Élite fiacche, a Cernobbio non si produce un’idea

Élite fiacche, a Cernobbio non si produce un’idea

CERNOBBIO – Le idee per uscire dalla crisi non sono di casa a Cernobbio. Chi si aspettava un’edizione spumeggiante del Forum Ambrosetti è stato deluso. Le dichiarazioni dei policymaker presenti sono state centellinate, come in un lungo balletto fra il gatto e il topo, dove il primo è la crisi e il secondo è l’exit strategy. Più si cercano risposte, più si trovano panegirici volti a distogliere l’attenzione dai problemi reali. Fra questi, il più imminente non è tanto la richiesta degli aiuti da parte del governo italiano, quanto la vacuità delle decisioni prese a Villa d’Este.

Un anno fa, la platea dei presenti al Forum Ambrosetti era sicura, decisa. Per uscire dalla crisi occorreva una sferzata decisa verso un maggiore pragmatismo nell’affrontare i problemi che affliggono l’eurozona. Con l’arrivo della candidatura informale di Mario Monti a Palazzo Chigi, dodici mesi fa l’Italia sembrava aver preso la direzione delle riforme. «Con Monti l’Italia sarà salva, saranno messe in atto le riforme strutturali di cui il Paese ha bisogno», disse l’economista della New York University Nouriel Roubini. A distanza di un anno, non solo queste sono arrivate in modo edulcorato, ma si è aggravata la situazione generale dell’eurozona.

Nel pieno della frammentazione delle idee, lo spicchio dell’Europa che conta presenta a Cernobbio ha lasciato intendere che prima di vedere la fine del tunnel occorrerà ancora del tempo. Tanto, forse troppo. Eppure, le premesse per un mutamento del trend c’erano tutte: fra i presenti, infatti, il presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy, il commissario Ue al Mercato interno Michel Barnier e l’ex numero uno della Bce, Jean-Claude Trichet. Novità? Nessuna. Tutti, ma proprio tutti, sperano nel successore di Trichet, Mario Draghi. Ma come ha detto uno dei partecipanti ai lavori a porte chiuse, «si tratta di speranze, non di idee». E queste sono quelle che mancano.

La crisi in cui versa l’area euro non è solo finanziaria. La rottura del meccanismo di trasmissione delle politiche monetarie della Bce è solo la punta dell’iceberg. Alla base c’è un sistema tanto fragile e vulnerabile quanto lontano dalla stabilità desiderata dai policymaker partecipanti alle sessioni di Cernobbio. Oltre alla finanza c’è di più. Come rimarca il gestore di un fondo hedge londinese presente all’appuntamento lariano «la crisi è diventata europea e su questa scala bisogna ragionare». I riferimenti sono chiari. Sia da un punto di vista demografico, sia dal versante culturale, si avverte l’esigenza a un cambio di ritmo. Dall’onanismo autoreferenziale dei meeting europei si deve passare a un sistema capace di produrre soluzioni.

I cerotti della Bce non saranno l’arma che risolverà la crisi. E non è una mera questione di speculazione, ma di trasferimento dei rischi. Con le Outright monetary transaction (Omt), ovvero le nuove transazioni di mercato con cui l’Eurotower acquisterà titoli di Stato fino a 3 anni sul mercato secondario, si potrà prendere tempo. E in questo caso la Bce si assumerà i rischi operativi delle Omt, arricchendosi il bilancio di bond governativi. Se il valore nominale di questi scenderanno, i presagi sulla rischiosità di queste azioni diventeranno reali. La questione fondamentale sarà capire in che modo i singoli governi dell’eurozona che richiederanno gli aiuti avranno lo stimolo a effettuare le riforme stabilite dal memorandum of understanding con il quale sarà possibile accedere agli aiuti.

Le sofferenze italiane? Per ora possono aspettare. Della richiesta di sostegno, nessuno vuole sentirne parlare. Del resto, i rendimenti dei bond governativi italiani per ora sono in calo. Un risultato che appare condizionato dalle speranze nelle decisioni prese da Draghi nell’ultimo meeting dell’istituzione di Francoforte. Speranza vana? Forse sì, dicono molti a microfoni spenti. Quello che più stupisce è però un altro aspetto. Nel caso il piano di Draghi non dovesse funzionare, non ci sono piani alternativi. O meglio, come sottolinea un banchiere spagnolo, in pochi hanno compreso che le azioni della Bce non devono sostituire il naturale processo di rinnovamento di cui l’eurozona ha bisogno. Dopo aver vissuto per oltre vent’anni al di sopra delle proprie possibilità, con un sistema di gestione delle criticità avvolto da un alone di bizantinismo, l’area euro deve dimostrasi matura e capace di conciliare crescita economica e rigore.

È questo il Forum Ambrosetti di cui ha bisogno l’Italia? La risposta è no. Fintanto che l’evento lariano sarà un coacervo di autorefenzialità, le élites stanche continueranno a fare il bello e il cattivo tempo, tanto a Cernobbio quanto negli altri consessi. Come spiega uno degli imprenditori presenti, «non si possono pretendere idee nuove da una classe dirigente come questa, la stessa che ha alimentato il declino di questo Paese negli ultimi vent’anni». E proprio l’espressione di questo tipo di classe dirigente (o presunta tale) resta uno dei temi più caldi del meeting di Villa d’Este. La stanchezza, come anche la mancanza di stimoli all’innovazione, sta trascinando il Paese verso il pozzo della recessione, di cui non si conosce la profondità. Ma, almeno in questo weekend, meglio pensare al lago di Como. Il resto può attendere. Unica nota realmente positiva? La mancanza dei politici, che hanno lasciato spazio ai tecnici. Nemmeno questi, tuttavia, sembra abbiano davvero in mente una via per uscire dalla crisi.  

[email protected]

Twitter: @FGoria

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter