In Veneto i cittadini dicono no all’arrivo di nuove aziende

In Veneto i cittadini dicono no all'arrivo di nuove aziende

VEDELAGO (Treviso) – Via Terza Armata è una strada stretta e lunga a Barcon (una frazione di Vedelago, comune di 16mila abitanti in provincia di Treviso), ed è il simbolo di un “modello” abbandonato a se stesso e ormai fuori controllo. Basta trascorrerci un po’ di tempo, infatti, per perdere velocemente il conto dei camion che l’attraversano. È una processione continua, da mattina a sera: i tir sbuffano, si sfiorano pericolosamente nelle curve e ondeggiano sotto il peso delle tonnellate di ghiaia, “l’oro bianco” che si estrae nelle cave al confine con Montebelluna e Trevignano. A nord di questa via si estendono campi coltivati a mais, orzo, frumento – una delle poche zone agricole della provincia non ancora sventrata da cemento e capannoni. «A due passi da qui – sottolinea un recente numero di Famiglia Cristiana – sorge la Castelfranco del Giorgione; la rocca di Asolo è lì sullo sfondo, con il Monte Grappa. E a soli 1700 metri in linea d’area, nell’altra frazione di Fanzolo, sta quel gioiello architettonico che si chiama Villa Emo, disegnata dal genio del Palladio e inserita dall’Unesco nella lista dei Patrimoni dell’umanità».

È da almeno un anno e mezzo che intorno al destino di questa area si sta consumando un aspro scontro tra chi vorrebbe conservare questo verde, e chi nella scomparsa dei campi vede una possibile via d’uscita dalla crisi. Il 19 maggio del 2010 due grosse aziende locali, la Colomberotto Carni (proprietaria dei campi) e la Roto-Cart del gruppo Gelain, sottopongono a vari enti un «Accordo di programma per la riqualificazione territoriale dell’Area Pedemontana tra Montebelluna e Castelfranco». Tale «Accordo» prevede la creazione di un polo agroindustriale di 38 ettari (ossia un macello che diventerebbe il più grande d’Europa), una cartiera estesa per 34 ettari, un «Farmer Market a km. zero» per 12 ettari (quest’ultimo poi depennato dall’amministrazione comunale a seguito delle proteste dei commercianti del luogo) e la costruzione di un casello stradale sulla Pedemontana (superstrada a pagamento di cui si parla dal 1964 e che dovrebbe essere completata, salvo imprevisti, nel 2016). Il piano occupazionale assicurerebbe la creazione di 600 nuovi posti di lavoro. Il costo complessivo dell’opera si aggira sui 400 milioni di euro.

Paolo Quaggiotto, sindaco leghista di Vedelago al secondo mandato (è stato rieletto nel 2009 con uno schiacciante 64,29% dei voti), è il principale sponsor politico della proposta dei due imprenditori. Due i motivi della sua adesione: traffico e occupazione. A Linkiesta spiega che per l’incrocio sotto il Municipio passano 30mila veicoli al giorno, e che il tasso di polveri sottili nell’aria «è parecchio superiore a quello previsto dalla norma. La gente non ne può più». Quest’opera, spiega Quaggiotto, «risolve interamente il problema del traffico»: la costruzione del casello autostradale (non previsto nel tracciato della Pedemontana, da inserire dunque in variante) sarebbe a carico dei privati, così come una bretella che toglierebbe il traffico pesante sia da Barcon che da Vedelago.

Sul versante del lavoro, Quaggiotto traccia un quadro piuttosto drammatico della situazione del comune: «Da 70 famiglie che avevamo in assistenza nel 2010, siamo passati a 160 famiglie nel 2012. Qui a Vedelago abbiamo un fenomeno in crescita costante, che è quello della povertà. Insieme con la Caritas e le parrocchie abbiamo fatto la mensa dei poveri. Mentre una volta c’erano extracomunitari, adesso ci sono anche cittadini di Vedelago. Il bisogno primario che ha la mia comunità in questo momento è di dare reddito alle famiglie, perché il tessuto sociale di Vedelago sta scoppiando, e i problemi di carattere finanziario stanno rompendo le dinamiche normali tra marito e moglie». Il progetto di Barcon, afferma il Sindaco, offre la possibilità di «rendere competitive le nostre aziende e dare certezza ai posti di lavoro. Non sono le multinazionali che vengono qua e chiudono perché poi non sono competitive. Questa è un’area inserita all’interno del Corridoio 5 Lisbona-Kiev. Da che mondo e mondo, tutte le civiltà hanno avuto futuro e sviluppo solo se erano posizionate in zone strategiche, cioè sulle vie di comunicazione».

Il progetto è sostenuto anche dal “Comitato Vedelago Sviluppo”, costituto nel marzo di quest’anno. La responsabile del comitato «d’identità comunale», Antonietta Vettoretto, afferma a Linkiesta che l’80% della frazione di Barcon (composta da 1000 abitanti) è a favore dell’accordo: «Le persone guardano al futuro dei propri figli. Non avendo futuro in questa zona, i giovani sono obbligati a prendere la valigia come i loro bisnonni e andare all’estero. Noi in tre generazioni abbiamo avuto i bisnonni che sono partiti e sono andati all’estero, e adesso stiamo già rimettendo in mano la valigia ai figli. Per una famiglia, vedere il figlio che parte è una situazione che crea disagio, che fa perdere sicurezza. Non è semplice né per il giovane che parte né per chi resta». Insomma, questo enorme polo «non solo è lungimirante, ma proietta il comune di Vedelago in Europa, ci proietta direttamente in quello che attualmente è il più grande mercato in espansione, quello dell’Est». E i campi? «Hanno già dei problemi. Ci passa sopra la ferrovia, sono circondati da cave e discariche, passerà la Pedemontana. Non vedo cosa ci sia da salvare di così importante in quel territorio».

La lista degli oppositori al progetto, tuttavia, è molto lunga. Oltre alle minoranze comunali (su tutti Primavera Civica, lista di centrosinistra che alle ultime elezioni ha preso il 15,89% dei voti) e i comuni di Trevignano e Montebelluna, ci sono il comitato spontaneo “Barcon Viva”, il Credito Trevigiano, la Fondazione Villa Emo, Italia Nostra, WWF, Fai, quasi tutte le associazioni di categoria (Coldiretti, Confagricoltura, Confcommercio, Confesercenti, Cna ecc.) e le tre principali sigle sindacali (Cgil, Cisl, Uil). Il 19 gennaio 2012 molte di queste organizzazioni hanno firmato un documento unitario in cui si chiede alla Provincia di Treviso di «salvaguardare il territorio sostenendo il recupero, la razionalizzazione e la trasformazione delle aree produttive e distributive esistenti e inutilizzate, come previsto dal Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale» adottato dalla stessa Provincia; «riqualificare le aree dismesse o inutilizzate nel rispetto ambientale, attraverso l’edilizia sostenibile e il risparmio energetico»; ed infine di «coinvolgere la Regione per definire una programmazione del territorio che non sia preda delle speculazioni, in particolare di quelle relative alle aree di prossimità ai caselli autostradali».

Fiorenza Morao, consigliere comunale di Primavera Civica particolarmente attiva nella protesta contro il polo agroindustriale, ricorda a Linkiesta un episodio: «Quando abbiamo fatto un gazebo illustrativo a Vedelago, la nonna Irma, 84 anni, è venuta là, ha visto questo disegno ed è rimasta proprio basita: “Tutta sta tera i vol magnar? No se pol miga fabbricarla la tera!”» Una volta che la terra è «mangiata», non si può più tornare indietro. «Visto che di terreno agricolo non è rimasto praticamente nulla, bisogna salvaguardare quel poco che c’è – continua Morao – E comunque, anche volendo uscire da quest’idea della preservazione della terra, il progetto in sé presenta tanti punti di domanda. Ad esempio, non riusciamo a capire perché queste due ditte vogliano stare insieme: cosa c’entra una cartiera con un macello?».

Oltre all’impatto ambientale, le maggiori critiche che muovono i comitati sono legate ai posti di lavoro e all’escavazione di ghiaia. Per quanto riguarda il primo tema, la Fondazione Villa Emo ha commissionato due studi specifici condotti dalle società “Proap Italia” e “Tolomeo Studi e Ricerche”. Le conclusioni vanno nella direzione opposta da quella indicata dall’accordo. La «ricaduta occupazione» riguarderebbe solo “professionalità di alto livello”, altre attività analoghe sarebbe costrette a chiudere per «ragioni di economie di scala» e gran parte dei posti di lavoro «sarebbero trasferiti da altri impianti esistenti». Risultato: «Il saldo complessivo dei nuovi posti di lavoro sarebbe prossimo allo zero». Quaggiotto, di contro, accusa i comitati di non essere informati: «Oltre alle 600 assunzioni ci sono i contratti di libera professione, le manutenzioni e un centro europeo di ricerche che lavora con Cnr e Università. In più c’è l’indotto di autisti e attrezzisti. Questo è un polo che dà lavoro a 2500 persone e 600 assunti. È pur vero che parte di questi 600 viene da fuori: ma sono i quadri a venire da fuori. Le maestranze sono tutte nuove assunzioni». 

Sul tema della ghiaia, invece, i comitati sospettano che uno degli obiettivi dell’operazione sia la costruzione dell’ennesima cava in un territorio dove la superficie scavata o autorizzata ha già superato il limite imposto dalla Regione. Dato che la cartiera sarebbe stata troppo alta (26 metri, più del campanile della chiesa di Barcon), il progetto è stato modificato nel senso di limitare l’impatto e interrare la struttura di circa 9-10 metri sotto il piano campagna. Questo, afferma l’architetto Enzo Bergamin della Fondazione Villa Emo, «implica l’escavazione di circa due milioni di metri cubi di ottima ghiaia», nonché «un paio d’anni di assoluto inferno» per Barcon: «Ai camion che attualmente trasportano la ghiaia, si aggiungerebbero i camion che scavano la ghiaia per fare teoricamente la cartiera, i camion del cantiere della strada, eccetera». Valter Innocente, titolare di un’impresa di assicurazione e membro del comitato spontaneo “Barcon Viva”, non ha dubbi: «è ovvio che qui siamo di fronte ad una speculazione enorme». La replica del Sindaco alle accuse è netta: «Non verranno fatte cave. I soldi della ghiaia li incamera il Comune: sono tutti beneficio pubblico. Questi fanno il buco, lo chiudono e non hanno guadagnato nulla, perché i soldi li ha incassati il comune».

L’iter amministrativo del progetto (che dagli 88 ettari iniziali è passato a circa 55) ristagna in un pantano di complicazioni burocratiche, dissapori nella maggioranza di Vedelago e spaccature all’interno della Lega Nord trevigiana, che si divide tra le aperture del presidente della Provincia Leonardo Muraro (bossiano) e i dubbi del nuovo segretario provinciale Giorgio Granello (maroniano). Quest’ultimo, lo scorso 29 luglio, ha espresso un giudizio molto pesante sull’accordo di Barcon: «Il superopolo non c’era nel programma elettorale con cui si è presentata la lista di Quaggiotto, e a cui gli elettori hanno dato il loro sostegno, né c’era nel programma un tale sconvolgimento del territorio. Personalmente non la ritengo una priorità, ma io dico che il popolo è sovrano, dunque senza un sì dei cittadini il progetto non può essere portato avanti». Quaggiotto, invece, non vuole nemmeno sentire parlare di referendum: «Il referendum viene in un momento tardivo, sono due anni che parliamo di questa operazione, gli imprenditori sono stanchi, non abbiamo il regolamento sul referendum, andiamo troppo avanti con i tempi, e credo che non sia di buon senso fare un referendum per 600 posti di lavoro e l’ammodernamento delle infrastrutture».

La Regione, chiamata a indicare l’interesse pubblico e aprire la pratica, ha fatto sapere di attendere il parere della Provincia. La Provincia, però, è stata costretta dal Pdl a chiedere a Quaggiotto un voto del consiglio comunale. A tal proposito, il sindaco ha dichiarato a Oggitreviso.it: «Zaia e Muraro vogliono una nuova delibera di giunta? Vogliono un passaggio in consiglio comunale? Io sono qua a disposizione e darò loro quello che mi chiederanno». Il punto è che, dopo questa estate, il «passaggio in consiglio comunale» potrebbe non essere così scontato. A fine giugno Renzo Franco, segretario della Lega Nord di Vedelago nonché assessore alla sicurezza, ha espresso la sua contrarietà al progetto in una nota, chiedendo al contempo un referendum: «Non posso che esprimere una netta contrarietà al progetto agroalimentare, maturata dall’ascolto del crescente disappunto della cittadinanza, dovuto a una mancanza d’informazione in tutto il territorio comunale». A luglio il vicesindaco Marco Perin, l’assessore all’urbanistica Cristina Andretta e il consigliere di maggioranza Daniele Volpato hanno lasciato una lettera in municipio in cui hanno scritto: «Non riteniamo accoglibile il nuovo progetto di Barcon in quanto le condizioni non sono soddisfacenti».

Quaggiotto, sentito sul punto da Linkiesta, smorza le polemiche: «L’amministrazione di Vedelago in questo momento si sta confrontando al proprio interno per valutare tutti gli aspetti. Qualcuno mi ha chiesto del tempo, perché è un’operazione complicata. Qualche mio assessore dice: dobbiamo approfondire ulteriormente, perché una volta fatta la scelta, è fatta». E la maggioranza in consiglio comunale, che secondo i calcoli della Tribuna di Treviso non ci sarebbe più? «Questa amministrazione ha la maggioranza in consiglio comunale. I numeri ci sono», risponde il Sindaco. Nel frattempo l’imprenditore Loris Colomberotto, intervistato il 31 luglio da Italia Oggi, è disposto ad andare avanti anche senza costruire casello e bretella stradale: «Per il latte ho avviato una costruzione in un altro punto di Barcon e per il macello ho in corso l’ampliamento nella mia sede di Moriago».

Ma non esiste proprio un’alternativa a questo progetto? Per Paolo Quaggiotto, le uniche alternative sono la «fame» e la «desertificazione da un punto di vista industriale»: «Non c’è più lavoro, e se non facciamo questo impianto la gente scappa. Abbiamo ventenni e trentenni che vanno a raccogliere frutta in Australia e lavorare in miniera. Gente diplomata e laureata. L’alternativa al lavoro è la disperazione». Enzo Bergamin è di parere radicalmente opposto: «Massacrare il territorio in questo modo significa essere così ottusi da non capire che se c’è un futuro economico nel nostro territorio, questo non è più nei settori tradizionali, ma è nei settori legati al turismo eno-gastronomico, in cui uniamo le bellezze del nostro territorio con la qualità dei nostri prodotti agricoli. Basta guardare i dati: l’unico settore che in questo periodo ha il segno più davanti è quello turistico. Se noi andiamo in Francia, a fronte di qualche decennio d’investimenti, il distretto della Loira pesa per 250mila posti di lavoro. Possibile che noi, con seimila ville tra Veneto e Friuli, non riusciamo a creare un indotto che garantisca posti di lavoro? Manca la capacità di programmazione di ampio respiro. La politica dovrebbe in teoria prevenire, orientare e condizionare l’economia. Qui invece va a rimorchio».

Durante il miracolo economico del Nordest sono spuntate ovunque aree industriali – nella sola provincia di Treviso ce ne sono 1.077 – senza che ci fosse una minima pianificazione, nella totale assenza della politica. Si è costruito troppo, e ora quei capannoni dismessi e svuotati dalla crisi sono diventati, come ha notato il rettore dello Iuav Amerigo Restucci, dei «feticci che raccontano una storia superata». La ricetta per arginare la devastazione causata da questa frenesia edilizia l’ha recentemente suggerita, in un’intervista al Tg3 veneto, il vicepresidente della Regione Marino Zorzato (Lega Nord): «Rigenerare quello che c’è, migliorare quello c’è, basta usare territorio inutilmente, d’altro canto la domanda è anche calata, ma soprattutto lavorare sulle zone industriali e sulle zone residenziali per renderle attuali alle esigenze di oggi. Quindi meno sperpero, recupero, basta zone nuove da occupare. Anzi, per quel che possiamo, lavorare anche per riportare ad usi diverse zone compromesse». Tuttavia, il caso del polo di Barcon (e altri quali Veneto City e il centro commerciale Ikea a Casale sul Sile, vicino Vedelago) sembra dimostrare una volta di più quello che denunciò il poeta Andrea Zanzotto nel lontano 1978: «Dai campi di sterminio siamo passati allo sterminio dei campi».

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