Roma, Italia, qualche tempo fa. Un’intera nazione continua a essere vilipesa e mortificata da un sultano che tratta le donne alla stregua di un puro strumento sessuale. Un’intera nazione viene derisa dal mondo intero e subisce la nomina a ministri della Repubblica di giovani donne il cui unico merito pare essere quello di aver allietato le serate del tiranno. In un clima sempre più buio, che relega l’essere femminile all’unico compito di dispensare piaceri della carne, c’è un episodio che determina un cambio di passo.
Uno dei giornali che da sempre alimenta la propaganda per il governo più maschilista della storia, Libero, pubblica una vignetta indegna. Rifacendosi a una delle tante polemiche tra l’onorevole Anna Finocchiaro e il monarca, nel corso della quale la senatrice del Partito democratico aveva dichiarato: “Sto aspettando ancora le sue scuse, ma finora il mio telefono non ha squillato”. Il giorno dopo, dicevamo, Libero pubblica una vignetta che ritrae la Finocchiaro in giarrettiera e in abbigliamento a dir poco equivoco. Questo il titolo: “L’onorevole squillo”.
È la goccia che fa traboccare il vaso. Già all’apertura delle edicole, all’alba, si comincia ad avvertire un brusio di sottofondo che col passare dei minuti diventa un suono sempre più roboante. È l’indignazione che si leva, alta, fiera. Sono le donne italiane che decidono, senza neanche confrontarsi, non ce n’è bisogno, che basta, il limite della decenza stavolta è stato superato.
Il tam tam comincia sui social network. “Ma che cosa credono, che tutte le donne sono come quelle del Pdl?”. Nasce subito il primo gruppo: “Io non squillo”, che nel giro di poche ore raggiunge un milione e 400mila adesioni su Facebook. A ora di pranzo, la protesta abbandona il web e sceglie la piazza. Due i luoghi dove migliaia di donne si radunano spontaneamente: Milano, davanti alla redazione di Libero, a porta Venezia; e Roma, sotto Palazzo Grazioli. In entrambi i casi il traffico viene fermato. Milano e Roma sono nel caos, ma chi si assume la responsabilità di sciogliere quelli che ormai possono essere considerati due mega-raduni? Anche nelle altre città si formano spontaneamente altri capannelli. In larga parte formati da donne.
Nasce, di fatto, sull’onda emotiva di una vignetta chiaramente maschilista e mortificante del genere femminile, un movimento di donne che sul sito si descrive così: “Siamo un gruppo di donne diverse per età, professione, provenienza, appartenenza politica e religiosa. Raccogliamo appartenenti ad associazioni e gruppi femminili, donne indipendenti del mondo della politica, dei sindacati, dello spettacolo, del giornalismo, della scuola e di tutte le professioni. Se Non Ora Quando è un movimento trasversale, aperto e plurale.
Il 13 febbraio abbiamo lanciato un appello per reagire al modello degradante ostentato da una delle massime cariche dello Stato, lesivo della dignità delle donne e delle istituzioni. Oltre un milione di persone, donne e uomini insieme, si sono riversate nelle piazze di tutta Italia e di molti paesi del mondo, convocate al grido “Se non ora, quando?”, a cui hanno risposto: “Adesso!”.
Abbiamo detto e continuiamo a dire con tutta la nostra voce che l’Italia non è un paese per donne. Noi vogliamo che lo sia”.
L’Italia non è più la stessa. A Milano e a Roma vengono allestiti due palchi dove numerosissimi esponenti del mondo dello spettacolo tengono una non-stop di protesta. A Milano la prima a salire sul palco è Franca Rame, a Roma Sabina Guzzanti. Ma ovviamente anche gli uomini chiedono e ottengono il permesso di esprimere il proprio dolore e la propria indignazione per una vignetta che sintetizza perfettamente il pensiero del presidente del Consiglio e della sua maggioranza. Alla libreria delle donne di Milano giunge Erica Jong e comincia un reading che va avanti tutta la notte.
Nel corso della giornata giungono attestati di solidarietà da Amnesty International e dalle donne di Plaza de Mayo. Intanto nelle due città i sindaci predispongono piani alternativi di traffico, mentre le scuole e gli uffici pubblici non hanno nemmeno aperto. I quotidiani la Repubblica e il Fatto quotidiano approntano un’edizione speciale e vendono i loro giornali con gli strilloni dalle ore 18. In serata è atteso l’arrivo della nipote di Rosa Parks, la donna afroamericana che, rifiutandosi nel lontano 1955 di cedere il posto in autobus a un bianco, diede il via alla rivolta di Montgomery.
I talk show sono di fatto monopolizzati. Enrico Mentana allestisce una diretta non-stop stravolgendo il palinsesto de La 7. Solo Bruno Vespa non cede al ricatto della cronaca ma non si allontana dal fattore squillo e oragnizza una puntata di “Porta a porta” su come sia cambiato il nostro rapporto col telefono negli ultimi cinquant’anni e su come, in fondo, il ruolo dello squillo sia diventato così marginale da essere ormai definito trillo.
All’alba un boato risveglia le due città. Anche la Cnn si piega e arriva con i suoi potenti strumenti tecnologici. Nel pomeriggio è infatti atteso l’arrivo di Hillary Clinton.
A questo punto anche Palazzo Chigi comincia a scricchiolare. Prende il via una lunga trattativa condotta dal ministro dell’Interno Roberto Maroni, con l’ausilio di Gianni Letta. Al termine di una riunione-fiume viene presa la decisione più saggia. Il capo della polizia Antonio Manganelli convince il vignettista a farsi intervistare con tanto di giarrettiera e a chiedere scusa per l’uso maschilista della matita. La richiesta era di una duplice intervista ma il direttore Belpietro riesce a sottrarsi.
L’intervista viene trasmessa a reti unificate, via satellite, in 87 paesi, con traduzione simultanea. Il movimento, lentamente, comincia a sfollare. Dopo due giorni di rivolta civile, si torna a casa. Scuole e uffici pubblici possono riaprire. Tranne a Roma, dove il sindaco Alemanno preferisce prendersi altri due giorni per valutare le condizioni degli istituti.
Il movimento “se non ora quando?” registra un successo storico. Di lì a poco l’impero del maschio crollerà sotto i colpi dell’indignazione civile.
p.s. Anni dopo, nella nuova formazione di Governo un ruolo di rilievo verrà ricoperto proprio da una donna, Elsa Fornero. Una professoressa di polso, preparata, competente, dura e spregiudicata al punto da sfidare i tabù che da decenni ingabbiano l’Italia e in particolare la sinistra italiana. Eppure, quando un vignettista di un quotidiano storico della sinistra italiana pubblicherà una vignetta sul modello Finocchiaro, disegnando la Fornero come una prostituta, il movimento che “tremare il mondo fece” brillerà per il proprio assordante silenzio. Nemmeno quando la ministra Fornero scatenerà la polemica definendo la vignetta “maschilista e di cattivo gusto”. E aggiungendo: “a un uomo non l’avrebbe mai definito ministro squillo”.
Pronto? Donne? Dove siete finite?