cittadini a partecipare alla raccolta differenziata; i meccanismi di responsabilizzazione dei produttori hanno consentito a vari Stati membri di raccogliere e ridistribuire i fondi necessari a migliorare la raccolta differenziata e il riciclaggio. Tuttavia, date le grandi divergenze riscontrate fra Stati membri e fra flussi di rifiuti in termini di efficienza rispetto ai costi e di trasparenza, questi programmi presuppongono una pianificazione accurata ed un monitoraggio attento». Di tutto questo, però, nel Patto per Roma, o nel piano rifiuti della regione Lazio, non v’è traccia.