Miracolo al Sud come ha afferma ad esempio in un’intervista a Linkiesta lo scrittore Pino Aprile? Sufficienza piena per qualche distretto manifatturiero che ha resisito alla crisi, promozione con debiti formativi per alcuni poli tecnologi. Con molte aree di criticità, come si usa dire in gergo per non parlare di declino.
Ecco il nostro responso, ovviamente confutabile per carità, dopo un’ indagine realizzata per capire se i dati che circolano (un po’ a capocchia) sul risveglio economico del Sud corrispondono a un reale salto di qualità. Se la questione settentrionale sta perdendo i netti contorni geografici, modificati dalla recessione, la questione meridionale, da un punto di vista imprenditoriale e produttivo presenta un quadro molto contraddittorio. O meglio un panorama a macchia di leopardo, dove convivono vitalità e declino, nuove eccellenze e calo dell’occupazione; start-up avviate da giovani, che non ci stanno a far parte della generazione perduta, e cattedrali nel deserto. Affermare che siamo davanti a una primavera, come sostiene Pino Aprile è eccessivo, ma si sta creando una nuova forma imprenditoriale che conta meno su incentivi e finanziamenti pubblici: si é passati dai 7 miliardi di euro del biennio 2001-2002 a un miliardo nel 2011, ora piu indirizzati verso l’innovazione e la ricerca. E ha creato intorno a impianti tradizionali o multinazionali filiere di piccole imprese ( l’85% hanno un fatturato che oscilla fra 1 e 2 milioni di euro) mentre diverse di media dimensione sono riuscite a internazionalizzarsi.
Vediamo i dati: secondo Unioncamere nel 2011 nelle regioni del Sud, fra iscrizioni e cessazioni, il saldo è stato positivo: 13.986 aziende (un dato simile a quello del solo Nord-Ovest: 13.105), ma sono comunque diminuite rispetto al 2010 di 3.500 unità con un aumento delle cessazioni di 7.400 imprese. Anche se bisogna tener conto che in tutta Italia nel 2011 c’è stata una diminuzione di 20mila aziende non nate, nonostante il saldo positivo nazionale vada oltre le 50mila imprese contro le 70mila del 2010. Ovviamente il dinamismo meridionale è dovuto soprattutto alle regioni Campania e Puglia, che insieme hanno esportato il 40% della cifra complessiva del Sud. Contemporaneamente però il 7 agosto scorso é stata proprio Unioncamere a lanciare un nuovo grido di allarme sull’occupazione al Sud per il 2012: su 70 province nelle quali il calo dell’occupazione dipendente andrà al di sotto della media nazionale, 35 si trovano al Sud.
Secondo l’Unioncamere, che ha realizzato questa fotografia con il ministero del Lavoro, significa che circa un terzo dei 130mila posti di lavoro che andranno persi quest’anno si concentrerà proprio nelle regioni del Mezzogiorno, mentre nel Nord le perdite saranno piu limitate: il tasso negativo sarà del -0,9% con 36mila posti di lavoro in meno nel Nord-Ovest e di oltre 24mila nel Nord-Est. In ogni caso da mesi molti editorialisti e imprenditori della Confindustria sostengono la tesi che si stia innescando un certo dinamismo manifatturiero al Sud, ad alto contenuto tecnologico, anche se a macchia di leopardo. É vero, in parte.
Se si leggono le recenti ricerche realizzate per conto del dicastero di Fabrizio Barca, si riesce a farsi un’idea che in parte demolisce gli stereotipi di un Sud assonnato e assistito e in parte li rafforza. Secondo il monitoraggio di Intesa SanPaolo pubblicato nel giugno scorso, ci sono 24 distretti produttivi e 5 poli tecnologici, che secondo i ricercatori mostrano un nuovo volto di un “Mezzogiorno industriale, avanzato, dinamico, aperto”(nei poli tecnologici ci sono 30mila occupati per un volume di fatturato di 8 miliardi di euro e una considerevole fetta di export: un quarto di quello nazionale nel distretto aerospaziale campano, mentre il polo aquilano genera fra il 12 e il 14% dell’export nazionale di componenti e schede elettroniche). Con grandi imprese che attraggono altre imprese e hanno innescato una filiera di piccole imprese con personale qualificato di ingegneri, informatici, fisici eccetera che, davanti all’impossibilità di continuare ad emigrare al Nord, dove le opportunità scarseggiano e le risorse produttive ristagnano, hanno investito le proprie risorse umane nei loro luoghi di origine. Fatta questa lunga e (quasi) ottimistica premessa, le opinioni sul risveglio del Sud sono contrastanti.
Per alcuni «la maggior parte delle imprese dipendono soprattutto da commesse pubbliche, che con l’arrivo della crisi sono venute a mancare», ammettono i tecnici della Confindustria del Mezzogiorno. «Senza dimenticare che, come nel resto del Paese, molte imprese stanno delocalizzando verso la Serbia e il Montenegro. Si tratta di imprese nate a ridosso da stabilimenti cresciuti con finanziamenti pubblici, che hanno creato delle aggregazioni perché chiamarli distretti, paragonati alle zone industriali del nord è eccessivo, visto che il sistema industriale del Sud rimane complessivamente fragile», ci hanno detto alcuni imprenditori e studiosi. Se il patron dell’AdlerGroup, Paolo Scudieri, una multinazionale campana specializzata in componenti in plastica e in gomma per il mercato automotive e presidente del centro di ricerca Srm-Studi e riceche sul Mezzogiorno, sostiene che «il Sud abbia le carte in regola per potenziare risorse umane e competenze tecnologiche e diventare un motore trainante, un driver, per l’economia italiana», Luca Bianchi, vicedirettore dell’Associazione per lo sviluppo dell’industria del Mezzogiorno, Svimez, che ogni anno pubblica un rapporto sull’economia del Sud, é molto più scettico. «Nel prossimo rapporto che uscirà a settembre evidenziamo il degrado complessivo dell’economia meridionale», spiega a Linkiesta, «Certo, sono nate molte start-up, piccolissime imprese con pochissimi addetti, che rappresentano esempi virtuosi, anche il Sud è pieno di giovani capaci e intraprendenti che si inventano delle attività nei loto luoghi d’origine, anche perchè emigrare al Nord non conviene più, ma io non ho osservato alcun miracolo. Si tratta a volte anche di partite Iva emerse dal mercato nero per partecipare a un bando o a un appalto che poi, una volta finito il lavoro, spariscono nuovamente. O start-up, che hanno usufruito di esigui finanziamenti regionali che non innescano però un meccanismo virtuoso di maggiori dimensioni. Inoltre é prematura l’interpretazione positiva sulla nascita delle nuove imprese perché non sappiamo ancora quante di esse moriranno nel 2012».
Di eccellenze ce ne sono parecchie secondo invece l’editore Alessandro Laterza, consigliere incaricato per il Mezzogiorno della Confindustria, che osserva una nuova inclinazione degli imprenditori di seconda generazione a diversificare la propria produzione indirizzandosi verso l’high-tech e nuovi mercati. Soprattutto nel distretto della meccatronica barese nata 5 anni fa intorno a grandi stabilimenti e multinazionale come la Bosch o la Getrag, dove ora ci sono circa 40 progetti di imprese locali. «Come per esempio Planatek, (nata con capitale privato dopo la bocciatura di un bando regionale) che produce sistemi satellitari, o la Icam di Putignano, che produceva arredamenti per uffici e ora progetta e produce magazzini e archivi automatici. O ancora, un altro esempio che mi rende orgoglioso, quello di Farmalabor di Canosa di Puglia, dove un giovane ha avuto il coraggio di abbandonare la farmacia di famiglia per produrre i componenti per recipienti con un proprio brevetto che vende in tutta Europa».
Sul distretto della meccatronica pugliese, nata da una collaborazione fra la Regione Puglia e il consorzio Medis tre anni fa, in sinergia con centri di ricerca universitari, lo studio commissionato dal ministero della Coesione Territoriale sui poli teconologici, i ricercatori Mimmo Cersosimo e Gianfranco Viesti del Cerpem (centro di ricerche per il Mezzogiorno) hanno un giudizio articolato. «Intorno a grandi stabilimenti come la Getrag o la Bosch, si è, poi, andato consolidando un ampio tessuto di medie imprese locali, attive in molti comparti della meccanica strumentale e specializzata, anche avanzata, e nella relativa componentistica» scrivono. «Fra di essi particolarmente interessanti sono i comparti dell’automazione industriale, dei macchinari oleodinamici da perforazione, dei dispositivi di controllo delle reti ferroviarie». Contemporanamente però evidenziano una sorta di stand by, un’incapacità di espansione dovuta soprattutto al gap tecnologico e alla reperibilità di risorse. Con alcune eccezioni che riguardano le relazioni che si sono instaurate fra alcune di queste multinazionali e un esiguo numero di imprese della provincia di Bari attive nel campo dell’automazione. Come l’Emitech (azienda specializzata nell’ambito delle schermature elettromagnetiche per usi industriali, militari e civili), la D.a.i. Optical (azienda specializzata in attività di ricerca e sviluppo su lenti oftalmiche di piccole dimensioni) e la Sitec (azienda impegnata nella progettazione, produzione e commercializzazione di prodotti ottici, elettronici e meccanici destinati ai campi dell’ottica, medicina e industria) nell’area di Molfetta. E suggeriscono di puntare su uno dei cavalli di battaglia di Laterza: i contratti di rete per favorire aggregazioni imprenditoriali, incentivare la produttività e attirare investimenti.
Sui dati dell’aumento dell’export nel Sud che confermerebbero una nuova vitalità al Sud, anche qui ci sono varie contraddizioni. Laterza infatti è cauto: «Se è vero che la sola Puglia vanta un export di 9 miliardi, bisogna però considerare che il nostro dato di partenza é più basso. Così come non si può ignorare che dei 10 miliardi di export in Sicilia, 7 sono dovuti agli idrocarburi e non a una filiera produttiva, mentre in Calabria il dato é scoraggiante: circa 250 milioni di euro». E infatti dalla ricerca di Intesa SanPaolo emerge che «per il complesso dell’industria manifatturiera le regioni del Sud nel biennio 2010-2011, grazie alla spinta dell’export di prodotti derivanti dalla raffinazione del petrolio, automotive, metalmeccanica, farmaceutica, hanno registrato performance estere analoghe al resto d’Italia (+27/28% circa tra il 2009 e il 2010 al netto dei prodotti raffinati). Al contrario, la dinamica delle vendite estere dei distretti del Mezzogiorno è stata molto debole, soprattutto nel 2011, con una timida crescita nelle vendite all’estero, dopo il +8,5% dell’anno precedente».
Fra le pieghe di vari studi che in un paragrafo parlano di un Sud vitale e in quello succesivo di un Sud in difficoltà, emerge infatti che nel 2011, i distretti tradizionali non hanno avuto performance strabilianti, (0,8%) dovuto sopratutto ai settori di raffinazione del petrolio e automotive, mentre nei poli high-tech, l’aumento dell’export è stato del 9,8%, dovuto soprattutto al polo aeronatuco pugliese che da solo contribuisce con il 41% dell’esportazione soprattutto verso gli Stati Uniti, mentre Unioncamere prevede per il 2012 un aumento complessivo dell’export nel Sud di 1,8%, anche se i dati cambiano a seconda delle regioni (Puglia e Campania in netta crescita).
Quindi ci sono diversi segnali positivi (il settore tessile campano risulta essere più forte di quello di Biella e Prato anche se il dato forse non è molto rilevante per via del decino del settore nel Nord) soprattutto per la vitalità delle start-up avviate dai giovani costretti a inventarsi un’attività per combattere lo spettro della disoccupazione che messe in fila però non fanno un fatturato rilevante, e imprese consolidate ora più votate all’export, ma si è ben lontani dal modello fai-da-te del Settentrione. Certo, in Puglia è continuamente citato l’esempio virtuoso di Blackshape, un’’idea di due trentenni di Monopoli, di progettare, produrre e commercializzare aerei “low wing” (superleggeri) in fibra di carbonio. Nato con finanziamento regionale di 25mila euro, che poi si è ingrandito grazie all’apporto di investitori privati, nel 2010 l’azienda vende diciassette modelli del suo aereo in fibra di carbonio chiamato Millennium Master.
Morale: se probabilmente c’è stato un miglioramento e un salto di qualità, soprattutto tecnologico rispetto al 2010 , nel rapporto del 2011 del Srm, Studi ed ricerche sul Mezzogiono, si evidenzia ancora un sistema produttivo fragile. Del resto sarebbe impensabile, a rigor di logica, aspettarsi un miracolo meridionale in un momento di recessione. Perciò se non si può parlare di un vero e proprio risveglio, si può arrivare alla provvisoria conclusione che il Sud assonnato e assistito negli ultimi anni (due o tre? Nessuno lo sa con precisione) ha strabuzzato e aperto gli occhi grazie anche alla maggiore conoscenza del suo sistema imprenditoriale che per molto tempo è stato ignorato e ora è oggetto di studio e di dibattito. Al punto che non solo il ministro Barca ha avviato una serie di confronti e studi per ridefinire le aree vitali del Mezziogiorno, (prevedendo fra l’altro una serie di incentivi per imprese che fanno innovazione e ricerca), ma da questo mese partirà una sorta di task force interministeriale promossa dai ministeri del Lavoro, Coesione territoriale, Sviluppo Economico per tentare di tracciare una road map delle politiche industriali nel Mezzogiorno e potenziare le piccole e medie eccellenze, che si sono affacciate recentemente sul mercato. Ora bisognerà osservare che fine faranno tutte le nuove imprese nate nel 2012, ma una cosa è certa: i 25mila imprenditori settentrionali che mancano all’appello dal 2011, come ha rimarcato recentemente Ilvo Diamanti, non sono emigrati al Sud. Con buona pace di tutti i militanti meridionalisti.