Scandalo Armstrong, ma il doping è antico come il mondo

Scandalo Armstrong, ma il doping è antico come il mondo

Che cos’hanno in comune un altotesino di ventotto anni, un sudafricano bianco amputato bilaterale, una sedicenne cinese di Hangzhou e un americano che corre i 100 metri in meno di dieci secondi? Nulla, se non che tutti e tre partecipano alle Olimpiadi di Londra e, in modi diversi, sono stati accostati al problema del doping. Loro sono Alex Schwazer, Oscar Pistorius, Ye Shiwen e Justin Gatlin, ma in questa lista potrebbero rientrare anche altri atleti. Sostanze assunte per aumentare il rendimento fisico e tecnologie impiegate per migliorare le prestazioni in gara: questo è il doping, una pratica illegale severamente controllata e punita dal Comitato olimpico internazionale, ma che può assumere declinazioni molto diverse e discutibili.

Il caso del giorno è quello del marciatore italiano Alex Schwazer, oro a Pechino nella 50 km di marcia. La notizia della sua positività all’Epo ha gettato nell’incredulità e nello sconforto l’Italia, appassionati e non, perché l’atleta era considerato da tutti un simbolo di trasparenza e genuinità. «Volevo essere più forte per questa Olimpiade – ha dichiarato a caldo – ho sbagliato, la mia carriera è finita». Il test antidoping promosso dal Coni ha svelato un livello di eritropoietina, l’ormone che promuove la produzione di globuli rossi nel sangue, troppo elevato. Alcune sostanze dopanti potrebbero entrare accidentalmente nel corpo attraverso il cibo o i cosmetici: in questo modo si comportano il nandrolone, usato in passato da molti calciatori, tra cui Edgar Davids e Fernando Couto, o il clenbuterolo, scoperto nelle urine del ciclista Alberto Contador, non l’Epo. Esso infatti è già naturalmente presente nel circolo sanguigno, ma quantità molto elevate si possono ottenere solo con l’assunzione volontaria di farmaci.

Molto diversa è la situazione di Pistorius, arcinoto quattrocentista sudafricano che gareggia con due protesi in carbonio al posto delle gambe. L’Iaaf (Associazione internazionale delle federazioni di atletica leggera) aveva respinto la sua richiesta di gareggiare con i normodotati, relegandolo al rango di “atleta paralimpico”. Motivo? Le protesi gli avrebbero garantito un vantaggio meccanico evidente (più del 30%) rispetto agli altri atleti. In sostanza Pistorius avrebbe sfruttato una forma di doping tecnologico e in quanto tale non andava accolta la sua richiesta. Il Tas (Tribunale d’arbitrato sportivo) di Losanna, però, ha ribaltato la sentenza, consentendogli di gareggiare ai Giochi Olimpici (e non Paralimpici) dopo che ne aveva regolarmente conquistato il diritto. La sua avventura nei 400 metri si è conclusa nelle semifinali, ma l’applauso degli ottantamila spettatori dello stadio olimpico è stato lungo e sincero.

Ye Shiwen, invece, è la sconosciuta nuotatrice cinese su cui aleggia un’ombra pesante di doping: medaglia d’oro nei 200 e 400 metri misti, negli ultimi cento metri della seconda gara ha fatto registrare un tempo in vasca inferiore a quello di Michael Phelps, il nuotatore più medagliato della storia delle Olimpiadi. Le accuse si sono abbattute su di lei e sulla federazione cinese in maniera aspra, ma occorrerà aspettare i risultati dei test per sapere la verità. Il parallelismo che è stato avanzato è con la Repubblica democratica tedesca, l’ex Germania dell’Est, che collezionava primati grazie ad atlete profondamente potenziate. Eclatanti furono i casi di Christiane Knacke, prima nuotatrice a scendere sotto il minuto nei 100 metri delfino, che a causa del largo uso di steroidi fatto negli anni, oggi ha una figlia con gravi ritardi di sviluppo, oppure di Heidi Krieger, vincitrice ai campionati europei di lancio del peso nel 1986, che come conseguenza delle profonde mutazioni provocatele dal doping si dovette sottoporre a un intervento chirurgico di cambio di sesso e assunse il nome di Andreas.

Justin Gatlin, infine, ma anche Dwain Chambers, David Millar, Carl Myerscough e LeShawn Merritt hanno preso parte alle gare dopo essere stati squalificati per doping. Il Tas ha infatti cancellato la norma del Cio che prevedeva l’esclusione permanente dai Giochi di qualsiasi atleta che avesse avuto una condanna per uso di sostanze illecite. Scontata la loro pena sportiva, quindi, hanno avuto l’occasione di rimettersi in gioco: Gatlin ha preso la palla al balzo, aggiudicandosi un bronzo storico nei 100 metri piani dietro l’extraterrestre Bolt e la stella emergente Blake.

Storie diverse di doping, alle quali va aggiunta quella di Caster Semenya, ventunenne sudafricana che nel 2009 è stata squalificata dall’Iaaf perché presentava livelli di testosterone nel sangue troppo elevati per essere paragonabili a quelli di una donna “normale”. Il problema è che quei livelli erano tali senza che la giovane avesse assunto alcuna sostanza per incrementarli e che ogni test compiuto ha accertato la sua lecita e totale femminilità. Parlare di doping è quindi più problematico di quanto sembri, perché il confine tra naturale e artificiale, lecito e illecito, è tutt’altro che definito. 

Il numero di sostanze inequivocabilmente illegali che un atleta può assumere è davvero elevato e l’obiettivo non è solo ottenere una maggior massa muscolare. Il velocista britannico Chambers, per farsi ridurre la squalifica, aveva confessato il numero di prodotti assunti in modo regolare: due steroidi anabolizzanti e l’ormone della crescita per velocizzare i tempi di recupero, l’Epo per aumentare la resistenza in allenamento, un ormone tiroideo per diminuire il senso di stanchezza e un neuroeccitante per aumentare l’attenzione e accorciare i tempi di reazione. È difficile fare distinzioni tra sport e sport, ma è indubbio che nell’atletica siano più frequenti che altrove i casi di positività al doping.

Nelle discipline in pista, comunque, le sostanze dopanti vengono assunte quasi sempre durante gli allenamenti, anche perché spesso le gare sono così brevi che non avrebbero tempo di fare effetto. Tra queste, le più diffuse sono gli steroidi anabolizzanti, un comparto di oltre duemila prodotti che aumentano la sintesi proteica e la massa muscolare dell’individuo che li assume. Alcune ricerche hanno dimostrato che le performance sono accresciute del 38% negli uomini che ne fanno uso e ancor più nelle donne. Molto in voga negli anni Ottanta, ma non del tutto scomparso, è poi l’ormone della crescita, che induce l’aumento della massa muscolare ma provoca deformazioni fisiche e talvolta l’insorgere di malattie croniche come il diabete.

«Esso può fare la differenza soprattutto negli sprint – si legge in uno studio dell’Università di Queensland, in Australia – perché può accrescere la velocità di un corridore anche del 4%, pari a 1 centesimo di secondo sul totale», che in una finale di 100 metri piani fa la differenza. L’Epo, o eritropoietina, come detto, viene sfruttato soprattutto da coloro che si cimentano in sport di fatica: questo ormone viene introdotto nell’organismo per aumentare il livello di globuli rossi nel sangue, che a sua volta determina un maggior trasporto di ossigeno ai muscoli durante gli sforzi molto prolungati. Una ricerca ha dimostrato che un atleta che ne avesse fatto uso potrebbe correre otto chilometri impiegando un minuto in meno di un avversario di pari livello che non l’avesse assunto.

Questi sono solo gli esempi più semplici e più noti, ma oltre alla definizione delle sostanze c’è un secondo grande problema: capire chi ha abusato di qualche prodotto e chi no. I parametri fisiologici variano da individuo a individuo e dunque la distinzione tra onesti e truffatori non è immediata. «Per questo è sempre più in uso il cosiddetto “passaporto biologico” – ha spiegato a Moebius Giorgio Rondelli, giornalista e direttore sportivo del Cus Pro Patria Milano – un database che raccoglie i profili genetici degli atleti allo scopo di fare dei confronti successivi e verificare la presenza di eventuali anomalie dovute all’uso di sostanze illecite». Il primo a farne le spese è stato Helder Ornelas, fondista portoghese squalificato dall’Iaaf per quattro anni a causa di evidenti alterazioni dei suoi livelli ematici. «Il vero problema – ha detto ancora Rondelli – è che per avere la certezza che tutti i medagliati di Londra siano puliti occorrerà attendere almeno un anno».

L’eterna lotta tra doping e antidoping è in corso fin dalle Olimpiadi antiche, dove i giudici cercavano di capire se gli atleti avessero assunto funghi o alcol per aumentare il proprio standard. Ma una nuova, più subdola modalità giunge in favore del gioco scorretto: il doping genetico. In questo caso ci si trova di fronte a sostanze che possono attivare o disattivare determinati geni, al fine di indurre la produzione naturale di proteine o ormoni specifici. In futuro questa potrebbe diventare la norma, ma già oggi le possibilità non mancano. Uno studio di Ronald Evans del Salk Institute for Biological Studies di La Jolla, pubblicato su Cell, ha portato alla produzione di una sostanza che può attivare un gene legato alle fibre muscolari. I topi nei quali è stata iniettata hanno aumentato il numero delle loro fibre muscolari veloci, quei fasci che costituiscono i muscoli scheletrici e consentono i movimenti rapidi del corpo. A tale processo è seguito un aumento del 70% della resistenza degli individui e per questo si aprono scenari piuttosto suggestivi. Applicare lo stesso principio agli atleti non è impossibile, ma le terapie geniche hanno per ora un margine di incertezza troppo elevato: attivare un gene che induce la produzione di Epo può essere pericoloso perché un maggior numero di globuli rossi diventa il bersaglio di uno o più virus.

Le voci imminenti che chiedono una legalizzazione controllata delle sostanze dopanti sono sempre di più. Julian Savulescu, bioeticista dell’Università di Oxford, e Andy Miah, suo collega dell’Università della Scozia Occidentale, hanno avanzato motivate sollecitazioni in questo senso. In Italia la stessa linea è stata portata avanti da Umberto Veronesi, ma soprattutto da Ettore Torri, capo della procura antidoping del Coni. Ogni volta che un campione viene colto in flagrante si leva alto un coro di lamentele in favore della liberalizzazione totale di queste sostanze, ma nulla può superare il boato che accoglie ogni nuovo record del mondo conquistato in maniera pulita. Il dibattito resta aperto.