«Ma stiamo scherzando? Renzi mica sta facendo come Obama che, vinte le primarie in cui ci si confronta anche duramente sui programmi all’interno dello stesso partito, e dunque designato da una convention, chiede legittimamente i voti per diventare presidente di tutti gli americani. Il modo di comportarsi di Renzi è come se Obama avesse chiesto i voti dei repubblicani alle primarie per battere i candidati del suo stesso partito. E’ un’arlecchinata, una buffonata assoluta! E’ come mandare il cervello all’ammasso».
Per una volta, l’istinto vagamente distruttivo di Massimo Cacciari coglie nel segno di una questione fondamentale: cosa c’entra il richiamo ai voti della destra nella tenzone che deve risolvere le faccenduole tutte interne al Pd, alla sinistra?
Eppure, sullo stesso giornale – La Stampa – Massimo Gramellini regala un «Buongiorno» esattamente di segno opposto. Già il titolo: «Ma come osa?». E poi l’attacco: «Conosco inglesi che hanno scelto prima la Thatcher e poi Blair – inizia Gramellini – , francesi passati dal socialismo a Sarkò (e ritorno), case di americani in cui le biografie di Reagan e Clinton campeggiano affiancate. Invece in Italia…mai ci si trasferirà nella curva degli avversari». Il finale è la benedizione renziana: «Ma arriverà il giorno in cui anche in Italia le elezioni non saranno più un derby né un’ordalia, ma una scelta tra due modi diversi di fare le stesse cose».
Due posizioni così diverse ci portano al problema dei problemi: essere di sinistra è ancora un valore?
Prima di affrontare uno scoglio di queste dimensioni, è forse utile ricordare se mai, nella sua storia, Renzi si è detto orgogliosamente di sinistra. Ch’io ricordi, mai. Quindi perché si batte per le primarie del Pd? Proviamo a capirlo, introducendo subito una suggestione evocativa, che forse spiega qualcosa: il campo della sinistra è l’unico, al momento, in cui è (ancora) possibile emozionare ed emozionarsi.
Sbirciamo negli orti dei vicini, per esempio le cosiddette coltivazioni liberali. Lì sentimenti zero. Forza evocativa zero. Potenza immaginifica zero. Molto studio, grandi analisi, seria visione delle prospettive economiche. Capacità di attrarre gli elettori al seggio, più o meno zero. Mettete tranquillamente in fila le facce (allegre) di Passera, Giannino, Montezemolo, Rossi (Nicola), Romano (Andrea), Zingales, Boldrin, Marcegaglia e molti altri, e capirete perché il mondo della sinistra strappa ancora qualche timido «oh» di emozione.
Si considerano poco le emozioni, e la relativa capacità di suscitarle, nella nostra Italia. In fondo, cos’è successo con Silvio Berlusconi, se non la discesa in campo di un uomo che ha saputo (a suo modo) scuotere le nostre tranquillità, che ha preso la pancia del Paese e l’ha coccolata con quel suo gioco di specchi che via via rimandava ammiccamenti, la voglia molto basica e diretta di lucchetti di mocciana memoria, quella capacità d’essere un confidente assai poco istituzionale, l’idea che affidandosi al migliore dei venditori la nazione sarebbe sbarcata su un’isola felice?
Oggi la destra è morta e Matteo Renzi, che ne è consapevole (e anche opportunamente dal suo punto di vista), tenta di rianimarla da sinistra con un’operazione di modificazione genetica mai tentata prima. Altrimenti non avrebbe avuto senso, come ha sottolineato Cacciari, rivolgersi subito, nel bel mezzo della battaglia per la primazia del Pd, allo stagno nemico con enfasi degna di miglior causa, quel «vengo a stanarvi», casa per casa, aggiungeremmo noi. Uomini e donne sinceramente di sinistra potrebbero dirsi orgogliosi di questa uscita?
Il Renzi, che potrebbe tranquillamente essere considerato uno dei personaggi di «Amici miei» insieme al «Necchi», il «Melandri», il «Perozzi», il »Sassaroli», e all’inarrivabile «Mascetti», ha giocato così la sua «supercazzola brematurata per due come fosse antani», lasciando storditi e anche vagamente increduli i difensori di quel tempietto di sinistra in cui gli uomini moderni non hanno più voglia di avventurarsi.
Resta una sottile amarezza, e forse più di un filo di diffidenza, per quel modo un po’ spiccio di liquidare le storie, restandone dentro. Perché se (ti) vuoi emozionare, il tuo posto è (ancora) qui. A sinistra.