In vino veritas? Mica tanto. La normativa europea consente di non riportare tutti gli elementi con cui il vino è trattato e miscelato sulle etichette delle bottiglie, nonostante siano consentiti più di quaranta ingredienti a fronte di una sintetica descrizione del lotto, della provenienza, del tasso alcolemico, degli zuccheri e solfiti contenuti, e dell’anno di raccolta, i consumatori non hanno modo di risalirci. Il laissez – faire vale anche per il vino biologico. Chi compra “biologico” pensa di acquistare un prodotto naturale. Per questo, si tratta di un grave errore che colpisce, in primo luogo, il diritto dei cittadini europei a essere adeguatamente informati.
Nel febbraio 2012, la Commissione Europea ha adottato nuove norme per il “vino biologico”, lasciandosi alle spalle la definizione di vini “prodotti con uva biologica”. Tra le quali riveste un ruolo fondamnetale l’abbassamento del livello di zuccheri e solfiti che possono essere contenuti nella bevanda, in quanto – una volta rispettate le soglie Ue – il vino acquista il diritto al marchio.
«Con questa legislazione l’Europa si appropria di un pensiero che ha più di un secolo di vita: quello della coltivazione biologica» commenta Eugenio Barbieri, viticoltore toscano, che osserva: «In sostanza, i valori e i limiti consentititi dalla legge diminuiscono rispetto a quelli utilizzati nell’agricoltura tradizionale. La diminuzione in se, però, non rende un vino “biologico” nel vero senso della parola». È su questo punto che s’incardina la polemica dei coltivatori che si definiscono “artigiani” e i produttori di “vini naturali”. Il vino naturale, spiegano, è realizzato senza alcun tipo di additivo, solo per mezzo di lieviti naturali e della giusta dose di tempo che l’uva necessita per trasformarsi. Un vino fatto di “uva e tempo”: è il motto di I Am Wine, società che commercia il vino “naturale” dei piccoli produttori artigiani in Italia e in Europa. «È un motto di mia invenzione» aggiunge Barbieri «l’ho inventato perché è l’unica maniera per fare il vero vino».
Resta da risolvere l’informazione al consumatore. L’Enoteca Bulzoni è una storica enoteca romana. A giugno, il proprietario Alessandro Bulzoni è stato multato per aver messo uno scaffale da cui si potevano acquistare “vini naturali”. La ragione della multa, spiega a Linkiesta, è pubblicità ingannevole e informazione fuorviante. «Da anni ci siamo resi conto che certi modelli di produzione, in realtà, non hanno la qualità intrinseca che si vuole far credere» dice Bulzoni, che osserva: «Si è trovata un’altra tipologia di prodotto con un suo valore alimentare: da qui la definizione di “naturale”». E aggiunge, a proposito della multa: «Non mi lamento della multa in sé, ma del vuoto legislativo lasciato nella definizione di “vino naturale”».
Una questione che il consorzio ViniVeri ha deciso di portare avanti. Il presidente Giampiero Bea dichiara a Linkiesta: «Se si aggiungono elementi al vino, cosa resta della sua origine? Noi manteniamo l’identità del lavoro che rispetta l’ambiente e il paesaggio, rifiutiamo la dicitura “biologico” della legislazione europea, ma le istituzioni non riconoscono il termine “naturale”. Come possiamo sopravvivere?». E aggiunge, a proposito della multa a Bulzoni: «Dopo dieci anni che lavoriamo in questo campo, sentiamo la necessità di aggregarci e cominciare a dialogare sul serio per presentare le nostre richieste a livello nazionale e internazionale». Purtroppo dal Ministero delle Politiche Agricole, contattato da Linkiesta, non c’era nessuno che fosse disponibile a commentare la posizione e i progetti del legislatore in materia.
Perché non inserire tutti gli elementi del vino in etichetta? «Sull’informazione bisogna fare attenzione» spiega Nicoletta Bocca, viticoltrice che appoggia la filosofia del “vino naturale”. «Il consumatore non è informato a sufficienza sugli elementi, né sul significato di ogni sostanza aggiunta. Io potrei anche scrivere tutti gli elementi del vino sull’etichetta, ma questo non farebbe altro che confondere le idee, spaventare e disinformare il consumatore», nota ancora Bocca, che aggiunge, riguardo gli additivi artificiali: «È vero che il vino deve contenere meno additivi possibili, ma è altrettanto vero che molto dipende dalle annate e dalla condizione del prodotto finale. Per evitare di perdere un anno di lavoro, quantità minime di solfiti o altre sostanze di origine naturale sono necessarie alla conservazione».
Attilio Scienza, docente presso la facoltà di Agraria dell’Università Statale di Milano, spiega a Linkiesta che riportare gli elementi aggiunti in etichetta è inutile, perché già i produttori hanno scelto di ridurli il più possibile: «La motivazione sta nella definizione di Oiv [Organisation Internationale de la vigne et du vin, ndr], a cui appartengono quasi tutti i paesi produttori di vino: è idea condivisa che il prodotto derivi dall’uva fresca o leggermente appassita, senza alcuna aggiunta di sostanze estranee alla sua composizione chimica. Dico “quasi tutti” perché i paesi di cultura anglosassone, ad esempio, permettono qualunque aggiunta purché non sia dannosa per la salute del consumatore». «Oltre all’aggiunta di solfiti (che non sono altro che lieviti che si formano nel corso della fermentazione), con il progresso tecnologico e la necessità di stabilizzare il vino per garantirne durata e trasportabilità», dice ancora Scienza, «si sono introdotte alcune tecniche quali la filtrazione, la stabilizzazione tartarica, la chiarifica con bentonite o proteine di origine animali e vegetali (possono provocare allergie, quindi sono indicate in etichetta). Al momento, comunque, le quantità di solforosa che viene impiegata è molto più bassa che in passato e spesso anche inferiori del 40-50% rispetto ai limiti di legge; questo per scelta dei singoli produttori di tutta Europa».
Vale anche per il vino naturale? «Sia il termine “biologico” che “naturale” sono semanticamente inadeguati per indicare le caratteristiche del vino: bisognerebbe dire organic, come in inglese», risponde Scienza. «Ogni pianta o animale domesticato non può più vivere senza l’assistenza dell’uomo: ecco perché non si può parlare propriamente di “naturale”». «Per questo», conclude, «la Comunità Europea ha fatto bene a proibirne la leggitimità sulle etichette del vino. Ed è per questo motivo che non sarà possibile ricevere questo riconoscimento dalle leggi attuali». Peccato che, a prescindere dagli accordi tra i produttori, i cittadini abbiano il diritto a sapere cosa bevono. Altrimenti a che serve l’Europa?