L’espressione più gentile è stata: “fare le nozze coi fichi secchi”. Sono tra l’incredulo e l’arrabbiato le regioni che ieri hanno incassato, a sorpresa, la riforma sanitaria sotto le spoglie di un decreto legge.
Solo martedì avevano ricevuto la bozza del testo, in fretta e furia avevano proposto degli emendamenti, approvati all’unanimità, e meno di 24 ore dopo quel testo entrava in consiglio dei ministri per uscirne, al termine di una lunga discussione durata sei ore, approvato e operativo: un decreto legge che non comprende alcuna delle osservazioni emendate.
Ecco cosa ha commentato Enrico Rossi, presidente della regione Toscana: «Ricorrere all’urgenza ci è sembrata una forzatura e lo faremo presente al presidente della Repubblica vista la competenza delle Regioni nella sanità». Reazioni simili da tutti i governatori. C’è chi ha messo in moto l’ufficio legale per studiare un ricorso. E la conferenza delle Regioni sta studiando le contromosse.
E c’è l’altro nodo, non certo secondario: la copertura finanziaria.
Il decretone prevede che i medici di base possano “accorpare” la loro presenza in presidi territoriali per garantire la copertura del servizio 24 ore su 24, sette giorni su sette. È la novità maggiore della riforma che avrebbe dovuto comprendere anche una tassa sulle bibite gassate, poi saltata. Rimane attualmente il vincolo per i produttori di bibite a base di frutta di utilizzare almeno il 20% di frutta nei succhi e il divieto di pubblicizzare il giorno per proteggere i bambini e contro la “ludopatia”.
Poca roba, insomma. Il grosso è sicuramente la ristrutturazione del servizio sanitario territoriale. «Se il ministro – dice Rossi – è riuscito a strappare la reperibilità 24 ore a costo zero ben venga». «Come si fa senza soldi?», si domandano alla conferenza delle Regioni.
E la risposta è univoca: non si applica. Una riforma sulla carta, pura teoria, visto che entro 60 giorni il decreto deve essere approvato con un iter parlamentare durante il quale si prevedono aspre battaglie.
Una su tutte quella sulle parafarmacie. «Il decreto Balduzzi scrive definitivamente la parola fine all’esperienza delle parafarmacie», ha già fatto sapere il presidente della federazione nazionale farmacia non convenzionata, Giuseppe Scioscia. Con l’apertura di 5mila nuovi esercizi farmaceutici in aggiunta a quelli attuali «si decreterà la fine dell’esperienza delle parafarmacie che, con i loro oltre 4mila esercizi hanno innescato un circolo economico virtuoso e consentito ai cittadini consumatori di risparmiare dal 2006 circa un miliardo di euro». E poi la bacchettata al premier: «Nel decretone non c’è traccia di alcun provvedimento a favore del nostro settore, con buona pace delle promesse fatte dallo stesso presidente Monti quando al suo insediamento annunciò in una lunga diretta televisiva di voler liberalizzare la fascia C, ovvero i farmaci che i cittadini pagano di tasca propria».
Medici operativi di notte: l’incredulità non è solo istituzionale. Letizia Galella è medico a Ladispoli, e si chiede: «Fare il turno di notte in zone a rischio, senza la protezione ad esempio di guardia giurata, è impensabile. Bisognerà ristrutturare i turni, e la Asl avrà più spese, perché il lavoro notturno è retribuito diversamente. Sarà possibile? Noi ancora non abbiamo l’adeguamento del sistema informatico per le nuove ricette sulle quali dobbiamo necessariamente trascrivere il principio attivo. Non sarà il caso di procedere per ordine?».
Marco Sottile è da vent’anni medico di famiglia a Napoli, in zona periferica: «Tutte queste novità serviranno a sfoltire il lavoro dei pronto soccorso, e mi può anche stare bene. Ma se arriva un paziente con forti dolori, e se arriva di notte deve per forza essere un’emergenza. Io, nel dubbio e non avendo macchinari diagnostici, lo manderò lo stesso al pronto soccorso. Il lavoro per i colleghi dell’urgenza non sarà ridotto, ma sarà aumentato il tempo necessario a curare il paziente. Queste conseguenze, il nostro caro ministro Balduzzi le avrà previste?».
*giornalista di Metro