In pochi ci credevano, ma alla fine il candidato repubblicano Mitt Romney ha avuto coraggio, e ha nominato come vice uno degli uomini più amati dalla base del suo partito, il quarantaduenne ultraliberista Paul Ryan, deputato del Wisconsin.
Astro nascente del partito, laureato in economia e vicino alle tesi della scuola liberista di Chicago è già stato eletto sette volte al Congresso (la prima a 28 anni). È presidente della Commissione bilancio della Camera dei rappresentanti e come tale è diventato la voce chiave tra i repubblicani quando si parla di riduzione del debito. Il suo piano “The Path to Prosperity” ha svolto un ruolo di primo piano nel far ottenere la maggioranza in Congresso ai repubblicani nel 2010. In sostanza Ryan propone tagli “reaganiani” alla spesa corrente. Vuole privatizzare la previdenza, introdurre voucher per comprare l’assicurazione sanitaria, innalzare l’età pensionabile. La ricetta non è nuova, ma è rispolverata con brio, e non smette di sedurre lo zoccolo duro della destra americana.
Per i conservatori più granitici, come quelli del movimento del Tea Party, la scelta di Ryan è un’iniezione di entusiasmo dopo mesi di noia insopportabile. Da settimane invocavano una nomina forte per dare una scossa a questa soporifera sfida elettorale. Tra i nomi più caldeggiati della rosa dei papabili c’erano il senatore della Florida Marco Rubio “l’Obama cubano”, il vulcanico governatore del New Jersey Chris Christie, e proprio lui, Paul Ryan, elogiato e sponsorizzato anche dal Wall Street Journal, che lo apprezza da anni per la sua capacità di parlare chiaro a favore del mercato.
«Romney è un repubblicano del Massachusetts, uno stato tradizionalmente in mano al partito democratico, quindi è in pratica un centrista e la destra repubblicana voleva un vice più vicino alla base del partito, di cui si potesse fidare per esempio in tema di politiche fiscali», spiega a Linkiesta, Melissa Miller, professoressa di Scienze politiche alla Bowling Green State University in Ohio. «Romney avrebbe optato volentieri per un delfino meno drastico e più affine a lui come il nostro senatore dell’Ohio, Rob Portman. Gli avrebbe potuto dare qualche vantaggio in uno stato in bilico, l’Ohio appunto, ma essendo piuttosto dietro nei sondaggi è stato costretto a sparigliare, e a giocarsi il tutto per tutto con Ryan».
Ryan, che si autodefinisce un “policy geek”, un tecnico con la passione di modellare politiche fiscali, rappresenta quindi il tentativo da parte dell’entourage di Romney di reimpostare la campagna elettorale, alzando di un’ottava il livello del confronto. Se fino a questo punto Romney si proponeva come il businessman miliardario esperto di economia che può creare occupazione, adesso tenta di ripresentarsi al suo elettorato in coppia con Ryan come il visionario che ha un progetto audace per gli Stati Uniti del futuro, fondato sulla riduzione del debito.
«Sii coraggioso Mitt!», lo avevano incitato dalle colonne del settimanale neoconservatore Weekly Standard, Stephen Hayes e Bill Kristol qualche giorno fa: «La politica moderna gravita attorno alla speranza e al cambiamento. Ryan e Rubio, più di ogni altro incarnano le speranze e il cambiamento in senso conservatore».
Ryan, però, è una scelta non priva di rischi per Romney. Presta il fianco a molte critiche. I democratici potranno ricordargli che se ora vuole ridurre il deficit, in passato ha votato a favore di decisioni come il taglio delle tasse ai ricchi di Bush e la guerra in Iraq, provvedimenti che hanno fortemente contribuito a gonfiarlo. Poi il suo piano di bilancio presenta vari aspetti impopolari, anche per una fetta consistente dell’elettorato repubblicano. Per esempio, l’idea di privatizzare “Medicare”, in sostanza il piano di assicurazione medica che riguarda gli over 65. Specie in Florida, uno stato con una forte componente di pensionati e fondamentale per la vittoria elettorale, una posizione di questo tipo potrebbe essere pericolosa. E sotto il profilo del curriculum, per ricoprire il ruolo di vice presidente Ryan presenta anche lacune significative: ha una limitata esperienza in politica estera, un campo in cui anche Romney non è una sicurezza. La scelta di Ryan, infine, significa aver snobbato gruppi di elettorato importanti, donne e ispanici in primis.
Eppure, con il suo profilo saldamente conservatore – sposato, tre figli, cattolico praticante contrario all’interruzione di gravidanza e ai matrimoni gay – e un aspetto da bravo ragazzo di campagna, spigliato e capace (fan sfegatato dei Led Zeppelin), Paul Ryan almeno a livello di immagine probabilmente aiuterà Romney più di quanto Sarah Palin sostenne John McCain alle elezioni del 2008, quando l’inesperta governatrice dell’Alaska rese la strada ancora più in salita per il candidato repubblicano.
Solo quattro americani su dieci hanno già sentito parlare di Paul Ryan e fuori dagli Stati Uniti è, ai più, sconosciuto. Per approfondire le sue idee forse bisogna ripercorrere le sue letture più care, a partire dai libri della filosofa e romanziera americana di origine russa Ayn Rand. Nota soprattutto per i libri “The Fountainhead” (La fonte meravigliosa) e “Atlas Shrugged” (La rivolta di Atlante), Rand è un’esponente della corrente filosofica dell’Oggettivismo di cui fu fondatrice. Riteneva, in sostanza, che il ruolo del governo, in una società libera, debba essere circoscritto.
11 Agosto 2012