«Siamo indotti a interrogarci se, quaranta anni dopo l’indizione del Vaticano II, non stia a poco a poco maturando, per il prossimo decennio, la coscienza dell’utilità e quasi della necessità di un confronto collegiale e autorevole tra tutti i vescovi su alcuni dei temi nodali emersi in questo quarantennio». Era l’ottobre del 1999 e questo era il «sogno» di un nuovo Concilio che il cardinale di Milano, Carlo Maria Martini, aveva raccontato al Sinodo dei vescovi per l’Europa nel suo intervento. Un intervento pensato proprio durante i lavori del Sinodo, diverso da quello originariamente programmato, con il quale probabilmente il cardinale aveva ritenuto opportuno farsi portavoce, se non di precise richieste, quanto meno di un’esigenza constatata ascoltando i confratelli europei. E un intervento che, per la sua dirompenza, fu “censurato” in Sala Stampa vaticana (non venne incluso tra i materiali consegnati quotidianamente ai giornalisti) e il cui testo Adista riuscì ad ottenere in esclusiva.
Quello di Martini era certamente un sogno coraggioso, se si pensa alla Chiesa centralistica, verticalizzata, più unanimista che unita, plasmata da Giovanni Paolo II e dalla sua Curia, dove – rilevava l’allora arcivescovo ambrosiano – forte è la necessità di rinnovare l’esperienza fatta dai vescovi che parteciparono al Concilio Vaticano II.
Che ne è stato di questo Concilio?, è la domanda che scorre sotto traccia nell’intervento del cardinale; che ne è stato, se solo i pochi testimoni ancora viventi ne hanno memoria? Martini indicava i temi ecclesiali per i quali “sognava” un incontro universale dei vescovi: la carenza di ministri ordinati, la donna nella società e nella Chiesa, la sessualità, la disciplina del matrimonio, la prassi penitenziale. Tutti temi ancora oggi nodali e conflittuali.
Ricordando il cardinale Basil Hume, arcivescovo di Westminster morto qualche mese prima, che aveva più volte iniziato i suoi interventi sinodali con le parole: «I had a dream», «Ho fatto un sogno», Martini affermava di aver avuto anche lui «parecchi sogni». Tra questi, il desiderio che si ripeta, «ogni tanto, nel corso del secolo che si apre, una esperienza di confronto universale tra i vescovi che valga a sciogliere qualcuno di quei nodi disciplinari e dottrinali che forse sono stati evocati poco in questi giorni, ma che riappaiono periodicamente come punti caldi sul cammino delle Chiese europee e non solo europee». Qui Martini faceva riferimento in generale agli approfondimenti e agli sviluppi dell’ecclesiologia di comunione del Vaticano II, ma anche a questioni ecclesiali urgenti: «Penso alla carenza – diceva -, in qualche luogo già drammatica, di ministri ordinati e alla crescente difficoltà per un vescovo di provvedere alla cura d’anime nel suo territorio con sufficiente numero di ministri del Vangelo e dell’eucarestia», «ad alcuni temi riguardanti la posizione della donna nella società e nella Chiesa, la partecipazione dei laici ad alcune responsabilità ministeriali, la sessualità, la disciplina del matrimonio, la prassi penitenziale, i rapporti con le Chiese sorelle dell’Ortodossia e più in generale il bisogno di ravvivare la speranza ecumenica», così come pure «al rapporto tra democrazia e valori e tra leggi civili e legge morale. Non pochi di questi temi sono già emersi in Sinodi precedenti, sia generali che speciali, ed è importante trovare luoghi e strumenti adatti per un loro attento esame».
Sul modo e sulla sede in cui affrontare questi nodi, Martini si lanciava in avanti: «Non sono certamente strumenti validi per questo né le indagini sociologiche né le raccolte di firme. Né i gruppi di pressione. Ma forse neppure un Sinodo potrebbe essere sufficiente». Il fatto è, spiegava, che alcune questioni «necessitano probabilmente di uno strumento collegiale più universale e autorevole, dove possano essere affrontate con libertà, nel pieno esercizio della collegialità episcopale, in ascolto dello Spirito e guardando al bene comune della Chiesa e dell’umanità intera». E poi, si faceva ancora più esplicito: «Siamo cioè indotti ad interrogarci se, quaranta anni dopo l’indizione del Vaticano II, non stia a poco a poco maturando, per il prossimo decennio, la coscienza dell’utilità e quasi della necessità di un confronto collegiale e autorevole tra tutti i vescovi su alcuni dei temi nodali emersi in questo quarantennio». Vale a dire: un nuovo Concilio. «V’è in più la sensazione – osservava – di quanto sarebbe bello e utile per i vescovi di oggi e di domani, in una Chiesa ormai sempre più diversificata nei suoi linguaggi, ripetere quella esperienza di comunione, di collegialità e di Spirito Santo che i loro predecessori hanno compiuto nel Vaticano II e che ormai non è più memoria viva se non per pochi testimoni». A distanza di tredici anni, il sogno di Martini è ancora ben lungi dal diventare realtà.
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