Fiat, debito pubblico e crisi: in Piemonte è già inverno

Fiat, debito pubblico e crisi: in Piemonte è già inverno

Il dibattito pubblico sul declino del Piemonte in questi giorni di tormento(ne)Fiat si divide in due scuole di pensiero. Fra chi dice “Esageranuma nen” (“Non esageriamo”, in idioma torinese) e chi invece cerca con morigerata e sabauda riscossa, oltre la cappa Fiat. In realtà la parola declino é stata sdoganata in agosto dall’arcivescovo di Torino, monsignor Cesare Nosiglia, che in questi giorni é tornato sull’argomento con decisione. E ha dichiarato: «La crisi sferza l’economia e gli uomini e noi, tutti insieme, dobbiamo contenerne gli effetti affinché non diventi emergenza sociale». Sostenuto da un gruppo laico del Pd, il vicepresidente del consiglio regionale Roberto Placido, i parlamentari Stefano Esposito e Antonio Bocuzzi e l’assessore al Lavoro della Provincia Carlo Chiama e il presidente della commissione Bilancio del Comune Alessandro Altamura, che gli avevano scritto una lettera per invitarlo alla festa democratica del Pd. Irritando il sindaco di Torino, Piero Fassino, che nonostante i 3 miliardi e mezzo di debito del comune, ereditati dal suo predecessore Sergio Chiamparino, difende il virtuosismo del capoluogo piemontese, parla di una città dinamica e rassicura i suoi cittadini sul futuro della Fiat. Eppure nonostante la nuova vocazione turistica di Torino che quest’anno ha attirato milioni di visitatori, il Piemonte é in balia di una curva discendente da tempo. Secondo i dati di Confcommercio, nel primo semestre fra iscrizioni e cessazioni, il saldo delle imprese a lutto è di 1770 imprese.

Anche se il suo presidente Renato Viale parla a Linkiesta di un “settore in trasformazione, dinamico”, mentre l’indagine congiunturale dell’Api torinese presentata sul primo semestre e le previsioni del secondo, la contrazione della produzione industriale nella provincia di Torino é drastica: -21,2%, in peggioramento rispetto al -14,4% di fine 2011. Nella prima parte del 2012 il 39,4% delle imprese manifatturiere ha subìto un calo della produzione. Nella metà dei casi si tratta di contrazioni in misura superiore al 10% del livello di produzione aziendale. Solo per il 18,2% delle imprese la produzione è stata in aumento. Sul fronte degli ordini e del fatturato i dati mostrano un andamento ancora più preoccupante: scende a -37% e il saldo fatturato a -35,2%, (a dicembre erano rispettivamente – 18,1% e -12,8%). Purtroppo non si possono fare paragoni con le analisi dell’Api di altre province industriali per capire fino a che punto si é spinto il declino piemontese, perché i dati e le previsioni sulle altre regioni settentrionali non sono ancora disponibili.

In ogni caso, secondo l’analisi presentata invece da Unioncamere Piemonte e Confindustria Piemonte lunedì scorso sul secondo trimestre del 2012 confermano la gravità della fase recessiva iniziata a fine 2011 e riportano un calo della produzione di -5,4 che sono peró simili a quelli elaborati dall’Unioncamere della Lombardia, (-5,4), del Veneto (-5,3), mentre va un po’ meglio in Emilia-Romagna, che registra un calo, sempre per il secondo trimestre, di -4 ( la contrazione industriale a livello nazionale é del -6,5). Il segno più negativo nel panorama piemontese riguarda soprattutto il comparto dell’industria chimica e plastica (-9) e della automotive (-6,9) Nel report però emerge che “I risultati negativi registrati dall’indagine di Unioncamere Piemonte nel secondo trimestre trovano piena corrispondenza nelle previsioni per il terzo trimestre registrate dal sondaggio di Confindustria Piemonte: le imprese si attendono infatti un ulteriore indebolimento delle condizioni di mercato. Anche per quanto riguarda gli ordini esteri, tradizionale “valvola di sfogo” nelle fasi di recessione,

Alla stagnazione segnalata dai dati di Unioncamere Piemonte corrisponde secondo Confindustria per il terzo trimestre una frenata più marcata. La crisi colpisce in misura trasversale tutti i settori, le tipologie di impresa e le aree territoriali, sia pure con intensità lievemente diverse.
Il presidente di Confindustria Piemonte, Gianfranco Carbonato, che a Linkiesta ha voluto sì rammentare l’investimento della Maserati di 500 milioni per salvare mille posti di lavoro della ex Bertone a Grugliasco, ma anche ricordare che “In Piemonte si aspetta la Tav Torino-Lione da 25 anni, ci ha messo di meno la Germania a integrare la Germania dell’est”, alla presentazione dell’indagine di Confindustria e UnionCamere ha commentato: “Dopo i deboli segnali di ripresa emersi nel 2010, la crisi si è nuovamente aggravata. Ciò che preoccupa maggiormente è il fatto che anche nel medio periodo non si vedano vie di uscita praticabili da una crisi lunga e profonda, che intreccia motivazioni congiunturali e strutturali; l’industria sembra destinata a convivere per un periodo piuttosto lungo con prospettive di mercato sfavorevoli. In questa situazione, diventa particolarmente urgente equilibrare le esigenze del rigore e del risanamento con quelle della crescita. Un obiettivo che richiede anche un forte impegno delle parti sociali per rilanciare produttività e sviluppo”.

Riguardo al settore metalmeccanico, 1300 quelle monitorate con 30mila occupati , (ma mancano all’appello quelle con pochissimi dipendenti) sono in difficoltà quelle che rappresentano l’indotto Fiat, ca va sans dire, mentre resistono quelle che hanno diversificato e lavorano per altre case automobilistiche. E chissenefrega di mamma Fiat. Unioncamere già nel 2004 aveva cercato di intervenire nel quando la Fiat era giunta sull’orlo del baratro, con un progetto, concept to car, per portare sul mercato internazionale le 150 migliori imprese, ma nonostante le eccellenze troppe dipendono ancora dalla committenza della Fiat, ci hanno spiegato alcuni esperti del centro studi di Unioncamere. “Dobbiamo smetterla di attorcigliarci intorno alla Fiat”, chiosa Stefano Esposito, parlamentare del Pd”. “Bisogna rilanciare una strategia industriale che non può prescindere dall’automotive”. Soprattuto se è ancora vero che per un lavoratore Fiat ce ne sono 4, che lavorano nell’indotto.
Comunque Il declino del Piemonte, dove sono state scritte pagine fondamentali della storia industriale italiana, é intrecciato con quello politico dei suoi amministratori. O meglio con i loro debiti. E quindi se i sociologi fanno convegni per stilare le categorie delle diverse povertà, e Roberto Cardaci ha calcolato che già nel 2010 per “sofferenza occupazionale” gli adulti torinesi in difficoltà erano circa 5mila, 14mila quelli che complessivamente si sono rivolti ai servizi sociali, allora si capiscono meglio le parole dell’arcivescovo di Torino, il quale ha usato parole allarmanti “Il compito della politica e della comunità dei credenti è quello di collaborare per creare un argine alla decadenza, per evitare che l’incendio divampi e diventi incontrollabile”. L’evocazione migliore però é arrivata proprio da Sergio Chiamparino che ha dichiarato alle colonne torinesi di Repubblica: “Non siamo più la Torino di Gramsci e Gobetti. O di Valletta e dell’Avvocato. Non possediamo più il Santo Gral”.

E infatti il declino sembra quasi irreversibile. La regione Piemonte ha 7 miliardi di debito di cui 2 miliardi e 600 milioni di esposizione nella sanità, che l’ex manager Fiat, l’assessore regionale alla Sanità Paolo Monferino, sta cercando di arginare anche se ora è finito dritto dentro un litigio Lega-Pdl, e ha annunciato le dimissioni. E anche se Chiamparino ha lasciato debiti soprattutto perché ha investito molto nelle infrastrutture della citta per ospitare le Olimpiadi, ora Fassino sta vendendo tutte le sue quote nelle varie aziende partecipate per raccogliere 330 milioni di euro che gli servono per rientrare nel patto di stabilità, previsti nelle previsioni del bilancio del 2012, che possono salvare il comune dal fallimento entro la fine dell’anno. Visto che l’uscita dal patto di stabilità é già costata al Comune 38 milioni di euro di sanzioni, il divieto di accendere nuovi mutui, e il blocco di 20 milioni di trasferimenti statali, da aggiungere ai tagli previsti dalla spending review. Gare necessarie per evitare di finire commissariato. O magari di finire come Alessandria, in balia di un dissesto finanziario dovuto a una folle gestione della giunta precedente targata PDl, dove gli sprechi sono stati così esagerati da far pensare a una sceneggiatura felliniana e dove l’ ex sindaco Piercarlo Fabbi, rinviato a giudizio per truffa ai danni dello stato, ha addirittura usato i soldi dei contribuenti per un video natalizio con dialogo immaginario con l’illustre cappellaio, Teresio Borsellino. E ha contribuito a far rimanere per ora solo sulla carta il sogno di far diventare la provincia di Alessandria uno snodo commerciale, così come vorrebbe diventarlo anche Novara perche entrambe le città si trovano in posizioni strategiche di alcuni corridoi europei.

A Torino invece in questi giorni si capirà in che direzione andranno le gare per la vendita delle quote delle principali società partecipate, dove in qualche caso sono andate deserte forse per permettere di avviare le trattative private e di far entrare in gioco anche il fondo di investimento F2i di Gamberale che si é fatto avanti per comprare le quote di Sagat( l’aeroporto di Caselle) e l’ inceneritore, trm. il caso piu controverso riguarda l’Amiat, l’azienda comunale per la raccolta dei rifiuti che ha un debito di 100 milioni e un credito col Comune di 150 che dovrà essere acquistato insieme al termovalorizzatore dove il comune ha deciso di cedere l’80% delle sue quote, facendo infuriare la sinistra critica del Pd, che contesta la mancanza di equilibrio fra il pubblico e il privato, oltre al modo spregiudicato con cui si stanno svendono i gioielli di famiglia. E che scalfirebbe ulteriormente il consenso di Fassino, che per ora é  riuscito a risparmiare 20 milioni di euro per una spending review interna”, spiega il presidente della commissione al bilancio, Alessandro Altamura, convinto che si riuscirà a trovare i 330 milioni di euro necessari a far rientrare il comune nel patto di stabilita. Anche se quest’estate si é arrivati addirittura a proibire con una circolare l’uso dell’aria condizionata sopra una certa temperatura” fa notare il capogruppo del Pdl in cobsiglio comunale Andrea Tronzano, che invece teme il fallimento del Comune torinese. Nel frattempo, mentre a Torino si aspetta l’arrivo di Marchionne, i lavoratori dell’ Asa, l’ex municipalizzata di Castellamonte, che raccoglie rifiuti in 51 comuni del canavese, già commissariata, attende la decisone del tribunale che dovrà sancire il suo fallimento e mentre il comissario sta cercando un compratore, lunedi scorso i lavoratori sono saliti sul tetto per difendere il posto di lavoro. Sia come sia non si può non aver notato, ben prima che riscoppiasse il caso Marchionne, che la regione Piemonte non viene più neanche citata nei saggi e negli studi sulla questione settentrionale, come se non fosse parte del Nord. Infatti nelle classifiche delle regioni indebitate il Piemonte si trova sempre nei dintorni del Lazio. Oibò. 

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