Il discorso di Obama: “Scegliete me per un’America solidale”

Il discorso di Obama: “Scegliete me per un’America solidale”

CHARLOTTE (NORTH CAROLINA) – Nel discorso con cui ha accettato la nomination del partito democratico, il presidente Barack Obama ha chiesto agli americani di scegliere la via stretta e difficile della costruzione di una prosperità solidale, piuttosto che imboccare nuovamente la strada ultraliberista del partito repubblicano, già risultata fallimentare in passato.

Collegando la crisi cominciata nel 2008 al periodo della Grande depressione, e riconoscendo che dopo quattro anni della sua presidenza l’economia non è ancora in sesto, Obama ha però chiesto agli elettori di affidargli un secondo mandato per mantenere vivo il sogno americano per tutti, a prescindere dai mezzi economici, dal colore della pelle, dall’orientamento sessuale.
«Intendiamoci», ha detto Obama a una platea di 20mila attivisti e leader del partito democratico, «ho ridotto le tasse a chi era giusto fossero diminuite; alle famiglie della classe media e alle piccole e medie imprese. Ma non credo che un altro round di tagli alle imposte dei milionari ci aiuti a creare impiego, o a far calare il deficit statale. Non credo che licenziare insegnanti o lasciare gli studenti senza borse di studio ci consenta di far crescere l’economia o ci permetta di competere con gli ingegneri cinesi. Dopo la crisi che abbiamo dovuto affrontare, non ritengo che stracciare le regole imposte a Wall Street aiuterebbe i piccoli imprenditori a fare meglio. Abbiamo provato quella ricetta, e non abbiamo intenzione di tornare indietro. Andiamo avanti».

Obama ha quindi focalizzato il discorso sul futuro, cercando di trasformare queste elezioni da un referendum sul suo operato (come vorrebbe il suo avversario Romney) a una scelta di fondo sulla visione del Paese che gli americani preferiscono. Da un lato una nazione iper-individualista (quella che Obama indica come la posizione dei repubblicani) e dall’altro un’America in cui i cittadini si aiutano a vicenda quando si trovano in difficoltà (la sua concezione).

«I nostri problemi sono risolvibili», ha detto Obama. «La via che prospettiamo può essere stretta, in salita, ma conduce a un luogo migliore. Ed è questo il futuro che vi chiedo di scegliere».
Obama ha delineato un piano con il quale, se riconfermato, prevede di creare un milione di nuovi posti di lavoro nel settore manifatturiero prima della fine del 2016, una forte riduzione delle importazioni di petrolio, 600mila nuovi impieghi nell’industria dell’estrazione di gas naturali, l’assunzione di 100mila nuovi insegnanti di matematica e scienze nelle scuole e una riduzione sull’aumento previsto delle tasse universitarie.

È stato insomma un discorso che ha volato alto, ha parlato del futuro (non affrontando direttamente il problema dell’alta disoccupazione) ma non sono mancate alcune stoccate a Romney e al suo vice designato Paul Ryan. Le preferite dalla platea sono state quelle che hanno chiamato in causa il ticket Romney-Ryan nel campo della politica estera: «Il mio avversario e il suo vice sono nuovi alla politica estera» ha ironizzato Obama suscitando il boato della Time Warner Cable Arena. «Ma a dire dalla convention di Tampa, sembrerebbe che ci vogliano riportare a un’epoca di fuochi e fiamme, che così tanto è costata all’America. Insomma, non si definisce la Russia “il nostro nemico numero uno”, a meno che non si sia ancora intrappolati in una mentalità da guerra fredda. E se uno non riesce neppure ad andare alle Olimpiadi senza insultare il nostro più grande alleato (la Gran Bretagna, nda) forse non è pronto per negoziare con la Cina».

Obama ha anche assicurato che come ha ritirato le truppe dall’Iraq, così, sotto una sua nuova amministrazione, verranno richiamate anche dall’Afghanistan come preventivato nel 2014, mentre il piano di Romney in merito non è chiaro. E se l’ex governatore del Massachusetts ha dichiarato di voler spendere ulteriori risorse in armamenti militari, Obama dissente: «Dopo due guerre che ci sono costate migliaia di vite umane e oltre un trilione di dollari, è tempo di fare un po’ di nation-building qui a casa nostra», ha detto Obama in uno dei passaggi che ha più infiammato la gente.

Prima del presidente, ad attaccare il candidato repubblicano Romney sulla base soprattutto della sua forma mentis, ci aveva pensato il vice presidente Joe Biden, l’uomo amato dalla middle class bianca, un gruppo democratico con cui Obama ha qualche difficoltà. Dopo aver lodato la leadership e il coraggio di Obama che ha visto lavorare da vicino negli ultimi quattro anni, Biden, ha messo in parallelo Obama e Romney su due temi: il salvataggio dell’industria automobilistica e l’operazione che ha portato all’uccisione di Osama bin Laden, responsabile degli attentati terroristici dell’11 settembre 2001 contro gli Stati Uniti.

Per Biden, il presidente Obama ha deciso di procedere al salvataggio di aziende vicine al collasso pensando alle vite di quegli operai e impiegati che lavoravano in aziende come la General Motors. E ci è riuscito. Romney, invece, guardando freddamente ai bilanci le avrebbe abbandonate al fallimento, come scrisse nell’autunno 2008 in un famoso articolo sul New York Times dal titolo: “Lasciamo che Detroit vada in bancarotta”. 

Anche sull’approccio alla caccia a Bin Laden, secondo Biden, è affiorata una sostanziale differenza di personalità e approccio tra Obama e Romney. Il presidente ha capito che investire grandi risorse nella ricerca dell’uomo che aveva attaccato vite innocenti americane era fondamentale per mostrare al mondo che nessuno può attaccare l’America. Per Romney, invece, secondo Biden animato da una mente da ragioniere, spendere tutti quei quattrini per inseguire un terrorista dall’altra parte del mondo non vale la pena, come aveva dichiarato nel 2007.

In definitiva per Biden, Obama è un leader compassionevole e allo stesso tempo forte. Romney, invece, è un businessman che pensa ai numeri prima delle persone, ai bilanci prima che alla vita degli americani, un profilo che per Biden è incompatibile con il ruolo di presidente. Il discorso per il quale questa convention verrà ricordata, però, forse non sarà quello di Obama, o tantomeno quello di Biden, ma quello di Clinton. E il perché lo ha spiegato con grande lucidita’ ieri Matt Latimer, già scrittore di discorsi per conto di George W. Bush e Donald Rumsfeld: «Ha fatto quello che nessuno alla convention repubblicana ha cercato di fare, ha trattato gli americani come essere umani in grado di pensare».

Con quella sua parlata da vecchio amico al bar, pacata ma appassionata, di chi vuole dirla schietta, l’ex presidente americano ha fornito dati e statistiche, e ha spiegato, ricorrendo all’aritmetica, perché il piano di tagli draconiani proposto dai repubblicani non convincerebbe neppure un bambino che ha appena imparato a contare.

Per Latimer, Clinton ha puntato su un’arma quasi desueta nella politica americana di oggi: si è allontanato dagli slogan da fiera e ha illustrato i dati. Al contrario i repubblicani si sono accontentati di imbonire i loro elettori con formule trite, del tipo: «Credi nell’America», «Facciamo ripartire l’America». «È triste e significativo», ha detto Latimer, «che il momento più memorabile della convention repubblicana sia arrivato quando un uomo ha parlato a una sedia vuota».

Molti osservatori, tra cui lo stratega repubblicano Alex Castellanos, ritengono che Clinton con il suo discorso da k.o. abbia vinto le elezioni per Obama. Ma all’Election Day mancano due mesi, Obama e Romney sono testa a testa in Stati chiave come Florida, Ohio e Wisconsin. La battaglia per la Casa Bianca è apertissima.

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