Portineria MilanoBalduzzi, il ministro che si è perso la riforma

Balduzzi, il ministro che si è perso la riforma

Sul profilo Facebook di Paolo Filippi, presidente della provincia di Alessandria del Partito Democratico, ci si diverte da giorni a punzecchiare il ministro per la Salute Renato Balduzzi con slogan di questo tipo: «No pasaran! Hasta la Coca Cola siempre».

Il motivo – oltre che nelle polemiche per il decretone sanità ormai in disarmo – starebbe tutto in una diatriba interna ai democratici, riportata dallo Spiffero di Torino alla fine di agosto: Filippi si scaglia contro Balduzzi per un posto da parlamentare alle elezioni politiche del 2013. Il presidente alessandrino ha smentito il retroscena, ma la scia di malumori è rimasta, come peraltro i dubbi degli elettori e dei sostenitori del governo tecnico.

Sta forse in questo episodio uno dei tanti limiti del ministro che più di altri ha bazzicato in questi anni i palazzi della politica italiana: un legame troppo stretto con la politica. In particolare con l’ala che fa riferimento al presidente del Pd Rosy Bindi, di cui Balduzzi è stato responsabile dell’ufficio legislativo durante gli anni dei ministeri della Salute per i governi Prodi e D’Alema, dal 1996 al 2000.

Non c’è però solo questo scoglio a intralciare il cammino di questo ministro di estrazione democristiana, nato nel 1955 a Voghera, laureato con lode in giurisprudenza a Genova, capace di cavalcare gli anni della prima e della seconda repubblica, ricoprendo incarichi di prestigio nella sanità, uno dei settori più controversi e delicati della nostra pubblica amministrazione.

Oltre alla sinistra cattolica postandreottiana e «made in Bindi», che gli ha assicurato negli ultimi giorno attacchi al vetriolo da parte del Popolo della Libertà, c’è un passato in Azione Cattolica e la direzione di Coscienza, rivista del Meic, il Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale. Su questo aspetto – a detta di alcuni che lo hanno conosciuto in questi anni – Balduzzi, oltre ad avere il fiato sul collo del Vaticano, pecca di «voler fare troppo il professore. Quasi fosse una missione, vuole educare gli italiani a vivere meglio e in salute, li vuole far smettere di fumare, bere e giocare alle macchinette videopoker». 

Bisogna insomma partire dalla «società dei santi» per capire meglio il personaggio Balduzzi. Perché come il «beato» economista e sociologo Giuseppe Toniolo, anche il ministro per la Salute Pubblica vive nella speranza «di abitare questa terra e vivere con fede». Come l’ispiratore dell’Università Cattolica di Milano, pure Balduzzi va ripetendo spesso nella sua mente una frase amata dai cattolici. «Noi credenti sentiamo nel fondo dell’anima che chi definitivamente recherà a salvamento la società presente non sarà un diplomatico, un dotto, un eroe, bensì un santo, anzi una società di santi».

Balduzzi lo ha fatto persino scrivere nero su bianco sulla prima pagina di uno degli ultimi numeri di Coscienza, la rivista che dirige. Ma tra una società di santi e quella italiana c’è di mezzo un abisso. «L’Italia dei peccatori», l’ha definita in un libro Enzo Biagi. Ennesimo problema per il giurista alessandrino, che divide la sua esistenza tra la case di Alessandria – una mega proprietà di 21 vani come riportato dalla dichiarazione dei redditi – quella di Avise in provincia di Aosta di fronte al splendido panorama del Monte Bianco e infine Bordighera, il mar ligure amato dai piemontesi.

Sposato con tre figli, famiglia unita in puro stile italiano, poco amante delle belle macchine (ha una Panda, una Multipla e una Subaro B9 Tribeca ndr), Balduzzi deve essersi reso conto nelle ultime settimane come l’Italia sia un popolo di peccatori più che di santi. Nello specifico, dopo che il suo decretone (che qualcuno ha già ribattezzato decretino ndr) sulla sanità – che comprendeva pure alcuni provvedimenti in materia di stili di vita – è stato svuotato e reso inefficace dalle ultime modifiche.

Ma oltre a bibite gassate, superalcolici, abitudini alimentari sbagliate e gioco d’azzardo, anche nel cuore della materia sanitaria – come sull’aggregazione tra medici per un’assistenza 24 ore su 24 – le iniziative ministeriali iniziano a vacillare, tra le proteste degli ordini di categoria o delle famigerate lobby della farmaceutica.

Chi lo ha conosciuto bene, sostiene che Balduzzi sia «uno dei ministri più ferrati degli ultimi vent’anni di repubblica italiana». Di certo gli argomenti e i meandri legislativi li conosce molto bene, ma non riesce però a districarsi. Ex direttore dell’Agenas, l’agenzia che gestisce i rapporti tra il ministero e le regioni nel delicato ambito economico della sanità, questo professore di diritto costituzionale dell’Università Cattolica di Milano, bazzica i palazzi della politica italiana appunto da più di vent’anni anni.

Nel 1989 è stato consulente giuridico degli ultimi ministri della Difesa della Democrazia Cristiana, pezzi da novanta come Mino Martinazzoli e Virgigno Rognoni, durante la caduta del muro di Berlino e nel pieno della guerra in Iraq. E’ stato in carica tre anni, fino a Tangentopoli, quando nel 1992 la prima Repubblica fu spazzata via dalle inchieste della magistratura milanese.

Da sempre vicino al centrosinistra, di estrazione democristiana, ha superato il primo governo Berlusconi da semplice professore di diritto costituzionale. Ma il richiamo del palazzo si è sempre fatto sentire. Così è tornato a Roma con il governo Prodi nel 1996. E’ qui che ha stretto un’alleanza di ferro con la Bindi, tanto che i due si dice siano complementari uno all’altra.

Rosi era all’epoca ministro della Salute Pubblica, Balduzzi era il responsabile dell’ufficio legislativo. Anche a lui si deve la grande riforma sanitaria voluta dall’attuale presidente del Pd. Dopo il ritorno di Berlusconi a Palazzo Chigi nel 2001 è tornato a occuparsi di cattolicesimo e cultura, ma con un occhio sempre alle politiche sanitarie.

Da presidente Agenas ha seguito tutte le ultime riforme in materia. Ha conosciuto gli ordini di categoria, ha trattato con loro le partite più delicate, in un Paese che si ritrova – a parte Lombardia e Veneto – la maggior parte delle regioni alle prese con i piani di rientro per saldare i debiti. 

Eppure manca sempre qualcosa. Il Foglio lo ha ribattezzato «il ministro delle bollicine», ricordando pure il naufragio dei Dico, il provvedimento sulle coppie di fatto della Bindi durante l’ultimo governo Prodi. Anche lì Balduzzi era regista, anche lì le cose non andarono nel verso giusto. Tanto che si scatenò un mezzo putiferio tra il professore bolognese, i teodem e altre fette dell’Ulivo. Insomma, c’era sempre di mezzo la politica.

Dopo un mezzo scivolone su un presunto divieto imposto ai giornalisti Rai di non parlare di preservativi nella giornata per l’Aids, l’ultima battaglia è contro l’Unione Europea per la nostra legge 40 che una coppia di italiani ha portato a Strasburgo, spuntandola sulle problematiche contro il divieto di diagnosi preimpianto. Livia Turco del Pd lo ha subito pizzicato, come Emma Bonino dei Radicali. «Ministro del Vaticano», lo ha soprannominato qualcuno. La Cei del cardinal Bagnasco festeggia, ma la società dei santi per Balduzzi resta un miraggio. 

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