Lo scandalo alla regione Lazio è disastroso per la politica. Tutta, anche quella fatta da persone per bene, che ci credono e sono oneste. C’è un aspetto di quella vicenda che rischia di travolgere i colpevoli e gli innocenti. È l’assenza di controlli. Ormai troppo numerosi sono i casi di sperperi e di veri e propri abusi che si protraggono per anni senza che nessuno eserciti il suo obbligo di vigilanza ovvero la sua curiosità. È per questa ragione che le dimissioni della Polverini sono una necessità politico-morale e al tempo stesso sarebbe un obbligo per l’attuale opposizione mettere in atto tutti quei comportamenti, fino alle dimissioni dei propri consiglieri, che possano favorire il ritorno alla urne.
La vicenda del Lazio chiude anche tutte le discussione sul finanziamento pubblico della politica. Come si fa a difenderlo quando ci si accorge che quei fondi sono sprecati per arricchire uomini politici o per finanziare le loro clientele piuttosto che per favorire la crescita della partecipazione e della democrazia? So di dare un dispiacere a molti ristoratori italiani, ma bisognerebbe stabilire che nessun fondo pubblico può più essere utilizzato per pranzi e gozzoviglie varie. Gli incontri siano di lavoro, si discuta e poi ognuno a casa sua ovvero al ristorante a spese proprie.
I partiti dovrebbero adottare regole rigide che investano anche gli stili di vita dei loro dirigenti. Lo stato dovrebbe dare ai partiti servizi e non risorse economiche. Siamo in un momento cruciale. Altri episodi come quelli della regione Lazio e l’antipolitica non sarà più frenata. Prima o poi non verrà il tempo di Grillo e di Casaleggio, che già mi pare una prospettiva poco rassicurante, quanto quello dell’uomo forte che mette tutti in riga. È tutto qui il tema del ricambio anche generazionale. Offrire ai cittadini volti nuovi, incolpevoli, preferibilmente competenti. È questo che non capiscono le vecchie generazioni che comprensibilmente vogliono continuare a svolgere vita pubblica, che non vogliono accettare l’idea che si faccia di tutta erba un fascio mescolando i ladri con gli onesti ma non comprendono come arrivi sempre un momento in cui c’è bisogno di un Grande Cambio, cioè quel passaggio di classe dirigente che consente di ricominciare a seminare fiducia.
La classe dirigente della fine degli anni Ottanta e quella attuale, spesso è la stessa, ha mancato l’appuntamento con la Grande Riforma, quel progetto di modernizzazione politica del paese che lo avrebbe reso più simile ad altre democrazie occidentali. Ha mancato anche l’appuntamento morale che le classi dirigenti uscite dalla guerra avevano invece centrato. La qualità media della classe dirigente della ricostruzione paragonata a quella recente è nettamente favorevole alla prima. C’erano altri partiti ma c’erano anche altri esponenti politici che nutrivano ambizioni più alte rispetto alle piccole ambizioni dei nostri contemporanei.
Quello che il mondo politico attuale non capisce sono tre mutamenti profondi avvenuti nella coscienza popolare: a) c’è un maggiore controllo dal basso grazie alla rete, b) c’è la fine della sacralità della politica e dei politici, oggi tutti pensano di poter dirigere lo Stato, c) c’è una rabbia crescente che si nutre con la sensazione che in molti hanno di avere di fronte una vita amara per se e per i propri figli. Ciascuno di questi orientamenti basterebbe a dar vita a un sentimento di opposizione alla politica attuale, il loro combinato disposto è una miscela esplosiva. La politica si serve riformandola anche attraverso la rinuncia a farla, cedendo il passo agli altri, se sanno migliori o peggiori si vedrà, ma tocca alle nuove generazioni.